La
devozione popolare in una terra così disseminata di chiesette ed edicole votive, grazie alla sua formidabile radicazione nel corso dei secoli, si è inevitabilmente
intrecciata con la leggenda. Ma, non trattandosi di storia, per la quale in ogni epoca fior fiore di studiosi hanno prestato il loro tempo alla stesura di una storiografia universale, le leggende e tutto ciò che fa intrinsecamente parte della tradizione tramandata
oralmente rischiano di essere perse inesorabilmente se non accorressero in aiuto eruditi appassionati della propria terra. È proprio grazie a uno di questi,
Sabino Leskovic (1874 – 1957), se i racconti della Val del Lago possono oggi arricchire non solo di curiosità ma anche di nozioni storiche il nostro sapere; questo personaggio lo ritroveremo poi più volte in altri testi.
In particolare una leggenda mette in relazione devozione e attaccamento per i propri luoghi di culto e per i propri antenati. Siamo sul
Monte San Simeone, montagna massiccia e tozza che a ovest guarda il
Lago di Cavazzo e a nord e a est il
Tagliamento. Su questa sorta di isola di roccia e alberi è stata eretta una chiesetta che è tra quelle di maggiore elevazione in tutto il Friuli. È, non a caso, la
Chiesetta di San Simeone, quota 1215 m slm, non in cima al rilievo ma su un altipiano, in parte boscato e in parte tenuto a prato, detto “
Valdisore”. Dal 1338 è punto di riferimento in particolare per le comunità di
Bordano e
Interneppo, ma anche di Somplago, Mena e Pioverno. È infatti divenuta assai nota in tutto il Friuli, e ciò ha sicuramente contribuito al consolidamento dell’usanza di recarvisi
almeno una volta.
Celebrazione della Santa Messa durante l’ultima edizione della Festa di San Simeone, settembre 2016. (foto di Enrico Rossi)
Per i bordanesi e gli interneppani, poi, si tratta di una ricorrenza basilare che si tiene annualmente in occasione della
Festa di San Simeone, la prima domenica di settembre. La Santa Messa si tiene oggigiorno all’esterno, per via della moltitudine di persone che la concelebrano e per le ridotte dimensioni dell’edificio, ma alla fine, a cerimonia conclusa, non si può fare a meno di visitarla, anche solo per pochi attimi. Può trasformarsi in un vero e proprio pellegrinaggio votivo, l’
avôt, se si decide di intraprendere la salita a piedi partendo da fondovalle, anche se, grazie alla ex Strada Militare del San Simeone, è possibile arrivare addirittura in auto sino in “
Valdisore”, per poi compiere a piedi solo l’ultimo tratto. In ogni caso, che sia a piedi, in macchina o in bici, il
primo viaggio è marchiato da una forte tradizione, volta a
invocare la protezione di San Simeone, ossia quella di portare con sé una piccola
croce di legno; dalle più semplici, fabbricate con due ramoscelli intrecciati, a quelle un po’ più elaborate e su cui si possa segnare il nome e la data. Questa piccola croce andrà poi depositata all’interno della chiesetta, assieme a quelle delle altre persone che per la prima volta vi accedono, oppure presso i
sacelli dedicati al santo, che si trovano numerosi sul monte.
Il perdurare ancora oggi di questa forma molto sentita di devozione non deve quindi lasciarci troppo sorpresi se pensiamo alla leggenda (la principale tra quelle che riguardano il monte) che è nata attorno a questa chiesetta. Tutto ha origine dal detto “
chi non ci va da vivo ci va da morto”. Si dice, infatti, che nella notte tra il 1° e il 2 novembre,
Giorno dei Morti, si radunino le anime di tutti coloro che in vita non hanno mai visitato la Chiesetta di San Simeone e che queste,
in processione, girino attorno all’edificio tenendo una piccola candela fissata alla punta dell’indice. Leskovic ci riporta nei suoi scritti che questa è solo la parte più famosa della leggenda, confermata a suo dire da altre 33 persone, che evidentemente deve aver sentito all’epoca delle sue ricerche, mentre ve ne sarebbe un’altra parte che nessuno a suo tempo raccontava. Dato che da Interneppo si snodano
vari sentieri che risalgono il San Simeone, le anime non potrebbero non passare per il paese, e infatti si narra che quella notte sia tutto un lieve
rumoreggiare dei passi e delle preghiere delle anime.
Dal Borc di Rive, uno dei borghi storici di Interneppo, si diparte uno dei vari sentieri che permettono di raggiungere il San Simeone, in questo caso anche l’adiacente Festa. (foto di Enrico Rossi)
Le donne di Interneppo per l’occasione preparano, o meglio, preparavano, visto che oggi questi racconti sono in gran parte ricordi da leggere sui libri o da sentirsi raccontare, dei
cialdîrs riempiti d’acqua per l’abbeveramento delle anime. Coloro che se ne fossero dimenticate non avrebbero indugiato ad alzarsi e riempire a loro volta per dare il loro contributo. Sempre secondo Leskovic, alcune donne avrebbero persino
udito il cop, ossia il mestolo, urtare il
cialdîr, nell’evidente atto di usufruire dell’acqua messa a disposizione. Egli parla di un timore da parte dei paesani verso queste anime, che quindi ricevevano il
massimo rispetto anche attraverso questi piccoli gesti. Molto interessante è constatare dalle sue parole come già all’epoca i giovani tendessero a
dimenticare queste credenze e a non curarsi delle tradizionali azioni messe in atto dai loro avi. Stiamo parlando del periodo degli
anni ’30 e ’40, quando Leskovic raccolse queste testimonianze; si deve quindi comprendere come i vecchi che gli raccontarono queste storie fossero nati attorno al 1870, mentre i giovani che già stavano perdendo queste usanze potevano essere benissimo i nonni miei e dei miei coetanei, nati tra le due guerre mondiali. Tuttavia mio padre Oscar si ricorda bene che da bambino, quando andava a trovare la nonna Caterina Piazza a Interneppo,
tra gli anni ’50 e ’60, trovava i suoi
cialdîrs colmi d’acqua per l’occasione. Il contemporaneo
Emi Picco ci permette di arricchire ulteriormente il mito. Egli ci dice che nessuno ha potuto mai vedere questi spiriti, essendo entità ultraterrene, tranne
una donna che aveva perso il figlio. Ella volle a tutti i costi rivederlo, e in effetti lo incontrò in questa processione, ma, avendolo visto portare una botticella piena sulle spalle e avendole lui detto che lì dentro c’erano le
lacrime che lei aveva versato per il suo trapasso, si è messa il cuore in pace. Inoltre, come ulteriore evidente segno di rispetto, nessun abitante terreno va a dormire quella notte sul San Simeone. Picco è una di quelle persone che ancora oggi rispettano queste usanze, unitamente a quella, diffusa in tutto il Friuli, di imbandire una cena e riempire d’acqua tutti i secchi in vista del rientro delle anime dei congiunti alle proprie case. Anche se di una leggenda difficilmente si può ricavare un periodo di genesi, al contrario di quanto accade per le vicende storiche, vale la pena comunque evidenziare che quella delle anime del San Simeone mostra delle
similitudini con i culti celtici. Potrebbe quindi trattarsi di una sorta di lascito culturale che le popolazioni pre-romane del Friuli avrebbero trasmesso ai popoli successivi, eredità che sarebbe andata a infiltrarsi nel credo cristiano, che inevitabilmente la avrebbe riadattata alle proprie
necessità spirituali tramite la figura della Chiesetta di San Simeone. Torneremo sicuramente in questi paesi tra il Lago e il Tagliamento, e anche in questa montagna dall’aspetto severo ma compagno di vita degli abitanti di quei paesi, nella storia e nelle tradizioni.
Un piccolo seguace (il sottoscritto) della tradizione della croce lignea, anno 2003. Sullo sfondo la statua del santo e, sotto di essa, il piccolo deposito delle croci. (foto di Oscar Rossi)
Fonti principali:
NB: l’articolo è dedicato alla memoria di Olivo Picco, ex sindaco di Bordano, scomparso prematuramente il 28 dicembre 2016. Il sottoscritto ebbe la fortuna, pochi mesi prima, di ricevere proprio da lui il libretto di Leskovic, preziosa miniera di informazioni.
Enrico Rossi