"Alesso e dintorni", dal puint di Braulins al puint di Avons

"Alesso e dintorni", dal puint di Braulins al puint di Avons

giovedì 31 gennaio 2019

Trasaghis verso il voto - 1 - Masiero si smarca

Cominciano i primi movimenti per il definirsi di alleanze, formazioni, contrapposizioni in vista del rinnovo del Consiglio comunale di Trasaghis della prossima primavera.

Il consigliere Enrico Masiero ha rassegnato le dimissioni dalla carica di consigliere, lamentando la mancanza di collegialità e la scarsa collaborazione.

Masiero si dimette: «Poca collaborazione»

TRASAGHIS. «Adesso è il momento di lasciare: il 24 gennaio ho rassegnato le mie dimissioni. L’entusiasmo che mi ha portato ad accettare il delicato compito conferitomi non voglio si perda nell'insoddisfazione, nell'impossibilità di fare e di agire davvero per il bene della comunità di Trasaghis. Ho sempre lavorato per sostenere al massimo l’attuale compagine amministrativa». 

Enrico Masiero, consigliere comunale che in questo quinquennio ha fatto parte della maggioranza guidata dal sindaco Augusto Picco, ha lasciato. Una scelta è motivata da Masiero da una situazione che non lo soddisfaceva: «Secondo coscienza – dice Masiero –, compio questa scelta di interrompere la mia esperienza con questa amministrazione: non sarebbe giusto continuare a occupare una posizione di responsabilità senza la giusta serenità che non ho più, per un insieme di cause. Con l’esperienza che ho dimostrato ai miei consiglieri in cinque anni, ho trovato poca collaborazione: mai un consiglio, mai un programma, non posso più stare con colleghi che non hanno capito che per rialzare l’economia e aiutare i commercianti l’unico vincolo è il turismo coordinato dalle nostre associazioni». 
(Articolo di P.C. dal Messaggero Veneto del 29 gennaio)

A stretto giro, la replica del sindaco Augusto Picco che ha contestato le affermazioni di Masiero definendole una sorta di tattica pre - elettorale per adeguati "posizionamenti".

Dimissioni di Masiero Critico il sindaco Picco: «C’è aria di elezioni»

TRASAGHIS. «Strana questa insoddisfazione palesata a pochi mesi dalle elezioni, non credo serva uno scienziato per capire a cosa sia dovuta». Il sindaco di Trasaghis Augusto Picco commenta così le recenti dimissioni del consigliere di maggioranza Enrico Masiero che nei giorni scorsi ha espresso pubblicamente il malcontento che lo ha spinto a scegliere di abbandonare la squadra di governo comunale a Trasaghis. Il sindaco Picco non nasconde l’amarezza per aver appreso delle dimissioni di Masiero solo dalla lettera presentata in Comune «senza che in questi anni vi siano state da parte di Masiero richieste di chiarimenti o di maggior partecipazione, cosa mai negata ad alcuno e anzi benvenuta. Lascia invece perplesso il metodo scelto, senza alcun confronto che la dice lunga su come il consigliere intenda la collaborazione fra amministratori». «I consiglieri del gruppo di maggioranza – dice il primo cittadino –, a differenza di quanto scrive Masiero, sono stati e sono impegnati e collaborativi, avendo contatti frequenti con il sindaco e la giunta, proponendo iniziative, segnalando le istanze della popolazione e suggerendo soluzioni per le problematiche del territorio. Dispiace inoltre che il consigliere dimissionario si intesti successi in iniziative che lo hanno visto semplice collaboratore, quali la festa del ponte, creata dal sindaco e dalla giunta comunale, festa che poi è stata portata avanti dall’associazione “Noi di Braulins” negli anni successivi». «Capisco che la campagna elettorale – conclude il sindaco Augusto Picco – sia già iniziata ma non accetto che per opportunità di “posizionamenti” un consigliere comunale denigri i suoi ex colleghi, e auspico che i toni nei prossimi mesi possano essere di reciproco rispetto fra i cittadini che vorranno candidarsi alle elezioni comunali». In primavera si andrà infatti al rinnovo dell’amministrazione dopo la conclusione del secondo mandato amministrativo guidato da Picco. 
(Articolo di P.C. dal Messaggero Veneto del 30 gennaio)

Come sempre i lettori sono invitati a esprimersi, sia sulla decisione dell'ex consigliere Masiero sia sulle prospettive che si aprono in vista del rinnovo del Consiglio.
Il tutto, naturalmente, "cun creance e  sintiment".

domenica 27 gennaio 2019

Si perde un altro tassello della memoria del dopo terremoto: addio a Zamberletti

Un altro protagonista del dopo terremoto e della ricostruzione se ne è andato. Quello di Giuseppe Zamberletti è un addio "pesante".

Pubblichiamo la notizia diffusa sulla pagina fb del Sindaco di Trasaghis, alla quale potrà senz'altro unirsi il ricordo di amministratori e gente comune, da tutta la Valle del Lago,  che ha avuto modo di rapportarsi, negli anni che ci separano dal 1976, con Zamberletti.

TRASAGHIS NON LA DIMENTICHERA’, ON. ZAMBERLETTI!

Apprendiamo con profondo dolore della morte dell’On. Zamberletti, avvenuta poche ore fa. Fino a quando la salute glielo ha permesso è sempre corso in Friuli quando lo chiamavamo per ricordare il terremoto. Credo sia difficile per tutti gli amministratori che lo hanno conosciuto esprimere fino in fondo la gratitudine per quanto ha fatto per il Friuli e il profondo legame che lo univa a tutti i friulani.
Ricordo con simpatia quando per il 40° anniversario del terremoto è venuto a Trasaghis a ricordare i nostri caduti volendo commemorare il capitano Ronald George MC Bride caduto ad Avasinis con il suo elicottero durante le operazioni post sisma.
Il Sindaco, la Giunta, il Consiglio comunale e tutti i Cittadini di Trasaghis sono vicini ai suoi cari e si uniscono al profondo dolore per la perdita di un grande politico e di uno straordinario uomo!

                                                   Augusto Picco


venerdì 25 gennaio 2019

Somplago caput mundi. 200mila euro dall'Europa per uno studio sull'elettrodotto

Dall’Unione Europea fondi per il progetto dell’Elettrodotto interrato Wurmlach-Somplago


Via libera degli Stati Ue a 200mila euro per finanziare lo studio dell’elettrodotto che connette il comune friulano di Somplago di Cavazzo Carnico con la località austriaca di Würmlach, in Carinzia. Lo ha annunciato la Commissione europea. Il finanziamento fa parte del programma Ue di sostegno alle infrastrutture transeuropee, Connecting Europe Facility (Cef), per promuovere l’integrazione e la competitività del mercato energetico europeo.
Il progetto, guidato da Alpe Adria Energia, su cui sarà realizzato uno studio consiste in una interconnessione tra Italia e Austria con una tensione di 220 kilovolt (kV), interrata a margine del sedime stradale. L’obiettivo è aumentare la capacità di trasferimento energetico transfrontaliero di 300 megawatt (MW).
Con la decisione, i Ventotto hanno approvato la proposta della Commissione Ue di rafforzare la dotazione del Cef di ulteriori 800 milioni di euro per studi e opere per un totale di 14 progetti: sette per l’elettricità, due per le reti intelligenti, due per il trasporto transfrontaliero di Co2, e tre per il gas.

giovedì 24 gennaio 2019

Una conferenza stampa per dire NO alle centraline

Riceviamo e pubblichiamo:

         CENTRALINE IDROELETTRICHE:
   B A S T A A A !!!

“Il più sublime dei simboli e il più comunitario dei beni, il segno più antico della condivisione, la quintessenza della purezza, è diventato un bene prigioniero. Il rumore dell’acqua che scorre non è più una ninnananna per i nostri figli, i torrenti hanno smesso di essere uno spazio di gioco. Non soltanto nelle città, ma anche nelle campagne. Persino in montagna. Una mutazione culturale drammatica, di cui vediamo le conseguenze: frane, alluvioni, siccità. Non sappiamo più usare l’elemento primordiale  e più diffuso in natura. Da qui una domanda: perché ci nascondono l’acqua?”(Paolo Rumiz scrittore)

Risposta: perché la mandano nelle buie condotte per farne soldi!

Come e perché lasciarla scorrere lo spiegheranno:

Sandro Cargnelutti presidente regionale di Legambiente
Emil Lenisa del Comitato popolare “ Salviamo il torrente Pesarina” Prato Carnico
Gaia Baracetti promotrice della petizione contro la costruzione di una centralina sul torrente Pecol a Dierico di Paularo
Silvio Vuerich  del Consorzio vicinale di Bagni di Lusnizza (Malborghetto)
Claudio Polano del Comitato di opposizione alle centraline sui torrenti Leale,  Palar e Tremugna in Comune di Trasaghis
Michele Tofful e Francesca Iordan, ricercatori che si oppongono alla centralina  sul Rio del Lago di Fusine
Franceschino Barazzutti  del Comitato Tutela Acque del Bacino Montano del Tagliamento sulla centralina San Candido a Somplago
           SABATO 26 GENNAIO 2018 ORE 10

   UDINE, PALAZZO DELLA REGIONE (SALA KUGY)


domenica 20 gennaio 2019

Lago, scende in campo anche Buzziolo

Il noto giornalista Marco Buzziolo ha pubblicato sul suo Blog "Ariaperta" un lungo e appassionato articolo in difesa del Lago:

Salvate il Lago dei Tre Comuni! go dei L’ex sindaco di Cavazzo Carnico, Franceschino Barazzutti, che fu anche presidente dei sindaci del terremoto, vale a dire coloro i quali furono protagonisti della ricostruzione del Friuli terremotato, dedica da sempre il proprio impegno politico, schierato decisamente a sinistra, alla salvaguardia dell’ambiente.
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In particolare, da quando ho memoria di lui, vale a dire da almeno una quarantina d’anni, Barazzutti si è sempre battuto in favore del maggiore dei laghi del Friuli Venezia Giulia, quello sulle cui sponde si affaccia il comune di cui è stato alla guida e che dà al Lago medesimo – ufficialmente denominato Lago dei Tre Comuni – il nome con cui è maggiormente noto: Lago di Cavazzo.
lago
Ebbene, penso che l’opera di questo amministratore, che militava a sinistra del Partito Comunista Italiano e che dunque mi è ideologicamente lontanissimo, sia fortemente meritoria. Tanto meritoria che dico qui, pubblicamente, che se Barazzutti si candidasse a qualche carica importante a livello regionale, cosa che l’età avanzata probabilmente gli sconsiglia di fare, sicuramente guadagnerebbe il mio voto.
Tanto per dire…
Ebbene, ora pare che il suo pluridecennale impegno per tutelare il lago e l’ambiente che lo circonda possa ottenere concretezza con l’indizione, da parte della Regione Friuli Venezia Giulia, di un concorso di idee per risolvere il grave problema determinato dalla centrale elettrica di Somplago che dal 1954 scarica nello specchio d’acqua le acque a loro volta in precedenza scaricate dalla centrale di Ampezzo, nonché parte delle acque del Medio Tagliamento e dei suoi affluenti.
La condotta forzata fa andare le grandi turbine dell’impianto scaricando infine l’acqua gelida nel lago che a sua volta, attraverso un canale, le restituisce al Fiume Tagliamento.
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Una costruzione, quella della centrale di Somplago, realizzata in caverna e dunque con scarso ed accettabile impatto visivo, ma che ha modificato e modifica tutt’ora l’ambiente lacustre portando nel lago grandi quantità di limo che si deposita sul fondo con immaginabili conseguenze. Non solo, ma le acque gelide del Medio Tagliamento hanno raffreddato notevolmente quelle prima temperate del lago, facendo sparire le specie di pesci che ne costituivano la fauna ittica originaria.
Sparita la Carpa, sparita la Tinca, sparita la Scardola, sparito il Persico Reale, sparita pure la Trota di Lago originaria, sostituita negli anni da quelle immesse dagli allevamenti per favorire la pesca sportiva, ma che sono ben altra cosa delle trote lacustri e che ora non possono essere più immesse, dato che le norme impongono solo trote autoctone.
Come esperienza personale vi riferisco che negli anni ’90 sostenni l’esame per il Terzo Grado FIPS come sommozzatore proprio nel Lago di Cavazzo e posso testimoniare sia sulla gelida temperatura delle sue acque, sia sul fatto che esse sono tanto torbide che stendendo il braccio davanti agli occhi, quando si è a soli cinque metri di profondità già non si vede più la mano…
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Ora, come dicevo, la Regione pare decisa a modificare questa situazione realizzando uno scarico per la centrale che non finisca nel lago, ma raggiunga direttamente il Tagliamento, consentendo così allo specchio d’acqua di ripristinare, nei tempi che la Natura richiede, le proprie condizioni ambientali originarie.
L’augurio è che davvero quest’opera possa essere realizzata e che gli sforzi di Franceschino Barazzutti possano essere finalmente coronati da successo
Ricordo, a tal proposito, che diversi anni or sono, precisamente nel 1991, quando ero direttore responsabile del Notiziario dell’Ente Tutela Pesca del Friuli Venezia Giulia, Franceschino ed io realizzammo un servizio “a quattro mani” proprio sul Lago di Cavazzo nel quale si ponevano in evidenza i problemi di cui vi sto parlando e che già allora apparivano evidenti e pressanti.
Lui fece l’intervista chiave del servizio ed io scattai le foto.
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In quel frangente, Franceschino mi fece conoscere colui che era l’ultimo pescatore di professione del Lago di Cavazzo ancora vivente fra quanti, molto tempo prima e fino alla conclusione della Seconda Guerra Mondiale, procuravano di che vivere alla famiglia con quel faticoso mestiere. Si chiamava Valentino Billiani, noto in zona con il soprannome di Tin dal Cuk, classe 1907 e di lui vi propongo alcune delle foto che gli scattai in quel frangente.
Valentino, quando era in attività, pescava stendendo le reti o posando le nasse con la barca, un natante caratteristico di costruzione locale, la cui foggia vedete appunto in queste vecchie immagini.
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Ci raccontò che prima dell’avvento della centrale il lago era alimentato solo dal Torrente Schiasazza e da polle sotterranee di acqua pura e tiepida. Una di queste polle era ubicata ai piedi di un colle chiamato “Band” ed era ben visibile sul fondo quando la superficie del lago non era increspata dal vento e metteva dunque in evidenza il movimento dell’acqua provocato dalla polla sorgiva. Una fonte di alimentazione idrica che consentiva al lago di non calare di livello nemmeno nei periodi di forte siccità.
L’immissario, il Torrente Schiasazza, svolgeva un ruolo fondamentale nel processo riproduttivo delle trote che risalivano il suo corso nel periodo della frega, mentre le piene del torrente provvedevano a portare nel lago il novellame nato dopo la schiusa delle uova.
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A vivere di pesca erano diverse famiglie, che alternavano questa attività con quelle agricole, mentre la pescosità del lago era anche motivo di richiamo turistico, tanto che i paesi di Alesso, Interneppo e Somplago avevano ciascuno un albergo.
In quei tempi!
Con l’avvento della centrale, utile ed anzi indispensabile per lo sviluppo industriale che all’epoca cominciava a prendere l’abbrivio, ma sorta in tempi nei quali di solito non si prestava soverchia attenzione ai problemi ambientali, tutto questo finì ben presto, a quanto pare anche con effetti sul microclima della zona dato che il raffreddamento delle acque del lago modificò il suo influsso termoregolatore.
Che finalmente si sia dunque giunti ad una svolta positiva?
E’ ancora presto per dirlo e le esperienze negative del passato non autorizzano eccessivi ottimismi sulla volontà politica concreta di giungere alla soluzione dei tanti problemi dell’ambiente – soprattutto nel consumo di territorio – che si sono venuti a stratificare in Friuli col passare del tempo.
Tuttavia, perlomeno un inizio sembra avviato e solo il tempo vedrà se i pubblici amministratori regionali stiano facendo sul serio, oppure se, una volta di più, ad un certo punto preferiranno nascondere la spazzatura sotto il tappeto, dimenticandosene per altri decenni.

giovedì 17 gennaio 2019

Polano: perché sì al by-pass per il Lago

Riceviamo e pubblichiamo:


Rinaturare il Lago di Cavazzo con un concorso europeo di idee, finalizzato al recupero della sua naturalità e plurima fruibilità!

Questo è stato ed  è il sogno nel cassetto di molti Amministratori locali, di Associazioni, Comitati e semplici cittadini della Val del Lago e non. Infatti da quando è entrata in funzione, a fine anni ‘50, la centrale idroelettrica di Somplago, l’allora lago temperato, è diventato un freddo e limoso lago alpino, a causa delle acque provenienti dai bacini della Carnia. Negli ultimi anni, anche grazie alla costante e responsabile azione dei Comitati Salvalago, la Regione si è dimostrata sensibile, ritenendo inaccettabile il degrado del nostro lago, che senza un drastico intervento, è destinato a diventare una palude nell’arco di un secolo. Per questo, in  alcuni puntuali atti regionali, sia a livello consiliare che giuntale, è stato prima affermato il concetto che per evitare il progressivo snaturamento  in ambiente palustre, venisse presa in considerazione la possibilità di realizzare un canale di bypass, per convogliare le acque in uscita dalla centrale, direttamente all’attuale  scarico del lago nella galleria e quindi nel torrente Leale. A questo primo atto di indirizzo, ha dato risposta il Piano Regionale di Tutela delle Acque del 2018, che al punto 3.2.3, recita che “ dovrà essere valutata la fattibilità tecnico/economica di realizzazione di un canale di bypass o di altra soluzione progettuale, che mitighi l’impatto dello scarico della centrale di Somplago sul lago, con lo scopo di recuperare le condizioni di naturalità del lago stesso e di garantirne la fruibilità.” Arriviamo così alla L.R. 6/2/2018 n°3, che all’articolo 11, comma 1 e 2, stabilisce di indire un concorso di idee, anche in eventuale concorso con le due UTI e i Comuni rivieraschi, “ per la predisposizione di un documento che contenga una valutazione di fattibilità di possibili azioni di mitigazione, anche finalizzata alla rinaturalizzazione e valorizzazione ambientale e turistica “. Per questa finalità del concorso viene destinata la somma di ben 50.000 E. In seguito a cio’ la Regione/Assessorato all’Ambiente sta predisponendo il bando di concorso, che arriverà in Giunta regionale a breve. Ma c’è un ma. Tutti si sono dichiarati d’accordo su questo concorso, salvo gli attuali Amministratori di Cavazzo, che a partire da un incontro con l’ex Assessore all’Ambiente, Sara Vito, hanno affermato che del bypass non si deve neanche parlare, perché a loro dire, tale scarico garantisce la vita e la salute del lago! ( come se il lago non fosse esistito in salute prima della centrale ! ). Inoltre, anche recentemente il Sindaco Borghi ha affermato che quei soldi andrebbero invece  spesi per piccoli lavori di miglioramento di sentieri e altri interventi a fini turistici e addirittura “ per nuove piccole attività commerciali sulle rive “. I Comitati sono inoltre stati accusati di fare cattiva informazione, ma crediamo che sia impossibile per chiunque smentire quanto affermato dai ricercatori dell’Ismar del CNR di Bologna riguardo le attuali condizioni  del fondale del lago e sia dall’ing. Dino Franzil che dall’ing. Franco Garzon, (incaricato anche dal Comune di Cavazzo ), che nei loro rispettivi studi, hanno dichiarato che il lago in 100/110 anni sarà verosimilmente riempito di fango e resterà solo un corso d’acqua al centro! Ecco perché le piccole cose sono palliativi senza respiro temporale, poiché fino a quando il lago sarà gelido e limoso, non ci potrà essere alcuna valenza turistica o legata alla pesca. Ecco perché è necessario riportarlo alle condizioni naturali di un tempo, impedendo nel contempo la sua rapida trasformazione in palude. Noi invece condividiamo pienamente l’iniziativa regionale che abbiamo  invocato con forza e responsabilità. Sottolineiamo anche che con la realizzazione del bypass verrà garantito il funzionamento della centrale, la eventuale irrigazione della pianura, la rinaturalizzazione del lago e conseguentemente la sua plurima fruibilità. Circa i costi del recupero ambientale sara’ la valutazione tecnico/economica e il concorso di idee ad indicarli. I finanziamenti per realizzare l’opera potranno venire da diverse fonti, europee comprese, non escludendo quelle società, le cui opere hanno sconvolto il bacino lacuale, traendone nel contempo lauti profitti. Una Val del Lago che finora ha solo “ dato “ e che ora pretende di “ avere “. Anche se alcuni incomprensibilmente sono contrari a un intervento risolutore per il lago, la valle e i suoi abitanti. Perché lo fanno?


                                                                    Claudio Polano



venerdì 11 gennaio 2019

Lago, concorso di idee, by-pass: la posizione del Sindaco di Cavazzo

I lettori valdelaghini ricorderanno senz’altro le ultime tappe della “Questione Lago”: la decisione della Regione, dopo le richieste dei Comitati e altri movimenti d’opinione di indire un concorso tecnico per verificare la possibilità di realizzazione del by-pass (gennaio ’18), la “dissociazione” da tale scelta del Comune di Cavazzo (aprile ’18, vedi https://cjalcor.blogspot.com/2018/04/lago-il-comune-di-cavazzo-contrario_21.html  e https://cjalcor.blogspot.com/2018/04/lago-il-comune-di-cavazzo-contrario.html ), le prese di posizione dei Comuni di Bordano e Trasaghis (fine aprile) e della minoranza consiliare di Cavazzo favorevoli alla indizione del concorso (maggio-giugno), la presentazione degli studi Ismar (17 maggio), i rilievi della Goletta di Legambiente sul Lago (14 luglio…).
Da più parti era stata chiesta una esplicitazione della posizione del Comune di Cavazzo: c’era stata una intervista del sindaco durante la “festa del pesce” a Somplago ((8 luglio, vedi https://cjalcor.blogspot.com/2018/07/il-sindaco-di-cavazzo-sul-by-pass-siamo.html ) e, a fine anno, sul numero unico del Notiziario comunale di Cavazzo è stato pubblicato un intervento al riguardo che qui si trascrive, per opportuna conoscenza:

Lago: su questo argomento penso ci sia cattiva informazione, pertanto tralascio polemiche e prese di posizione radicali che non mi appartengono. Preferirei tavoli di dialogo allargati su cui si discutano obiettivi e azioni per uno sviluppo di un’ area che vada nell‘interesse della nostra comunità e di chi la frequenta, non certo per accontentare portatori di idee solo ed esclusivamente ambientaliste fini a se stesse e poco illuminate. La mia idea di valorizzazione del nostro lago passa prima di tutto attraverso le piccole cose. In maniera molto semplice ho chiesto alla Regione interventi veri e non solo progettazioni che arricchiscono solo gli studi professionali e vi assicuro sono l'ultima cosa di cui abbiamo bisogno.
È giunto il momento di fare, e le cose da fare subito e a basso costo sono quelle che tutti noi auspichiamo, ovvero: pulizia e valorizzazione delle sponde attraverso il recupero delle stesse e dei pendii, creazione di percorsi e aree attrezzate dedicati ad attività sportive, realizzazione di una sentieristica per ogni tipo di frequentazione, predisposizione aree per piccole attività commerciali e molto altro... perché da cosa nasce cosa. Il Comune di Cavazzo sta chiedendo da tempo alla Regione di farsi parte attiva nel mettere intorno a un tavolo regione, sindaci, amministratori e responsabili delle grandi infrastrutture esistenti sulla sponda nord, per disegnare e attuare quanto sopra e da cui non è mai stato dato riscontro. Anzi, non è mai stato dato 1 euro!
La posizione dell’Amministrazione quindi non è ”Bypass si o Bypass no", è semplicemente quella sopra descritta.
Per questi motivi abbiamo chiesto di usare prioritariamente i fondi regionali (50.000,00) per fare qualcosa, che non siano progetti per delle opere che, verosimilmente, visti i tempi e i costi faraonici, nessuno realizzerà.
Altra cosa sono gli studi speculativi validati, che generano evidenze scientifiche, che a loro volta consentono di diagnosticare i problemi e di ipotizzare l'evoluzione dei fenomeni su cui il Sindaco, costruisce le sue idee e basa le sue decisioni.
Questi però hanno i loro tempi, e rispondono solo ai rigori della ricerca scientifica, mentre un Sindaco deve rispondere del contingente e alla sua gente. Altra cosa ancora sono le situazioni di fatto, le reali risorse finanziarie a disposizione, le priorità da affrontare, la tutela e il sostegno delle attività produttive, la difesa dei posti di lavoro. Nel nostro territorio io ci sono e ci devono essere tutti i giorni, ma non con la bandiera nera che mi è stata attribuita, ma con il tricolore.
Quel tricolore che i miei cittadini mi hanno consegnato quasi 5 anni fa.
Un caro saluto a tutti
Gianni Borghi – Sindaco
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La posizione del sindaco è dunque netta: no al concorso di idee, perché arricchirebbe solo gli studi tecnici; irrealizzabile il by-pass, composto da “opere che, verosimilmente, visti i tempi e i costi faraonici, nessuno realizzerà”, preferibili “piccole cose, interventi veri, cose da fare subito e a basso costo”.

È dunque una “lettura diversa” del futuro del Lago e della Valle, quella che si ipotizza a Cjavaç. Ne vogliamo discutere (ovviamente “cun creance e sintiment”)?

martedì 8 gennaio 2019

"Obiettivo su Bordano & Interneppo" - 9 - L'ancone de Braide

L’Ancone de Braide: stralci di una piccola storia di campagna


Maine, incone, ancone: termini impossibili da non conoscere e da non prendere in considerazione per chi ha fatto della vita nei campi e nei fondi le proprie radici e il fondamento della propria esistenza; dunque un presupposto non proprio combaciante con la società attuale, nemmeno in quei contesti che una volta invece si ritrovavano in questa descrizione. Eppure e per fortuna questi piccoli manufatti del passato, troppo grandi per essere definiti semplici oggetti ma troppo piccoli per essere edifici, ancora punteggiano le campagne friulane e gli antichi passaggi sui versanti delle montagne. In italiano li troviamo anche come ancone, anche se di solito in riferimento alle controparti che vengono collocate nelle chiese, ma possiamo anche definirli come altarini o icone, nome che è anche il più simile al termine greco (“eicona”, ossia “immagine sacra”), poi passato al latino, da cui deriva il nostro ancone, che è quello che ci interessa. Se non dovesse essere ancora chiaro, queste piccolissime costruzioni erano frutto della religiosità dei nostri antenati, realizzate massimamente fino al secolo scorso (anche se ci sono alcuni rari casi del nuovo millennio), ma trovavano anche un’utilità pratica per coloro che si dovevano spostare per monti e valli e che riconoscevano in essi dei validi punti di riferimento, quasi come dei cartelli stradali. Paragone azzeccato se pensiamo anche che spesso si trovano non solo lungo sentieri o strade ma anche presso incroci. Inoltre potevano anche essere punto di sosta durante le rogazioni, che in pianura così come in ambienti montani e pedemontani per secoli hanno visto il succedersi di processioni, litanie, speranze invocate. Il Nuovo Pirona così le descrive: “Tabernacoletto, cappelletta aperta da un lato, o pilastro con un’immagine sacra, in nicchia, costruiti ai crocicchi delle strade, specialmente in campagna, per devozione o per riparo dei viandanti”. Il mito poi attribuisce l’erezione delle più antiche anconis su siti già occupati da tempietti pagani longobardi.

Anche il territorio di Bordano e Interneppo c’ha la sua bella collezione di anconette, o meglio, c’aveva, prima cioè che buona parte di esse andasse danneggiata o persa col terremoto del ’76 ma anche per semplice incuria nel corso dei decenni. Fortunatamente la memoria, mai del tutto svanita, ha permesso di fissare immagini e ricordi e di recuperare vecchi scatti anche in bianco e nero; gli studi sulla toponomastica hanno poi fatto il resto. Abbiamo insomma i mezzi per sapere dove si trovavano anche quelle scomparse. Come capita non proprio di rado dopo degli stravolgimenti, tanto più se dirompenti come i terremoti, ma anche per cause meno violente, alcuni elementi, in questo caso le ancone, solo apparentemente sembrano perduti, mentre invece hanno semplicemente cambiato ubicazione, scenario. Ma dopo questo non si potrebbe pensare a una falsificazione della storia? Beh, a tal riguardo io sono molto generoso in quanto reputo lo stesso spostamento parte della storia, e la storia non può essere mai falsa. È un po’ come quando ricostruiscono con nuovi materiali ma nelle stesse forme un edificio, solo che in questo caso è il contrario: l’anconetta è esattamente la stessa, ma se chiedessimo ad un antenato di altre epoche di andarla a cercare non la troverebbe nel luogo in cui era abituato a vederla. Mi sento dunque di tracciare un piccolo identikit storico-geografico proprio di un’anconetta di inizio ‘900 che ha trovato nuova casa, raccogliendo l’invito lanciato ormai nel lontano aprile 1986 sulla relativa uscita del periodico “Monte San Simeone” e col quale si stimolavano i lettori a fornire informazioni su questi piccoli templi della semplicità contadina. Parlo dell’Ancone de Braide

L’anconetta della Madonna col Bambino oggi, o meglio, in una mia foto del 2009. Uguale nelle linee all’originale, nonostante lo spostamento, con ancora dei bassorilievi molto lievi dai quali però si riesce a leggere “MCMIII”.
Oggi per chi si dirige da Bordano verso Pioverno è praticamente impossibile non notarla se si passa a piedi, ammenoché non si sia particolarmente di fretta; la sua posizione infatti cattura facilmente l’attenzione. Fa infatti bella mostra di sé, incastonata in un grazioso muretto di ciottoli, all’angolo tra Via Divisione Ariete e Via Pioverno, nell’estremità orientale dell’abitato di Bordano. Rientra nell’elenco di nove anconette le cui foto sono state riportate dall’articoletto della già citata uscita del periodico locale. Due di queste posseggono una nicchia che termina con un arco a sesto acuto, una di esse è la nostra. Pochissimi i blocchi di cui è composta: uno alla base, due per lato (quelli superiori naturalmente sono curvati) uno a rappresentare l’altare e in cui è incisa la data della sua creazione, l’ultima a noi nota perlomeno (1903), e infine quello in cui è stata scolpita molto grezzamente la Madonna col Bambino. Eppure è proprio l’essenzialità e la semplicità di queste testimonianze che le rende un elemento così armonioso e caratteristico degli agri e dei sentieri dei nostri vecchi paesi. L’ubicazione attuale secondo me non solo valorizza il piccolo manufatto, in quanto incorniciato da altri elementi lapidei e quindi materialmente in sintonia, ma contribuisce a ricordarci quel significato che un tempo era tanto prezioso, ossia quello di punto indicatore, trovandosi quasi in atteggiamento di saluto per coloro che stanno lasciando il paese per muoversi verso est.

Abbiamo però detto che lì ci finì in tempi relativamente recenti. Mio padre Oscar Rossi infatti mi ha svelato che la stessa in origine fu collocata in una braida di proprietà della famiglia di Giuseppe Colomba Bresse (1858-1931) e di Luigia Colomba Sualdut (1859-1939), genitori di Antonio Giacomo (1889-1921), a sua volta nonno materno di mio padre,  per poi finire nella posizione attuale dopo il terremoto, a causa della vendita del terreno nel 1983 da parte della madre di mio padre, Vilma Colomba (1920-2014), e della madre di quest'ultima, Maria Picco Briscjo (1890-1985), essendo all'epoca di loro proprietà. Proprio lì fu quindi edificata un'abitazione. 


Cartina topografica relativa alla conformazione del paese e della sua campagna prima del 1976. Il numero 11 sono le Braides, l’8 è il Pradón; il cerchio rosso indica la posizione della Braide d’Ancone e quindi dell’anconetta prima del terremoto, all’epoca ancora nel cuore della campagna, mentre quello blu è la posizione attuale, tra il Pradón e il Naréit, quest’ultimo macrotoponimo che identifica tutta la parte settentrionale della piana di Bordano. (foto ricavata dal libro di Costantini, vedi fonti)

Ma non fu un’operazione isolata, anzi praticamente tutto il settore orientale di Bordano (vale a dire l’area grossomodo delimitata da Viale Udine e dalle Vie Canada, Divisione Ariete, Pioverno e Venzone), oggi caratterizzato in particolare da singole villette, oltre che dalla fondamentale presenza della Casa delle Farfalle, e che una volta era parte consistente della tavella del paese, interrotta qua e là solo da qualche edificio isolato, si trovò dopo il sisma ad essere occupato dalla baraccopoli per i terremotati in un primo momento (a est dell’attuale Via Campo Sportivo in quanto era la parte più sgombra) e poi, quando la ricostruzione fisica e sociale del paese stava ormai trasformando per sempre il volto di Bordano, dal quartiere odierno, che ha spostato di circa 250 metri il confine urbano verso le grave del Tagliamento. Anche se in questo articolo non ci interessa nello specifico l’evoluzione della campagna a est di Bordano né tantomeno la formazione di questo nuovo ed esteso quartiere (esteso relativamente alle dimensioni assai esigue di un villaggio come Bordano ovviamente), è utile adesso dare un’occhiata alla precisa località che trovava nell’anconetta in questione il suo simbolo, in quanto solo così si può capire come fosse differente il contesto delle precedente ubicazione da quello attuale.
 
Foto non datata ma evidentemente scattata negli anni ’80, in quanto il paese è già ricostruito ma c’è ancora il quartiere di casette post-terremoto. La strada quasi perpendicolare al centro è Via Campo Sportivo, parte della vecchia Strade dal Pasc, e la prima casa in basso al centro e sulla sinistra della strada è proprio quella che fu edificata al posto della Braide d’Ancone. (foto ricavata dal libro di Costantini, vedi fonti)
Restringiamo il campo: la parte più esterna di questo quartiere, ossia i terreni a cavallo di Via Divisione Ariete e Via Canada, solo in parte urbanizzata ed anzi frammentata ancora in vari appezzamenti di boscaglia, di prati o di piccoli coltivi, è detta Braides (letteralmente “Braide”, che normalmente nel friulano standard sta a significare piccoli poderi recitanti, mentre a Bordano indica piuttosto campi e prati esterni all’abitato e dunque anche di una certa estensione), confinante a est con la Roe e con il Pradón, un’altra località agricola ancor’oggi e subito a sud-est del punto in cui si trova l’anconetta. “Braide”, essendo plurale, in realtà è un collettivo e quindi indica in vero non una singola località ma un insieme che genericamente può essere così denominato. Sappiamo infatti che la micro toponomastica agreste ha raggiunto livelli di precisione e puntigliosità notevoli se pensiamo che un tempo praticamente ogni campo, ogni terreno aveva il suo nome, poi tramandato o sostituito o proprio persosi nel tempo e nei carteggi. Uno di questi fondi in Braides (o Braidies, nel gergo bordanese locale) era la Braide d’Ancone; ed ecco dunque il palese riferimento alla nostra icona sacra. Il nostro appezzamento, come abbiamo detto, fu occupato pochi decenni fa da un fabbricato, oggi posto nell’ultimo tratto di Via Campo Sportivo, quasi all’angolo con Via Canada e quindi a due passi dalla Casa delle Farfalle. Il muro di cinta attuale corre su quello che una volta includeva l’anconetta.

Via Campo Sportivo, chiamata banalmente così in quanto conduce al campo da calcio della locale squadra del Bordano, altro non è che il primo tratto del ramo occidentale della romana Iulia Augusta una volta passato il Tagliamento a Ospedaletto. Anche se questa è tutta un’altra storia, in un certo senso valorizza l’esistenza dell’Ancone de Braide, in quanto, anche se in epoche del tutto diverse da quelle dei cesari, fu uno dei punti di riferimento lungo questa erede della citata fondamentale arteria dell’antichità in territorio friulano, a riprova di come queste piccole costruzioni non fossero collocate a caso ma in passaggi ben precisi. Dando un’occhiata al Catasto Austriaco del 1843, si noterà come la strada fosse denominata “Strada Comunale di Mezzo la Campagna” e che partiva da Plaçute, come la strada per Pioverno, e che quindi coincidesse con la prima parte della nostra Via Roma, oltre che appunto a buona parte di Via Campo Sportivo. Dico “buona parte” perché in effetti a un certo punto nella carta ottocentesca la strada vera e propria termina, anche se dei segni tratteggiati che continuano fino al Tagliamento (il cui alveo all’epoca era molto più prossimo al paese, arrivando a distare circa 150 metri dall’attuale campo sportivo verso il paese) fanno intendere che comunque un sentiero, forse reimpostato proprio sulla vecchia Iulia Augusta, doveva sempre esistere. In cartine più recenti, ma pre-terremoto, si intuisce l’intero percorso attuale con tanto di campo sportivo già aperto. Tornando alla denominazione di metà Ottocento, il termine “Campagna” ci ricorda che già a sud di Plaçute all’epoca il paese era sostanzialmente finito e che tutto quello che avremmo osservato fino alle grave del Tagliamento era una grande campagna attraversata proprio dalla strada su cui si affacciava l’anconetta. Ma il nome italiano sicuramente non era quello di uso popolare, che invece doveva essere Strade dal Pasc, come registrato dal Costantini. Il Pasc era una porzione della piana adibita a pascolo e che includeva anche il sito del municipio di oggi; proprio da qui la strada conduceva alle Braides. Insomma una grande distesa verde al cui centro spiccava la nostra anconetta. Braides in cui certamente si coltivava, mentre oggi la stessa zona è un mosaico di prati, giardini privati, piccole strisce a granoturco, qualche frutteto e tanta, troppa sterpaglia e giovani alberi.
 
Mappa con segnato il tracciato del ramo della Iulia Augusta che passava il Tagliamento, tagliava in due la piana di Bordano e poi continuava alle pendici del San Simeone, del Festa per poi arrivare in Carnia ed entrare in Austria attraverso il Passo di Monte Croce Carnico. Come potete notare, la sovrapposizione con la Strade dal Pasc è praticamente assoluta. (foto ricavata dal libro curato dalla SFF, vedi fonti)
Un’osservazione che mi permetto di fare è la seguente. Con l’abitudine assai diffusa di denominare un terreno, soprattutto se in piano, con un nome proprio di persona, risulta interessante notare come invece in questo caso ad essere protagonista del toponimo sia proprio un’anconetta, una delle tante dopotutto; per esempio nell’elenco della toponomastica del Costantini su Bordano questo è l’unico riferimento toponimico circa le braide che non deriva da nome o soprannome. A maggior ragione, se proprio questa ancona e non un'altra ha lasciato l’impronta nel nome di una parte di campagna, è da considerarsi forse più importante di altre, almeno quando si trovava nella posizione originaria. Ma se questa Strade dal Pasc, oggi in parte Via Campo Sportivo, sostanzialmente ricalca la vecchia strada romana, e se queste anconette da sempre le avremmo trovate presso passaggi viari, anche e soprattutto di una certa rilevanza come questo, allora è possibile ed anzi probabile (sempre secondo me) che questa del 1903 non sia altro che l’ultima di una serie di icone, capitelli, tabernacoli e magari piccoli tempietti, come al tempo dei Longobardi, che nei secoli e nei millenni hanno ricordato ai viaggiatori la retta via. Certo, negli ultimi capitoli di storia bordanese sappiamo che in questo punto non si guadava il Tagliamento, in quanto già c’era l’attracco con le barche a Braulins (poi il ponte) e a Lassù da Roste, nella parte nord della piana di Bordano (vedi articolo apposito), ma è bello pensare che almeno in antichità qui, proprio qui al centro della nostra piana, un piccolo manufatto, con la sua non appariscenza, abbia quasi finto di ergersi a mo’ di erede di qualche ipotetico e più solenne sacello.

                                                        Enrico Rossi 

Fonti principali:

Libro "Bordan e Tarnep: nons di lûc", Enos Costantini, 1987
Libro “Bordan e Tarnep: nons di int”, Velia Stefanutti, 1988
Libro "Val dal Lâc", a cura della Società Filologica Friulana, 1987
Periodico "Monte San Simeone", aprile 1986

Testimonianze orali di Oscar Rossi

giovedì 3 gennaio 2019

Lago, per l'ing. Franzil non c'è pericolo che si prosciughi, ma il by-pass va fatto

Diversi organi di informazione, sul web, hanno riferito in questi ultimi giorni del documento diffuso dall'ing. Dino Franzil in merito alla situazione attuale e alle prospettive del Lago. Si tratta di un documento complesso di cui, solitamente, è stata offerta una sintesi,
Qui viene invece diffuso integralmente il testo inviato dall'ing. Franzil: sono state solo aggiunte alcune sottolineature per facilitarne la lettura.
Come sempre, i lettori possono intervenire con commenti e osservazioni.

ORIGINE ED AUTONOMIA VITALE DEL LAGO DI CAVAZZO

Dagli studi dei nostri geologi, fra cui M.Gortani ed F.Feruglio, risulta che, un tempo lontano, nella valle del Lago di Cavazzo, alias, Lago dei Tre Comuni, vi era il mare ed in seguito il Grande Lago della piana di Osoppo. Dalla fine del Tilaventino, ultima era glaciale di diecimila anni fa, il Tagliamento ha iniziato l’inghiaiamento di quel lago ed i torrenti ”Leal e  Palar”, in primis, coadiuvati dalle deiezioni delle montagne franose  circostanti, chiusero il fondo valle. In seguito, il Palar trasportò ghiaia  verso est formando la morena su cui posa Alesso e confinò il nostro Lago che visse fiorente fino alla  costruzione della centrale idroelettrica a metà  del secolo scorso. 
Le conseguenze di questo devastante impianto sono state evidenziate dai  recenti studi, del sottoscritto, in “Lago-Energia-Ambiente” e dai rilievi dell’Istituto di Scienze Marine (ISMAR) di Bologna del Consiglio Nazionale Ricerche (C.N.R.). Risulta che, per colpa della centrale idroelettrica di Somplago, che da oltre mezzo secolo scarica acque fredde e limose, il  fango trasportato ha ricoperto abbondantemente il fondale seppellendo le alghe ed assieme al freddo ha fatto estinguere quasi totalmente la vita biologica lacustre ed anche quella ittica che un tempo era molto varia ed abbondante. 
Inoltre, è stato valutato che “il Lago scomparirà” tristemente in meno di cento anni, perché lo stesso fango lo riempirà e lo trasformerà in una palude attraversata da un canale. Deviando lo scarico della centrale, con tubi o galleria, il Lago non solo  diventerà più caldo, ma riacquisterà anche la sua “antica autonomia vitale”, come ora dimostrerò analizzando i fattori che la determinano, ossia la piovosità, l’evaporazione e l’apporto idrico diretto. 
I rilievi pluviometrici dicono che nella Valle del Lago, sui 21 kmq del bacino imbrifero montano, negli ultimi decenni sono caduti in media 2800 mm/anno d’acqua, equivalenti a 230/235 mm/mese, e che mediamente è stata rilevata una temperatura di 16 C° ed un’umidità del 72%.  Ora, considerando la conformazione geologica del sito, si stima che il 25%  dell’acqua piovana, filtrando, vada nelle falde freatiche e che i rimanenti 43 milioni di metri cubi/anno arrivino nel Lago in parte con veloce scorrimento superficiale, ed in parte lentamente attraverso le numerose sorgive del fondale ancora attive. A  questo si aggiunge l’apporto diretto della la pioggia sul bacino valutato di 3,25 milioni/mc anno. Poi vi è anche il contributo continuo del rio Scjasazze, che con un minimo di 200 litri al secondo, versa almeno 6,3 milioni/mc anno.  Allora, sommando, l’apporto complessivo nel Lago si aggira sui 52,5  milioni/mc anno, ma da questo occorre detrarre l’acqua di evaporazione. Calcolandola con la formula di Vicentini per i piccoli laghi, dall’attuale superficie lacustre stimata di 1.115.000 mq, con una media termica dell’aria di 16 C° ed umidità del 72%, l’evaporazione asporta una quantità d’acqua prossima a 1,5 milioni/mc anno. Quindi, arrotondando i valori, nel Lago arrivano, per statistica, non meno  di 51 milioni/mc d’acqua/anno, ossia circa 140.000 mc/giorno. Questo potrebbe portare ad un aumento di livello dell’acqua del Lago di ben 12,5 cm/giorno e, come un tempo, con le grandi piogge, “las montanas”, defluire nell’antico canale “Taj”. Oggi, ciò non può avvenire perché quest’acqua naturale è costretta a scaricarsi nell’emissario  artificiale della centrale. Quindi, si può immaginare che il suo deflusso  continuo sia come una roggia che trasporta 1,6 mc/sec. Non è poi tanto  se la centrale scarica giornalmente ben 1.900.800 mc, ossia 22 mc/sec.  
Inoltre, non bisogna dimenticare che, nel contributo d’apporto, non è  stato considerato quello del “Palar”, difficile da valutare, ma continuo. L’acqua del torrente Palar , che scorre ad ovest in un letto ben 40m più in alto, passa sotto Alesso, filtra nella citata morena alluvionale ed alimenta il Lago con le famose sorgive di fondale chiamate “Busins” di forma circolare e conica, a me note sin dall’infanzia. Infine, analizzando bene gli studi dei citati geologi si scopre che “il bacino  del Lago” fa parte di quell’antico, profondo e ben più grande bacino che oggi configura le faglie freatiche. Detto questo, si conclude che l’affermazione gratuita “Il Lago scompare se manca l’acqua di scarico della centrale”, fatta da noti personaggi locali, non può essere altro che una penosa bufala speculativa. Infatti, la “Scienza” afferma il contrario: “Il nostro Lago non si prosciugherà mai, a meno che non smetta di piovere ed anche avverte che se non verrà costruito un bypass per isolare la centrale, il bacino si  trasformerà in una putrida palude in circa 95 anni!” .  Si deduce che il bypass è’ un’opera che “si deve fare”! Il Lago è un bene inestimabile da salvare, rendere fruibile e da tramandare sano! “Rinaturalizzarlo” è ritenuto un dovere per i governanti dabbene, ai quali, tale opera, non può non provocare uno stimolo morale per spingerli a porre rimedio, almeno in parte, ai noti ingenti disastri causati all’ambiente ed all’economia della Valle, da concessioni, progetti ed opere inique, che da più di mezzo secolo trasferiscono altrove le risorse locali e quelle del Friuli".
Ing. Dino Franzil - Membro del C.D.S.L. Comitato Difesa Sviluppo del Lago tre Comuni 

mercoledì 2 gennaio 2019

Festa dei coscritti di Alesso: emozioni vive e ... punti di vista diversi

Emozioni, e tante, nella tradizionale festa dei coscritti di Alesso ("sempre uguale, sempre diversa") che ben possono essere riassunte nelle parole partecipate di Anna Rabassi:

Mezzanotte in piazza ad Alesso. È tradizione. Come fai ad andartene? Come fai a non salutare i tuoi compaesani, i tuoi amici, i nuovi ventenni, i frizzanti quarantenni e i simpaticissimi sessantenni? Gli ottantenni sono sempre più gagliardi; poi trentenni, cinquantenni e settantenni allietano ancor più la festa. In tanti è bello, in tanti si festeggia meglio! Poi rintoccano le campane. Sfila la bandiera del 1919. Un primo colpo al cuore. La bandiera della mia nonna; e già l'occhio tradisce quella commozione che solo un nipote può provare ricordando l'amore di un nonno. Dietro quella bandiera c'è però una piccola (ma grande, fidatevi, grandissima) donnina dai capelli bianchi, soffici, occhi azzurro ghiaccio, proprio come la mia nonna. Ma sì, è la Elsa! 100 anni! Dico io...100 anni ed Elsa sfila, commossa con la sua bandiera aiutata dai più giovani. Scroscia un applauso sentito in tutta la piazza. 
La ritrovo al bar, seduta con la sua famiglia e un bellissimo bouquet di rose rosse. Mi avvicino e mi fa: "cagna da l'ostia na tu vens mai a cirimi!". E ha pure ragione. "Elsa" le dico "tu sês massa fuart, la miôr. Mi samea di iodi nona chi dongja di te. Tu mi âs fat una biela sorpresa e un biel regâl". E lei si commuove. "Io e tô nona i vevin un mês di difarenza. Iêi di avost, io di setembre". E lì mi commuovo pure io. L'abbraccio forte. Fortissimo. Le nonne hanno tutte lo stesso odore. Odore di amore vero come la Elsa.
La saluto e le prometto che stavolta vado a trovarla sul serio e stiamo un po' assieme.
Me ne vado e lei mi saluta "tencj cont fruta e va tal iet cumò".
"E tu Elsa, stastu ancjmò chi tal bar?"
"Prin i met a durmî chei chi (rivolta a figlio, nuora e nipote) e dopo, si ai voia, i voi io!"
Grande Elsa, mille, mille di questi giorni felici. Sei stata la mia sorpresa più bella di questo 1 gennaio! Che Dio ti benedica 

In mezzo, e a lato della festa, però, anche due considerazioni di carattere diverso.
La prima, diffusa su facebook, viene da una riflessione nei rapporti tra le classi. Non è che si sta esagerando nei "riti di passaggio"?:

Buon nuovo anno a tutti i miei compaesani. Vorrei spendere due parole sulla serata di ieri sera. Mi dispiace molto ma sono rimasta molto male dalla mancanza di rispetto che hanno dimostrato alcuni elementi dell 8 verso alcuni del 9.
Penitenze varie, so
prannomi vari,scherzi vari ci possono stare ma ricordiamoci che le offese e le umiliazioni non vanno per niente bene. Ragazzi siete grandi ormai e certe cose vanno anche pensate. Ricordatevi che la ruota gira e l umiliazione prima o poi ti torna e purtroppo con gli interessi. (Annamaria)

   

L'altra nota, arrivata direttamente al Blog, ripropone l'annoso problema: non è che si stia esagerando con la "razzia" della verza?

Ho letto gli auguri ai lettori del blog ma "nell'elenco dei buoni propositi" io avrei inserito anche l'invito agli organizzatori della "tradizione dalessana" dei coscritti, per gli anni a venire, a non più depredare le piantagioni di "verza" di Somplago. Infatti, come ormai da sempre, anche quest'anno, l'unico campo coltivato a detto ortaggio, seppur situato in luogo apparentemente nascosto, ha subito la completa devastazione. E così la povera Martina (quella giovane ragazza, amante della natura che accudisce i tre asinelli che si ammirano sotto la S.R. 512) a Capodanno si è ritrovata l'amara sorpresa di aver lavorato per niente. Le feste paesane e il mantenimento delle tradizioni vanno bene, anzi benissimo, ma ognuno dovrebbe farsi carico della coltivazione in proprio o dell'acquisto delle materie prime e non andarle a RUBARE nel paese vicino. O vogliamo farci i dispetti come i bambini?
Scusatemi ma l'amarezza di Martina è anche quella di tutti i suoi compaesani e ho inteso renderlo noto.
Dario IURI di Somplago

 

Ai lettori, come sempre, la possibilità di esprimersi e argomentare (sempre "cun creance e sintiment") attraverso i commenti.



(Le belle immagini a corredo sono di Valter Pillinini e di Danis Cucchiaro)