"Alesso e dintorni", dal puint di Braulins al puint di Avons

"Alesso e dintorni", dal puint di Braulins al puint di Avons

giovedì 31 gennaio 2013

Quel che si muove a ... Bordan. Sparagns e lavors

Comune previdente, ora via ad opere per 300 mila euro




BORDANO. Grazie al risparmio realizzato negli anni, ora i lavori pubblici possono partire in barba ai limiti imposti dai patti di stabilità che interessano i conti di molti Comuni. Succede così a Bordano, che in queste settimane si appresta a far partire lavori per 300 mila euro finalizzati alla sistemazione e alla riqualificazione del capoluogo e di Interneppo. Non sono pochi, 300 mila euro, investiti in lavori pubblici in un piccolo Comune di 800 abitanti, soprattutto con i tempi di crisi e bilanci ingessati che corrono, ma in questo caso tutto è dovuto alle politiche di risparmio attuate negli anni scorsi: «Si tratta di un intervento - spiega il sindaco Gian Luigi Colomba - che volevamo fare da tempo e per questo abbiamo risparmiato la cifra. Successivamente, la Regione ci ha concesso il contributo per quei lavori, per i quali avevamo comunque fatto richiesta e che ci è stato concessa attraverso ricorso a mutuo ventennale. Una scelta che possiamo affrontare avendo la liquidità per pagare i lavori: la recupereremo negli anni dal trasferimento regionale, e tutto ciò senza rischiare di mettere a rischio i bilanci comunali».
E così, Bordano nei prossimi mesi potrà contare sulla sistemazione della viabilità in via Volterra, oltre alla zona delle scuole, dove si realizzerà anche un’area verde, mentre a Interneppo si sistemerà il centro con la creazione di un parco giochi, a disposizione delle famiglie accanto agli impianti sportivi: «Se non altro - aggiunge Colomba -, il risparmio anni oggi ci torna utile, permettendoci di procedere con la sistemazione del Comune avviata negli anni scorsi; allo stesso tempo, abbiamo potremo contribuire a dare un po’ di lavoro alle imprese».
Piero Cargnelutti

(Messaggero Veneto, 30 gennaio 2013)


mercoledì 30 gennaio 2013

I Comitati chiedono. Tondo e Violino tacciono. Il Lago attende (2)


La nota dei Comitati sulle "mancate risposte" riprende e rimarca quanto pubblicato su "Il Punto" uscito a fine dicembre, con l'elenco dettagliato delle persone e delle Istituzioni cui era stata in precedenza inviata copia della relazione LEA dell'ing. Franzil con la proposta alternativa al progetto Edipower:




Perché non possano dire "noi non sapevamo"

Lo studio completo dell'ing. Franzil è stato inviato con lettera esplicativa di accompagnamento a cura e spese dei Comitati: ai Sindaci di Bordano, Cavazzo Carnico, Trasaghis e Verzegnis, a tutti i sindaci dei Comuni del Gemonese, del Canal del Ferro Valcanale, della Carnia,
ai Parlamentari del Friuli,
al Presidente Tondo,
agli Assessori regionali all'ambiente, all'agricoltura, all'energia,
ai Consiglieri regionali del Collegio di Tolmezzo Baritussio, Cacitti, Della Mea, Marsilio e Picco,
al Presidente ed ai Consiglieri componenti la IV Commissione consiliare regionale,
ai Mons. Costante e Zanello delle foranie di Gemona e di Tolmezzo, al Presidente della Provincia,
al Sindaco di Udine,
al Consorzio BIM,
al Consorzio Cosint,
al Consorzio Ledra -Tagliamento,
all'Ordine degli Ingegneri della Provincia di Udine, alla Secab; ai Sindaci dei Comuni di Brescia e di Milano proprietari A2A, azionista di controllo di Edipower,
ai sindaci dei Comuni di Torino, Genova, Reggio Emilia, Piacenza e Parma proprietari di Iren azionista di Edipower,
al Presidente della Provincia Autonoma di Trento azionista di Edipower attraverso la propria società "Dolomiti Energia", al Presidente della Provincia Autonoma di Bolzano azionista di Edipower attraverso la propria società Súdtiroler Elektrizitátsaktiengeselischaft, ovvero "società elettrica altoatesina - SEL), ai gruppi consiliari comunali e provinciali di questi ultimi Comuni e Province Autonome;
al Ministero dell'Ambiente,
al Ministero dello Sviluppo Economico;
alle organizzazioni sindacali dell'Alto Friuli: CGIL, CISL, UGL, UIL; agli organi di informazione;
ad Edipower spa nelle mani di un suo rappresentante, presente alla conferenza stampa di presentazione dello studio tenuta dai Comitati martedì 11 settembre 2012 presso la sede udinese della Regione.

Si tratta quindi di "silenzi" e di "mancate risposte" davvero generalizzate….

martedì 29 gennaio 2013

I Comitati chiedono. Tondo e Violino tacciono. Il Lago attende


I Comitati del Lago alzano la voce contro Tondo e Violino: ' Va evitata la guerra dell'acqua'


I Comitati che si oppongono al progetto Edipower di pompaggio sul lago di Cavazzo già diversi mesi fa consegnavano all’Assessore Regionale Claudio Violino ed alla direzione del Consorzio Ledra Tagliamento lo studio eseguito dall’ing. Dino Franzil su tale progetto e sulle conseguenze dello stesso, senza ricevere alcun riscontro
Successivamente, anche in relazione alla riproposizione del progetto del Consorzio Ledra Tagliamento di derivazione dallo scarico del lago, in data 14 nevembre scorso i Comitati inviavano sia all’Assessore Violino sia al Consorzio una richiesta d’incontro – pervenuta alla rispettive segreterie - per “conoscere la Sua posizione su quanto si va proponendo sul lago di Cavazzo, nella sua valle e sulle proposte dell’ing. Franzil”.Richiesta pure rimasta senza risposta.

I Comitati ritengono inaccettabile l’atteggiamento coloniale di sfruttamento delle acque del lago di Cavazzo (e della Carnia!) da parte dei “foresti” lombardi- piemontesi-liguri.- emiliani azionisti di Edipower. Ma ancor più inaccettabile, oltre che vergognoso, sarebbe un atteggiamento coloniale verso il lago di Cavazzo e la sua valle da parte di soggetti friulani che, trasformandolo in bacino di prelievo irriguo, aggiungerebbero un ulteriore gravame a quello già pesantissimo dell’attuale scarico della centrale e del progettato di pompaggio. Il lago di Cavazzo non è a disposizione esclusiva di Edipower e del Consorzio Ledra Tagliamento: è un bene comune, di tutti, che va salvaguardato!

I Comitati richiamano l’attenzione e la responsabilità dell’Assessore Violino, del Presidente Tondo e della dirigenza del Consorzio sulla concreta possibilità, dimostrata nello studio dell’ing. Franzil, di continuare a produrre energia nella centrale di Somplago, di produrne di nuova con tre centraline sullo scarico del lago, di fornire acqua al Consorzio, di alimentare il Tagliamento e le falde a valle, di salvare e rinaturalizzare il lago convogliando lo scarico della centrale di Somplago, con un’adeguata condotta posata sul fondo lacustre, all’attuale scarico del lago.

I Comitati dichiarano che mobiliteranno tutta la popolazione della Val del Lago e dell’Alto Friuli per contrastare in tutte le sedi un progetto del Consorzio, benedetto dall’Assessore Violino e dal Presidente Tondo, che preveda la sola derivazione nel sistema Ledra dallo scarico del lago senza le contemporanee opere di isolamentodel lago dallo scarico della centrale di Somplago mediante l’immissione dello stesso in un’adeguata condotta che, attraversando il fondale lacustre, consegni l’acqua turbinata all’attuale scarico del lago, evitando così che nel lago finiscano acque gelide ed il fango, che in 110 anni lo interrerebbe come dimostrato sia dalla perizia dell’ing. Garzon sia dallo studio dell’ing. Franzil..

L’Assessore Violino dovrebbe sapere, per le sue frequentazioni giovanili in quel di Cavazzo, che il Consorzio è stato l’unico soggetto ad essere garantito dalle disastrose derivazioni della Sade negli anni ’50. Infatti a semplice richiesta del Consorzio è obbligatoria la cacciata d’acqua dal bacino di Verzegnis per alimentare la presa consortile di Ospedaletto. Ma l’acqua di quella cacciata e quella della normale portata del Tagliamento non possono essere utilizzate nelle piane di Cavazzo, Amaro e Bordano dove nel recente passato si irrigava a scorrimento, mentre nel presente - ed ancor più nel futuro non certo roseo - sarà necessario ripristinare la produzione agricola anche in questi luoghi.

E’ bene che le istituzioni e la politica si prendano buona nota che esistono tutti i presupposti per lo scoppio della guerra dell’acqua anche da noi e che la guerra tra la montagna e la pianura friulana va evitata. Inoltre, sappiano i rappresentanti istituzionali e politici che non potranno continuare ad ignorare i problemi del lago, della sua valle e della montagna, perché i Comitati li staneranno e dovranno dire di fronte agli elettori da che parte stanno: con il lago, la sua valle e la montagna o con i colonizzatori “foresti” o “nostrani” che siano.

Firmato
Comitato per la difesa e lo sviluppo del lago – Alesso: Valentino Rabassi Comitato tutela acque del bacino montano del Tagliamento: Franceschino Barazzutti

da: http://altofriuli.com/in-primo-piano/i-comitati-del-lago-alzano-la-voce-contro-tondo-e-violino----va-evitata-la-guerra-dell-acqua-.htm

lunedì 28 gennaio 2013

A luglio, parapendio dal San Simeone al Lago

Il parapendio iridato: a luglio nel lago ci sarà l’arrivo

domenica 27 gennaio 2013

Giornata della memoria, la testimonianza di Rino di Cian su Buchenwald


Rino Picco, dal San Simeone a Buchenwald (e ritorno)


Rino Picco "di Cian", classe 1923, venne catturato dai tedeschi sul San Simeone nel luglio 1944, per rappresaglia contro le azioni partigiane, e spedito, con altri suoi compaesani, a Buchenwald. La sua testimonianza è stata raccolta e pubblicata nel libro di Anselmo Picco "Cuant che las caneles a cressevin tai boçs da conserve" (Comune, Pro Loco e Ana di Bordano, 2012). Si tratta di una testimonianza, della quale vengono riproposti ampi stralci, che può inserirsi  a buona ragione nelle riflessioni condivise sulla "giornata della memoria".

I tedeschi ci accompagnarono, in fila, attraverso Pioverno fino a Venzone. 
A Pioverno era pieno di soldati, sempre tedeschi, con il mitra spianato 
e così anche a Venzone: era impossibile tentare la fuga. A Venzone ci concessero 
un’ora e mezza di tempo per cercare dei vestiti e da mangiare. 
Andammo tutti da una signora, nativa di Bordano, mi sembra 
fosse la sorella di Gusto di Sella Grande, la quale ci diede qual- 
che indumento e un po’ di cibo. Anche da qui era impossibile 
scappare perché c’erano soldati dappertutto e una nostra fuga 
avrebbe potuto scatenare le ire dei tedeschi e concludersi con 
delle rappresaglie ai danni della popolazione venzonese. 
   Trascorsa l’ora e mezza concessaci, arrivò a chiamarci un 
soldato, il quale ci fece salire su una camionetta che ci portò in 
prigione a Udine in Via Spalato.
Rimanemmo qui per otto giorni, dormendo sul pavimento di 
 un corridoio, ignari sulla nostra destinazione futura. 
    Trascorso questo periodo, ci fecero uscire dal carcere per 
 recarci a Porta Gemona, dove ci avrebbero arruolati nella Re- 
 pubblica di Salò. All’uscita ci consegnarono tre pezzi di pane e 
 in quel momento Gjino, mio cugino, mi disse che la nostra desti- 
 nazione non era sicuramente Salò, ma era un luogo certamente 
 più lontano, vista la quantità di pane che ci avevano distribuito. 
 Fu proprio così: anzichè partire per Salò, ci inviarono per “via 
 Tarvisio”, cioè verso l’Austria. 
    Ci accompagnarono in stazione e lì salimmo su un treno che 
 proveniva da Trieste, e fu a questo punto, prima della partenza, 
 che noi compaesani fummo separati.

Verso le sette di sera il treno passò per Tarvisio per poi fermarsi a 
Villacco dove ci diedero da mangiare un po’ di zuppa 
di cavoli rossi. Proseguì poi alla volta di Lienz. Qui ci fecero 
scendere per fare i bisogni sotto il treno, fra le rotaie. La sosta 
durò circa trenta minuti. Infine da qui proseguimmo ininterrot- 
tamente fino a Mauthausen, dove ci tennero rinchiusi nei vagoni 
per tutto il giorno, poi l’indomani ripartimmo e viaggiammo 
per altri due giorni. Arrivati in una stazioncina, della quale non 
ricordo il nome, ci fecero scendere sempre per fare i bisogni. A 
controllare che non scappassimo c’erano delle belle ragazze in 
divisa e con lapistole Machin spianata. Proseguimmo il viaggio 
per concluderlo nel campo di concentramento di Buchenwald. 
   Scesi dal treno, ci radunarono in un grande piazzale dove restammo sotto il sole cocente per tutto il giorno senza nè cibo,  nè acqua. 
   Dalla piazza ci portarono nel capannone di una fabbrica do- 
ve ci raparono a zero tagliandoci tutti i peli che avevamo sul 
corpo. Il giorno seguente, a gruppetti di tre per volta, ci fecero 
sedere sul bordo di una vasca contenente dell’acqua torbida, 
come quella che scende quando il Tagliamento è in piena. Qui, 
un tedesco, ci colpì al petto con il calcio del mitra, facendo- 
ci cadere all’indietro in questa vasca. Fortunatamente feci in 
tempo a chiudere gli occhi proteggendoli da questo liquido che 
immagino contenesse un potente disinfettante, poichè il giorno 
dopo, avevo i testicoli molto ingrossati e doloranti tanto che 
non riuscivo neppure a camminare, come dolenti erano anche 
le ascelle e l’ano. 
   Dopo questo trattamento ci consegnarono la divisa a strisce 
con una “I” (italiani) inserita in un triangolo rosso cucito sul 
petto. Eravamo senza mutande e senza alcun altro indumento in- 
timo. Ci fecero una puntura con una siringa che veniva riempita 
ogni sei uomini trattati, senza che mai l’ago venisse cambiato. 
   In un primo momento mi avevano destinato al blocco qua- 
rantatré (baracche), poi mi spostarono al sessantotto. Lì non 
c’erano letti sui quali dormire e bisognava passare la notte stesi 
sul pavimento. A pochi centimetri dal mio giaciglio, correva un 
canale con dell’acqua, dove le persone venivano a fare i propri 
bisogni. L’odore che dovevamo sopportare è facilmente imma- 
ginabile. I blocchi erano a due piani ed eravamo circa in cento 
persone di varie nazionalità, per la maggior parte vi erano russi, 
polacchi e slavi. I polacchi ce l’avevano a male con noi italiani 
perchè ci accusavano di essere stati tutti dalla parte dei fascisti, 
quindi alleati dei tedeschi durante il conflitto. 
   La colazione consisteva in un caffè nero e in una tartina con un 
po’ di margarina. Nei primi giorni, noi di Bordano, eravamo insie- 
me e non ci facevano lavorare, ci chiamavano solo per l’appello. 
   Qui ci tennero per otto giorni, poi ci riportarono in stazione 
dove salimmo su una tradotta che, dopo aver attraversato tre  grandi 
città, si fermò ad Allen. A poca distanza da questa stazio- 
ne scorgemmo parcheggiati un’infinità di carri armati, camion e 
altri mezzi bellici. Ad un certo punto suonò l’allarme: i tedeschi 
velocemente chiusero dall’esterno i vagoni dove ci trovavamo e 
si misero al riparo. L’allarme era suonato perchè una squadriglia 
di aerei americani era venuta a bombardare i mezzi militari che 
avevamo scorto a poca distanza dalla stazione. In poco tempo 
si scatenò l’inferno e noi eravamo chiusi in questi vagoni senza 
la possibilità di scappare per metterci in salvo. Fortunatamente 
il nostro convoglio non fu colpito, forse perchè lo sforzo belli- 
co degli alleati era concentrato sullo scalo dove vi erano tutti i 
mezzi corazzati da distruggere. 
   Dopo questo attacco, ci riportarono indietro a Buchenwald 
dove, come ho già detto, eravamo in molti e provenienti da 
ogni nazione. I più maltrattati erano i russi, li ricordo ancora, 
avevano il fisico molto mal ridotto e il “viso sembrava ricoperto 
di muschio”. 
   Alle quattro del mattino c’era l’appello e dovevamo trovarci 
puntuali sul piazzale, dopo esserci lavati. Ci facevano rimanere 
anche alcune ore con le braccia alzate e se qualcuno, per sfi- 
nimento, le abbassava, veniva colpito col nerbo. Poi ci davano 
la colazione e alle undici il pranzo che consisteva in un po’ di 
zuppa; alle quindici invece ci davano da mangiare un pezzo 
di aglio, che da quella volta ho sempre continuato a mangiare 
mentre prima non mi piaceva assolutamente. 
   Durante uno di questi giorni, dopo aver fatto l’appello, venne- 
ro formati dei gruppetti di prigionieri e noi di Bordano fummo 
divisi: Liseo, Gjino e Aldo da una parte; io, Duilio ed Elio da 
un’altra. Ricordo che ad un certo punto un tedesco chiese se 
c’era qualche volontario disposto a passare dal nostro gruppo a 
quello dei nostri compaesani. Duilio ci invitò allora a trasferirci 
per rimanere tutti uniti, ma Elio si rifiutò, dicendo che doveva- 
mo restare dove il destino ci aveva fatti capitare. Liseo,  Gjino e Aldo partirono quindi per una destinazione sconosciuta e non 
tornarono mai più. Seppi molti anni dopo, da Diego, un mio 
amico di Ospedaletto, che li avevano portati a lavorare in una 
miniera di sale e che qui avevano trovato la morte. 
   A Buchenwald ci tennero ancora otto giorni. In seguito c’era 
stato un bombardamento: era il 24 agosto del ’44. Alle ore undi- 
ci precise suonò l’allarme; noi ci apprestavamo a fare la doccia, 
ma alcuni prigionieri ci avevano detto di stare attenti perchè a 
quelli che erano andati a “lavarsi” prima di noi, anzichè aprire 
il rubinetto dell’acqua, i tedeschi avevano aperto il rubinetto 
del gas. Anche in questo caso la fortuna ci assistette perchè, in 
seguito al bombardamento, sospesero il “servizio doccia”. 
   Durante questo attacco venne ferita la “nostra” principessa 
Mafalda di Savoia. La vidi seduta con il gomito appoggiato ad 
un tavolino, mentre con la mano sorreggeva la testa. Aveva 
tutto il viso insanguinato e anche il vestito era sporco di sangue 
all’altezza del petto. Seppi in seguito che era morta quel giorno 
o forse il giorno dopo. 
   L’indomani io ed Elio fummo mandati a riparare il selciato 
danneggiato dalle bombe nella zona dei forni crematori. Mentre 
eravamo impegnati in questo lavoro vedemmo passare per tutto 
il giorno ed entrare nella zona del forno, carrelli che si muove- 
vano su rotaie (come quelli che si vedono nelle miniere) che 
trasportavano morti o feriti. I carrelli entravano pieni e uscivano 
vuoti dalla parte opposta. Ricordo che Elio, sconsolato, mi disse 
che anche noi saremmo probabilmente finiti su quei carrelli. Era- 
no quelli i momenti in cui ci scoraggiavamo di più e perdevamo 
le speranze di riuscire a tornare a casa. 
   Dalla ciminiera del forno uscivano le fiamme, alte quattro 
o cinque metri sopra il camino e il fumo spandeva nell’aria un 
odore irrespirabile di carne umana bruciata. 
   Ogni sera tornavamo nel nostro blocco a dormire. Tutti i 
blocchi erano circondati dal filo spinato e non potevamo uscire 
da quel recinto se non accompagnati dai tedeschi, i quali avevano anche messo, a capo dei blocchi, dei prigionieri polacchi 
molto spietati, infatti dovevano comportarsi in questo modo per 
rimanere nelle grazie delle SS, così da rendere la loro prigionia 
meno dura. 
   Si lavorava tutta la settimana, tranne la domenica pomeriggio, 
quando potevamo riposarci. Eravamo talmente mal nutriti e de- 
boli che per sollevare e trasportare un rotolo di carta catramata 
dovevamo essere in quattro persone. 
   Ricordo un particolare che mi è sempre sembrato strano: 
quando ci tagliavano i capelli, non ci rasavano tutta la testa con- 
temporaneamente: una settimana ci rasavano facendo una stri- 
scia che partiva dalla fronte per giungere alla nuca, la settimana 
successiva facevano un’altra striscia che partiva dall’orecchio 
destro per arrivare a quello sinistro e ogni volta, nei tagli succes- 
sivi, seguivano questo schema. Praticamente in testa avevamo 
sempre un taglio che rappresentava una croce. 
   Nel campo vi era anche un’infermeria. Era gestita da medici 
prigionieri che lavoravano sotto il controllo dei tedeschi. Un 
giorno fui ricoverato in questa infermeria a causa di un grande 
mal di gola. Ero curato da un medico francese, il quale mi aveva 
detto che non mi avrebbe fatto uscire da lì prima di essere gua- 
rito completamente. I nazisti erano venuti più volte a cercarmi 
per farmi tornare a lavorare, ma il medico era riuscito a mante- 
nere la parola data e così ripresi il mio lavoro solo a guarigione 
avvenuta.  (…)
Alcuni giorni prima della liberazione, ci fu un bombardamento che durò per tutta la notte e distrusse molte fabbriche e la ferrovia. 
    Alle ventitré suonò l’allarme e noi ci riparammo nei rifugi 
 sotterranei. Il rifugio era stretto, praticamente si stava in ginoc- 
 chio e le ginocchia di uno toccavano quelle dell’altro: eravamo 
 ammassati come sardine in scatola. Il campo di concentramento, 
 dopo l’incursione aerea, era rimasto miracolosamente intatto. 
 Era la fine di febbraio o forse l’inizio di marzo. Finito il bombar- 
damento ci riportarono nel campo e alle quattro ci fecero alzare, 
lavare nel cortile come ogni giorno e alle sei ci riportarono a 
lavorare nella fabbrica che non era stata danneggiata. Il rifugio 
antiaereo era situato tre piani sotto terra: il primo e il secondo 
piano erano adibiti a magazzino ed erano pieni di macchinari 
della fabbrica che tenevano di scorta nel caso che qualcuno si 
fosse guastato. 
   Mi sentivo fortunato per il lavoro che svolgevo perchè mi 
venivano consegnati i pezzi da fare, li posizionavo sulla fresa e 
avviavo il macchinario, il quale faceva tutto automaticamente e 
io dovevo solo fermarlo quando il pezzo era completato. Dopo 
questo bombardamento lavorammo per altri dieci giorni, poi 
ci tennero cinque giorni nel blocco senza mandarci in fabbrica 
e diminuendoci ulteriormente le razioni di cibo. Dalla fame 
andavo a rovistare nella melma costituita dagli scarti di cucina 
che venivano buttati nei pressi dei gabinetti. Ogni due blocchi 
c’era una cucina: cercavo qualche buccia di patata che poi la- 
vavo, appallottolavo e mangiavo. Ricordo che queste bucce me 
le dovevo contendere con le numerose lumache che giravano lì 
attorno. 
   L’orario della sveglia era sempre lo stesso, come anche l’ap- 
pello e tutto il resto. 
   Il quinto giorno che io e i miei compagni eravamo nel blocco, 
ci fu un nuovo bombardamento lontano dal nostro campo. I te- 
deschi a questo punto ci fecero mettere in fila a quattro a quattro 
e ci fecero camminare per una quarantina di chilometri. Arrivati 
ad un incrocio svoltammo lungo una strada che si sviluppava 
sulla sinistra, verso il paese vicino, sulle cui case vedevamo già 
sventolare le bandiere bianche in segno di resa. Era per noi un 
buon segno, una speranza. La marcia continuò sempre sotto la 
scorta delle SS armate e giunti ad una curva, i russi assalirono i 
tedeschi e li uccisero tutti con la forza delle loro mani. Eravamo 
finalmente liberi. (…)
Dopo qualche giorno di sbandamento, ci imbattemmo negli 
americani, i quali ci presero in consegna e ci portarono in un 
nuovo campo. Il campo aveva tre portoni e ad ogni portone 
c’erano due soldati di guardia. Le guardie che montavano per la 
notte venivano, tutte regolarmente uccise dai cecchini tedeschi, 
i quali si erano dati alla macchia diventando partigiani e con- 
tinuando la guerra contro gli americani e contro noi deportati. 
Queste uccisioni proseguirono per cinque giorni. 
   Io, per non essere un bersaglio dei tedeschi, mi ero tolto la 
divisa a righe da internato, l’avevo sotterrata e mi ero indossato 
un paio di pantaloni che avevo trovato nel campo. Da lì poteva- 
mo uscire per andare a cercare da mangiare perchè gli americani 
(per la precisione erano australiani), avevano appena i viveri per 
loro stessi. In questa zona, dovevamo prestare molta attenzione 
ai cecchini che erano sparsi su tutto il territorio. 
   Circa una ventina di giorni dopo, arrivarono gli inglesi, i quali 
presero in consegna il campo impedendoci di uscire. Questi 
erano ben organizzati e ci fornivano regolarmente i pasti. Il cibo 
era ugualmente molto scarso e allora ci facevamo fare, di tanto 
in tanto, dei permessi per uscire dal campo in cerca di viveri. Ci 
accodavamo sempre ai russi i quali trattavano gli italiani come 
fratelli, mentre erano molto violenti nei confronti del popolo 
tedesco, probabilmente a causa delle grandi sofferenze subite. 
   Con gli inglesi restammo dal mese di aprile al 28 agosto, 
giorno in cui cominciò il rientro a casa. A Bordano arrivai il 10 
settembre del ’45.


sabato 26 gennaio 2013

Blitz contro uccellatori e bracconieri trasagani


Operazione contro l’uccellagione a Trasaghis: 
due persone denunciate
Blitz della Polizia locale provinciale: reti e trappole sequestrate, decine di esemplari morti ritrovati nei congelatori, animali vivi rimessi in libertà

TOLMEZZO. Reti e trappole sequestrate, decine di esemplari morti ritrovati nei congelatori, animali vivi rimessi in libertà e due persone denunciate. È il bilancio di due distinte operazione messe a segno dagli uomini della Polizia Locale Provinciale nei giorni scorsi entrambe in comune di Trasaghis.
Nella prima, dopo una lunga attività di monitoraggio della zona per attività di uccellagione e in esecuzione di specifico atto delegato dalla Procura di Tolmezzo, è stata effettuata una perquisizione dell’abitazione dell’indagato e della sua autovettura. Durante la perquisizione sono stati rinvenuti e posti sotto sequestro 5 reti per uccellagione, 2 trappole a scatto, 27 panie invischiate, 29 esemplari, già spiumati, di avifauna selvatica morta conservati in un congelatore. Sono stati rinvenuti anche uccelli vivi privi di anello identificativo e di documentazione attestante la legittima detenzione (tra i quali 2 fringuelli, 2 cardellini, 7 lucherini, 1 verdone, 1 zigolo giallo, 5 merli e 1 pettirosso).
Tutti gli uccelli vivi sono stati liberati. A carico del bracconiere è stata inoltrata alla Procura della Repubblica delegante una notizia di reato per aver praticato l’uccellagione e detenuto illegalmente avifauna selvatica, tra cui alcuni esemplari particolarmente protetti.
Nella seconda operazione, un altro bracconiere è stato sorpreso in flagranza di reato per l’attività di uccellagione mediante rete. Durante l’intervento venivano rinvenuti e posti sotto sequestro una rete per uccellagione, 3 trappole a scatto, 100 panie invischiate e vari uccelli vivi detenuti illegalmente, tra i quali 5 merli, 1 tordo bottaccio, 2 cardellini, 2 fringuelli e 1 beccafico, che venivano immediatamente liberati.

da: Messaggero Veneto, 25 gennaio 2013 

venerdì 25 gennaio 2013

I giorni di Nikolajewka. Mesti ricordi anche in Val del Lago (2)


A 70 anni da Nikolajewka: quei 50 soldati che non rividero più il Lago


Anche dai Comuni della Valle del Lago (Bordano, Cavazzo e Trasaghis) furono parecchi i soldati che non tornarono dalla guerra in Russia, un'esperienza tragica che, a settant'anni di distanza, viene ricordata con l'elemento simbolico dell'ultima battaglia, Nicolajewka.
I nomi di quanti rimasero uccisi o dei quali si persero le tracce:

Comune di Cavazzo

Angeli Emilio (classe 1922), Angeli Giovanni (1922), Angeli Primo (1921), Barazzutti Giacinto (1921), Barazzutti Luigi (1922), Bressan Arturo (1910), Danna Giordano (1920), Goi Albino (1920), Michielli Aurelio (1909), Michelli Riccardo (1920), Monai Primo (1917), Piccilin Guerrino (1918), Puppini Lieto (1922), Zanetti Oreste (1920)

Comune di Bordano

Pavon Anedi (1912), Piazza Anedi Oliviero (1919), Picco Francesco (1915), Picco Giuseppe (1922), Picco Libero (1914), Rossi Aristide (1915), Rossi Arturo (1913), Rossi Elio (1922), Rossi Ettore (1922)

Comune di Trasaghis

Collavizza Vittorio (1922), Costantini Francesco (1921), Costantini Pietro Mario (1920), Cucchiaro Giacomo (1922), De Cecco Fioravante (1921), De Cecco Libero (1921), De Cecco Mirco (1914), Di Doi Attilio (1922), Di Doi Giobatta (1915), Di Santolo Adriano (1920), Feregotto Giuseppe (1914), Feregotto Placido(1914), Franzil Egidio(1912), Franzil Giacomo (1922),Franzil Gino (1922), Franzil Valentino (1921), Del Negro Arturo (1922), Michelini Antonio (1914),Picco Leonardo (1920), Rizzotti Ennio Francesco (1914), Rodaro Giovanni (1914), Stefanutti Placido (1917), Tomat Elio (1922), Tomat Osvaldo (1922), Valent Romeo (1922),Venturini Davide (1922), Venuti Giovanni (1922).

Le ricostruzioni storiche e le testimonianze dei reduci sono concordi nel ricordare la situazione relativamente tranquilla stabilitasi dalla fine di settembre alla metà di dicembre del '42, con l'acquartieramento nella zona del Don e la predisposizione dei ripari per l'inverno. Dal 17-19 dicembre i reparti vennero spostati nella zona di Krinitskaja e Nowo Georgewka, in una serie di duri combattimenti che si svolsero in condizioni tremende di clima e di ambiente. Due dei militari di Alesso risultano dispersi già in questo primo periodo. Ricordava il cavazzino Carlo Angeli: "dal 17 di dicembre nus an spostâts di lì ch'j erin lozâts e puartâts lì ch'a erin i combatiments, e lì «morti a non finire», zà di prin che i rus a sfondàssin il front". Lo stesso Angeli rimase ferito il 30 dicembre, giornata nella quale perirono altri quattro soldati di Cavazzo: Lieto Puppini, Luigi Barazzutti, Albino Goi e Primo Monai, tutti sepolti attorno a Kolubaja Krinitza.
Il 14 gennaio 1943 l'esercito sovietico riuscì a sfondare le linee tenute da tedeschi e ungheresi, e iniziò l'accerchiamento nella zona di Rossosch. I reparti italiani ebbero inizialmente l'ordine di resistere sulla linea del Don (altri soldati risultarono dispersi tra il 16 e il 17 gennaio).
Dal pomeriggio del 17 gennaio iniziarono le operazioni di ripiegamento, in una marcia dura e faticosa, anche a causa dei feriti e dei congelati che appesantivano i reparti e, soprattutto, della mancanza di viveri. Pietro Franzil raccontava, sulla base di testimonianze raccolte a fine guerra: "In quattro giorni c'è stato un unico cimitero. In poche ore sono morti parecchi… Chi per il freddo, chi per il gelo, chi per la fame. Resisteva solo chi era ben vestito e ben equipaggiato … chi era sul fronte aveva un destino segnato. La gente moriva da sola, rimanevi lì incandìt." Un nuovo, duro combattimento ebbe luogo tra il 19 e il 20 gennaio nella zona di Nowo Postolajewka. Altri attacchi, due giorni dopo, causarono ulteriori gravi perdite all'VIII Alpini. Quelli che non caddero furono catturati e la maggior parte di essi perì nei campi di prigionia sovietici. La maggior parte dei dispersi si ebbe dopo i combattimenti tra il 21 e il 23 gennaio. Nel ricordo di Germano Del Negro di Peonis il travaglio della ritirata: "Si vedevin i rus vignî indavant in patuglia; la dì dopo an tacât in fuarcis, cui cjars armâts. Jo eri un trei compagns, si sin fermâts lì di una femina ch'a nus à preparât una carafa di lat, nus à fat un materas di sflocjs, e vin durmît alì. Tal doman son rivâts i rus: par furtuna ch'j erin suntun bivio, si sin platâts, butâts tun canalon e i cjars son tirâts drets. Sin passâts par Podgornoje e Semei, viers Selenj Jar e Nicolajewka, simprin sot dai bombardaments: lis cjasis si sbregavn, i cuierts di patus si brusavin… A Nicolajewka sin rivâts a buinora e, dopo rivât a mangjâ alc, sin lâts a Gomel. Al ere il prin di fravâr; la dì dopo son rivadis lis tradotis ch'a nus an cjapâts su".
Dopo l'ultima battaglia, quella di Nicolajewka, per i superstiti si potè dare avvio alle operazioni di rimpatrio, a partire dal primo febbraio.
Per decine di anni l'esperienza della spedizione italiana in Russia è rimasta come uno spartiacque doloroso nell'interno di tante famiglie: pesava soprattutto la mancanza di notizie precise sulla sorte di tanti soldati.
Negli ultimi anni, con l'apertura degli archivi sovietici, si è ottenuto qualche elemento in più. Per quanto riguarda le vicende dei soldati partiti dalla Val del lago, si è saputo per esempio che Egidio Franzil, dato per disperso, era morto il 20 gennaio 1943; che Elio Pietro Tomat era stato catturato prigioniero dalle forze armate russe, internato nell'ospedale n. 2074 di Piniug, nella regione di Kirov, e là era deceduto il 22 marzo 1943; che Romeo Valent era morto nel gulag di Pignuki nel giugno del '43; che Valentino Franzil era deceduto in prigionia nella zona di Nowo Georgewska il 13 luglio 1943.
I resti mortali di Primo Monai e Albino Goi, individuati in un cimitero russo grazie alle ricerche di Onorcaduti, poterono invece essere riportati in Italia e tumulati a Cavazzo nel 1991.
Per tutti questi ragazzi, indistintamente, a settanta anni di distanza, il ricordo e la pietà.
                                   Pieri Stefanutti



(Dal Blog del Centro di Documentazione sul Territorio: http://blog.libero.it/centrodocalesso/view.php?nocache=1359039544 )

giovedì 24 gennaio 2013

I giorni di Nikolajewka. Mesti ricordi anche in val del Lago


Scrive Anna di Alesso su facebook: " Alcuni anni fa ho fatto una promessa a mia nonna. Quella di non dimenticare. 21/22 gennaio 1943 è la presunta data di morte del suo giovane fratello diciannovenne disperso in Russia. Mi raccontava spesso di quando finita la guerra, con suo padre, si recava alla stazione di Gemona e lo aspettava...come tante madri, sorelle hanno aspettato quei figli e fratelli che non sono mai tornati. . Permettetemi solo di ricordarli come penso sia doveroso. ".
Settant'anni fa si chiudeva infatti, con la battaglia di Nikolajewka, la tragica esperienza del corpo di spedizione italiano in Russia. Numerosi anche i soldati che, partiti dalla Valle del Lago, non fecero ritorno ai propri paesi: 27 dal Comune di Trasaghis, 9 da Bordano, 14 da Cavazzo.

Riproponiamo una poesia scritta da Zuan Cucchiaro e dedicata proprio a quella località russa, dove viene sottolineato soprattutto l'insensatezza di quella spedizione.

Nicolajewka

Vincj agns j vevis 
e forsit nancja, 
ma tanta voja di vivi.
E sui mûrs dal paîs 
"Anin varìn fotuna", 
j vevis scrit.
Se chê a è stada furtuna …
E la supierbia, messadada 
cu la ignoranza e la presunzion 
dai caporions fin lassù a us an mandâts.
A f a ce, po'?
E cuant che lôr a vegnivin indevant, 
di bessoi a us an lassâts, 
a tegnî dûr 
cui scarpons di carton 
e la mantelina ch'a parava 
si e no l'aria dal Palâr.
Joi mâri, ce tant frêt!
E cajù chê mâri 
a gemi e a spietâ 
e spietâ 
e spietâ….

(Zuan Cucchiaro)


Alcuni elementi per ricostruire il contesto di quelle giornate:

Fu, quella di Nikolajewka, una vittoria tragica, per l’altissimo tributo di vite («un offertorio», la definì Bepi De Marzi, direttore de I Crodaioli e autore de Le voci di Nikolejewka), e una vittoria atipica. Armamenti e strategie contarono poco: di fatto fu la vita a prevalere sulla morte. Vinsero la voglia di tornare a casa, e la rabbia, che già non era più contro il nemico, che aveva difeso i campi e le isbe della Santa Madre Russia invasa. L’ostilità cominciò di lì a orientarsi contro i comandi fascisti e contro l’alleato nazista. «Che Iddio maledica chi ci ha tradito, lasciandoci sul Don e poi è fuggito», recita il testo di Pietà l’è morta, di Nuto Revelli, ufficiale della Tridentina e poi partigiano. Ma l’elaborazione umana e politica, la lezione antifascista, se vogliamo, seguirono; a Nikolajewka scattò l’istinto di conservazione. I fatti sono noti: un contingente dell’Armata Rossa, dotato di armi pesanti e affiancato da truppe partigiane, attese la colonna italiana in ritirata in un trincerone formato dal terrapieno della ferrovia. L’apertura di un varco attraverso il quale far defluire i superstiti riuscì alla brigata alpina Tridentina, guidata dal generale Luigi Reverberi. «Alla testa di un manipolo di animosi, balza su un carro armato e si lancia leoninamente, nella furia della rabbiosa reazione nemica, sull'ostacolo, incitando con la voce e il gesto la colonna che, elettrizzata dall’esempio eroico, lo segue entusiasticamente a valanga coronando con una fulgida vittoria il successo della giornata ed il felice compimento del movimento», dice la motivazione della medaglia d’oro che gli verrà conferita. «Esempio luminoso di generosa offerta, eletta coscienza di capo, eroico valore di soldato». Al netto della retorica patriottica rimangono i numeri: il 16 gennaio 1943, inizio della ritirata, il Corpo d’Armata Alpino contava 61 mila uomini. Dopo Nikolajewka si contarono 13.420 uomini usciti dalla sacca, più 7.500 feriti o congelati. Circa 40.000 rimasero indietro, morti, dispersi o catturati. Migliaia furono presi prigionieri e radunati dai sovietici in vari campi, dai quali pochi torneranno. Si coprì l’orrore del macello con il sudario del valore.
(estratto da : Luciano Santin, Inferno di neve, Tridentina all’assalto di Nikolajewka, "Messaggero Veneto", 16 gennaio 2013)

mercoledì 23 gennaio 2013

Comuni del Gemonese, prove tecniche di collaborazione



Nel Gemonese Unione lenta sul personale

Messaggero Veneto, 21 gennaio 2013

TRASAGHIS. Un cammino lungo quello della messa in comune dei costi degli enti locali. Se gli amministratori del gemonese si sono dati da fare in questi anni per porre le basi della futura unione montana con la realizzazione dello statuto poi passato all'attenzione di ogni consiglio, e rinviate al prossimo giugno dalla Regione, c’è ancora molto da fare per la gestione in comune di tutto il personale coinvolto. In questi giorni, l'amministrazione Picco ha deliberato la spesa di 26.500 euro da destinare addirittura alla Comunità montana della Carnia per i costi sostenuti dall’ente carnico per la gestione del personale. Di fatto, con una convenzione datata ancora 2008, il Comune di Trasaghis è capofila di questo accordo sottoscritto anche dalle amministrazioni di Venzone, Montenars, e Bordano, piccole realtà comunali per le quali il costo della gestione del personale sarebbe eccessivo, visto le esigue risorse di cui dispongono i loro bilanci: «Si fa riferimento - dice il sindaco Augusto Picco - a convenzioni in essere da anni e che ora ci troviamo a mantenere soprattutto dopo che la Regione ha rinviato il processo di unione. E' chiaro che l'obiettivo sarà la gestione di tutto da parte dell'unione del gemonese: penso ad esempio anche al servizio di tesoreria che il nostro comune ha al momento affidato a quello di Chiusaforte e che un giorno passerà all'unione gemonese».
Piero Cargnelutti

E sempre a proposito di unioni prossime venture, Osoppo ribadisce il proprio "fare sistema" con Trasaghis e il Gemonese  piuttosto che verso l'area di Buja e Treppo:

Da Osoppo, invece, si è fatto sentire il circolo locale del Pd che chiede quali ragionamenti sono stati fatti per pensare ad una fusione con Buja e Treppo: «Osoppo fa riferimento al Gemonese - dice la segretaria Mirna Molinaro - per i principali servizi sociali. Tutti i servizi sanitari e di assistenza sociale sono collegati all’Ass3. Il plesso scolastico insieme a Trasaghis, Bordano, Venzone, Moggio e Resiutta, fa riferimento alla direzione didattica di Trasaghis». (p.c.)

(Messaggero Veneto, 22 gennaio 2013)



martedì 22 gennaio 2013

Bordano e Cavazzo, finanziate opere di Protezione Civile

Al via 10 milioni di euro
per opere di Protezione civile

Al via 10 milioni di euro
per opere di Protezione civileCon questa prima trance, spiega il consigliere regionale Luigi Cacitti, la Protezione Civile regionale ha potuto dare ampie risposte ad una serie di segnalazioni fatte essenzialmente da amministratori locali, per interventi di estrema urgenza per la messa in sicurezza del proprio territorio. Questo l’ammontare dei decreti fino ad oggi formalizzati, grazie alle risorse destinate in assestamento. Interventi che riguardano soprattutto il ripristino di frane, smottamenti, arginature e viabilità comunali o provinciali compromesse sotto il profilo della sicurezza.
 
Una risposta immediata che viene attuata in pochi mesi e con forte impatto finanziario alla montagna dell’Alto Friuli. Dopo le ingenti cifre destinate negli anni scorsi alla Val Canale e alla zona pedemontana ecco che importanti interventi vengono previsti soprattutto in Carnia ma non solo, dove recentemente a causa di eventi meteorologici estremi si sono verificati particolari problemi.
 
I comuni interessati attualmente dai decreti di finanziamento sono i seguenti: Ampezzo 270.000, Arta Terme 450.000, Bordano 185.000, Cavazzo Carnico 280.000, Cercivento 100.000, Comeglians 285.000, Enemonzo 160.000, Forni di Sopra 250.000, Forni di Sotto 280.000, Gemona del Friuli 280.000, Lauco 90.000, Ligosullo 200.000, Montenars 250.000, Ovaro 330.000, Paluzza 200.000, Paularo 705.000, Pontebba 600.000, Prato Carnico 180.000, Ravascletto 180.000, Raveo 250.000, Socchieve 160.000, Tolmezzo 550.000, Treppo Carnico 60.000, Verzegnis 280.000 e Zuglio 150.000.
 
A questo corposo elenco vanno sommati i comuni di Forni Avoltri, Dogna, Chiusaforte, Tarvisio, Venzone e Gemona del Friuli dove in precedenza si era intervenuti grazie a distinti decreti aggiuntivi. (...)

Leggi tutto l'articolo:
http://altofriuli.com/in-primo-piano/al-via-10-milioni-di-euro-per-opere-di-protezione-civile.htm