"Alesso e dintorni", dal puint di Braulins al puint di Avons

"Alesso e dintorni", dal puint di Braulins al puint di Avons

martedì 29 dicembre 2020

Fine anno ad Alesso con "Un cjapiel di coscrit par ogni balcon"

Un cjapiel di coscrit par ogni balcon Fra i tanti guai che il Covid ha causato c’è anche l’annullamento della festa dei coscritti di Alesso. Non era successo nemmeno col terremoto; bisogna andare indietro ai tempi delle guerre per trovare altre sospensioni. Non ci sarà quindi, la notte tra il 31 dicembre ed il 1° gennaio, nessuna sfilata di coscritti, nessun incrocio di bandiere: vietato ogni assembramento (giustamente). Ma, per non darla proprio vinta al Covid, ecco una proposta lanciata dalla pagina facebook “Coscrits a Delés”. In ogni casa c’è un cappello di coscritto e/o un grimâl o una ghirlanda da coscritta: tiriamoli fuori, ed il 31 dicembre ed il 1° gennaio mettiamoli esposti, su un balcone, su un terrazzino, sotto un loggiato. Se la proposta verrà accolta, sarà un qualcosa che colpirà gli occhi e il cuore di ogni dalèssàn! E naturalmente, visti i tempi, documentiamo sulla Rete questa “comunione di intenti”, pubblicando su questa pagina le foto dei cappelli esposti e, magari, la vostra foto mentre lo indossate, il cappello! Se non potremo trovarci in piazza a mezzanotte a cantare “Bella non piangere”, mettiamo almeno “un cjapiel di coscrit par ogni balcon”! Quindi, pro memoria per chi concorda: - Mettere un “mi piace” magari con un commento al post pubblicato su https://www.facebook.com/Coscrits-a-Delés-101434435231084 - Condividere e promuovere l'iniziativa, a voce e sui social - Tirar fuori il cappello e metterlo in un punto visibile - Fotografarlo e pubblicarlo in questa pagina - Per chi si vuole sbizzarrire: pubblichi la sua foto col cappello oggi e quella a vent’anni: tutti modi per sentirsi più uniti, più “paese”.

martedì 22 dicembre 2020

Lago, l'augurio per un 2021 capace di avviarsi verso il ritorno alle condizioni naturali

I Comitati hanno diffuso un volantino, con una immagine emblematica del lago, sospesa tra i problemi del presente (scarichi fangosi e freddi...) e le prospettive del futuro (con la restituzione del bacino alle sue condizioni naturali) e l'augurio che il 2021 sia veramente un anno di svolta.

domenica 13 dicembre 2020

Con la neve, montagna al buio e pianura illuminata

Riceviamo e pubblichiamo: PIANURA ILLUMINATA E MONTAGNA AL BUIO Puntuale, come in ogni maltempo, anche questa volta si è ripetuta la stessa situazione: paesi della montagna rimasti al buio ed al freddo a causa dei guasti alla rete di distribuzione dell’energia elettrica. Situazione paradossale poiché a rimanere al buio sono quelle valli dove grandi centrali e tante centraline idroelettriche producono energia. Riporto solo a titolo di esempio e perché significativa la situazione dell’Alta Val Degano che finisce spesso nella cronaca giornalistica per le interruzioni della corrente elettrica a causa del maltempo nonostante la notevole presenza delle centrali idroelettriche di Luincis-Applis, del Vaglina, di Magnanins, del Fulin, del Degano ad Avoltri, della società Monte Cucco. Il fatto che a rimanere al buio siano proprio le località di montagna dove si produce l’energia elettrica induce una serie di considerazioni sulle cause e sui rimedi. Nell’articolata società moderna sono i territori di pianura, urbani, industriali a costituire la struttura economica e finanziaria portante del paese finendo per essere dominanti anche sul piano culturale e politico, oltre che territoriale. Ne consegue che ai territori cosiddetti marginali, quali sono per lo più quelli montani, viene assegnato un ruolo “di servizio” che li mantiene nella loro marginalità: non consumatori ma solo produttori di energia elettrica sfruttando all’inverosimile la risorsa principale della montagna che è l’acqua. Energia da portare altrove su impattanti elettrodotti aerei anziché interrati e lasciare invece in loco il territorio con i fiumi, torrenti e persino ruscelli ridotti a nude pietraie senza un filo d’acqua. La legislazione nazionale è conseguente, tant’è che prevede che, eccezion fatta per le cooperative energetiche, i produttori idroelettrici della nostra montagna debbano conferire l’energia prodotta alle società dispacciatrici Terna e Enel che la trasportano innanzitutto nei citati territori di pianura, urbani, popolosi ed industriali che assicurano buoni profitti ai loro azionisti per quasi il 50% stranieri. In tale contesto diventa di secondaria importanza per tali società la puntuale fornitura ai territori montani marginali e disagiati che non “rendono” finanziariamente a causa dei pochi abitanti-utenti per lo più vecchi. Territori che quindi vengono trascurati negli investimenti e nella gestione delle linee che, nelle particolari condizioni ambientali e paesaggistiche della montagna, si dovrebbero interrare e non ricorrere alla comoda attribuzione di colpa a quegli alberi che sotto il peso della neve o la forza del vento cadono sulle linee elettriche aeree. Quello dell’idroelettrico è un aspetto settoriale del più generale rapporto distorto tra realtà urbane e periferie montane. Provvedere a raddrizzare la stortura di tale rapporto è compito e dovere delle politica nazionale con adeguati provvedimenti legislativi, mezzi e non solo. Innanzitutto abolendo l’obbligo del conferimento dell’energia prodotta ai dispacciatori Terna ed Enel lasciando a disposizione del territorio di produzione la quantità di energia ad esso necessaria. Così, per esempio, per evitare che Forni Avoltri resti senza corrente elettrica basterebbe la posa di un centinaio di metri di cavo per collegare la centrale idroelettrica della Comunità Montana direttamente alla rete di distribuzione interrata dell’abitato. Lo stesso potrebbe essere realizzato in altre analoghe situazioni. La legge sul passaggio del grande idroelettrico alle regioni va in questa giusta direzione prevedendo tra l’altro che parte dell’energia prodotta venga gratuitamente consegnata alla Regione per essere utilizzata nei territori montani di produzione. Si tratta di ampliare tale disposizione anche alle tante invasive centraline dal momento che i loro proprietari privati realizzano profitti sfruttando l’acqua che è un bene delle comunità locali. Invero, per raddrizzare la citata stortura è ormai indilazionabile – essendo l’ultima la n.1102 del 1971 - l’adozione di una nuova legge nazionale organica sulla montagna, che ponga in campo adeguati strumenti e mezzi. A raddrizzare tale stortura è chiamata anche la nostra Regione costituendo senza ulteriori indugi la propria società energetica (SEFVG) a capitale pubblico da tempo annunciata sull’esempio delle province autonome di Trento e Bolzano. Società che assuma la gestione non solo del grande idroelettrico ma anche delle centraline le cui concessioni vengono via via a scadenza. Inoltre va posto fine alla politica regionale di rilascio di concessioni a dritta e a manca per la costruzione di centraline idroelettriche persino sugli ormai rari corsi d’acqua rimasti liberi da parte di privati nelle mani dei quali vengono consegnati per 30 anni per produrre profitti che vanno nelle loro tasche e non già a beneficio delle comunità locali. Sono chiamati anche i Comuni che, prendendo esempio da quelli trentini, dovrebbero essere loro, singolarmente o associati, a produrre e distribuire energia elettrica alle proprie comunità anziché favorire i derivatori privati per ricevere in compensazione la sistemazione di qualche marciapiede, il che va meglio definito come obolo.
Sono chiamate anche le nuove Comunità Montane, in particolare quella della Carnia, che disponendo già di un proprio parco di centrali idroelettriche potrà e dovrà sviluppare una politica tesa a creare sinergie con la Società Elettrica Cooperativa Alto But (SECAB) e la Cooperativa Elettrica di Forni di Sopra, storiche cooperative che hanno maturato una notevole esperienza, al fine di raggiungere se non un’autonomia energetica della Carnia almeno, inizialmente, di ogni singola vallata. Sono chiamati anche gli abitanti della montagna a brontolare meno nelle poche osterie rimaste ed a interessarsi di più al proprio territorio ed alla propria comunità per contribuire a risolverne i problemi. Franceschino Barazzutti già presidente del Consorzio del Bacino Imbrifero Montano (BIM) del Tagliamento, già sindaco di Cavazzo Carnico (nella foto: Centrale della C.M. a Forni Avoltri)

sabato 12 dicembre 2020

Addio a Mecarozzi, l'ideatore dell'Operazione Atlantide nel Lago

Il Messaggero Veneto ha dato oggi la notizia della scomparsa di Luciano Mecarozzi che alla fine degli anni '60 fu l'ideatoe della Operazione Atlantide, l'esperimento di città subacquea svoltosi nel Lago: "Morto in ospedale positivo al virus. Creò l’Operazione Atlantide, cittadella subacquea nel lago dei Tre Comuni I friulani, quando vogliono, hanno l’avventura nel sangue. Nulla li spaventa. E nulla spaventò Luciano Mecarozzi, speleologo, giornalista, appassionato di musica e tanto ancora, in una vita intrecciata di viaggi, iniziative, sfide, ma adesso spenta in pochi giorni.". A lui, anni addietro, dedicò un ampio profilo il giornalista Mario Blasoni, sempre sulle pagine del MV. Eccone alcuni stralci (dal Messaggero del agosto 2013 Si è fatto conoscere tra gli anni Sessanta e Settanta con l'Operazione Atlantide, di sopravvivenza nelle profondità del lago di Cavazzo; dal 1976 ha affiancato i terremotati del Friuli con l'attività della battagliera Radio Effe fondata l'anno prima (tra l'altro portò 3500 persone a Roma - 250 pullman - per protestare contro la stretta creditizia) e nel 1990, «non avendo più niente da dire in Friuli», se n'è andato in Ecuador, sulla cordigliera delle Ande, dedicandosi all'esplorazione delle grotte (una, molto importante, porta il suo nome). Questi i cenni salienti nella biografia di Luciano Mecarozzi, personaggio udinese che con le sue iniziative ha animato le cronache di casa nostra negli anni ’70 e ’80. Per poi “scomparire”, appunto dopo la scelta di trasferirsi in Sudamerica. Ma non era finita: dopo 15 anni è rientrato a Udine, nel 2005, in tempo per stampare una sua monumentale enciclopedia (17 volumi) “Musica per la scena”, consultabile nelle biblioteche Nazionale di Firenze e Joppi di Udine (settore musica). E ora sta preparando una seconda edizione, raddoppiando le voci (ben 40.206 i compositori trattati). Nato a Udine nel 1939, Mecarozzi frequentò lo Zanon, ma non arrivò al diploma: fu rimandato a ottobre, “vittima” di una insidiosa domanda di geografia («Mi parli della depecorazione...») e non si ripresentò. Nel '53 (era ancora in terza media) organizzò il primo sciopero studentesco per Trieste italiana. (...) All'Operazione Atlantide (che si svolse in due fasi, nelle estati 1969 e 1970) è arrivato dopo le esperienze del Centro italiano soccorso grotte, da lui fondato nel 1965 assieme alla Sezione sperimentale ricerche subacquee. Tornando alla duplice Operazione Atlantide, in Usa c'erano stati esperimenti di immersione in un unico contenitore. Mecarozzi ne ha progettati quattro (suoi anche i disegni), di cui tre per vivere e lavorare. E' riuscito a coinvolgere i ministeri della Difesa e dell'Interno, gli Stati maggiori dell'Esercito e della Marina, l'assessorato regionale al turismo, che ha concesso un contributo di 19 milioni. Dodici gli acquanauti immersisi nella cittadella subacquea, tra cui una donna, Silvana Polese. Usciti dopo 25 giorni, furono accolti da un messaggio del presidente della Repubblica Saragat e ricevuti dal presidente della Regione Berzanti. L'Ept donò loro una medaglia d'oro. La seconda fase - all'insegna di Nuove tecnologie subacquee - si sviluppò un anno dopo, nel settembre - ottobre 1970. Mecarozzi passò quindi alle radio private: settore in gran fermento, dato che non erano ancora regolamentate. Nel 1975 fondò Radio Effe e Radio Effe International e alcuni anni dopo acquistò LT1 Radio Pordenone e Canale 49. Con sede prima a Paparotti e poi a Tricesimo, avviò un'azienda («Due dipendenti, bene con la pubblicità») che si sviluppò dopo il terremoto e le conseguenti iniziative che Mecarozzi andò adottando.
Nell'ordine: Mecarozzi dirige l'Operazione Atlantide; i sommozzatori dell'Atlantide ricevuti dal presidente della Regione Berzanti; un momento delle operazioni sul Lago

martedì 8 dicembre 2020

Bordano, è stato consegnato a Suor Fides il premio “Nadal Furlan”

Il premio Nadal Furlan è stato istituito nel 1979 per dare un riconoscimento a coloro che hanno contribuito a onorare la nostra regione distinguendosi per impegno umanitario piuttosto che artistico, comunque ispirato ai valori cristiani e a servizio della comunità, in particolare friulana. Quattro i vincitori dell’edizione 2020, organizzata come sempre dal Circolo culturale Laurenziano di Buja con il patrocinio della Regione, del Comune di Udine e dell’Arcidiocesi udinese; si tratta di monsignor Diego Causero, suor Fides (al secolo Jolanda Bertoldi), il professor Giuseppe Bergamini e lo scrittore Paolo Maurensig. Oggi, nella chiesa di quella che da maggio ’76 è la sua Bordano, la premiata è stata suor Fides, per il suo impegno durante il terremoto e soprattutto nel duro periodo della ricostruzione, quando essere ancora saldi nella fede era difficile come avere la casa intatta. E per quelle parole piene di speranza che, oggi come allora, ha per coloro che hanno bisogno di conforto. “Qui si celebrano i valori della solidarietà e di quel Friuli cristiano che è nelle nostre origini e che ha permesso alla nostra terra di saper superare tantissime prove, sempre tenendo saldi principi quali famiglia, rigore, etica. Assegnare un premio sulla base di questi valori è un lascito importante di insegnamento alle nuove generazioni”, ha avuto modo di affermare il presidente Piero Mauro Zanin portando il saluto del Consiglio regionale al presidente del Circolo di Buja, Aldo Calligaro, al presidente della giuria giudicatrice, Maurizio Piemonte, e all’amministrazione comunale di Bordano intervenuta all’evento. Il suo pensiero è poi andato al sisma del ’76 e alle sue 990 vittime: “A oggi la pandemia da Covid-19 ha causato oltre mille morti in Friuli Venezia Giulia, più di quelli del terremoto, e tutti sappiamo che sono soprattutto persone anziane. Ciò significa che un’intera generazione di testimoni, di custodi di una tradizione e di una civiltà friulana che avevamo, sono andati perduti. Allora il significato del premio a suor Fides ha il sapore anche di un messaggio di solidarietà per il futuro”. “Noi che ci eravamo abituati a vivere all’insegna del consumismo, questa pandemia forse ci sta aiutando a riscoprire altro – ha aggiunto Zanin -, ciò che eravamo, quando essere parte di un piccolo paese era far parte di una unica famiglia. Noi abbiamo una memoria a cui guardare, così come alle cose semplici che ci hanno formati, per trovare l’energia per superare le grandi situazioni difficili di oggi; dalle piccole cose ricavare un grande sentimento di solidarietà come quello che ci ha caratterizzati durante il sisma del ’76”. (da RSN News - Foto Pro Loco Bordano e Interneppo)

giovedì 3 dicembre 2020

Mandi, don Gjovàni! Fu parroco ad Alesso dal 1959 al 1966

Tristezza ha uscitato ad Alesso la notizia della morte di don Giovanni Deganis, che fu parroco dal 1959 al 1966. Tanti ne ricordano l'impegno e soprattutto la capacità di tenere assieme e proporre iniziative per la gioventù. Dopo la permanenza ad Alesso, "don Gjovàni" fu per lunghi anni a Colloredo di Prato, non scordando i legami con i dalessàns. Fu molto lieto, anni addietro, quando gli venne recapitato il "Lunari di Dalès pal 2007" che ricordava le comunioni fatte ad Alesso nel 1961 e '62.
Ecco il profilo che ne ha fatto "Radio Studio nord news": Addio a Don Giovanni Deganis, negli anni ’60 fu il parroco di Alesso All’età di 99 anni è spirato don Giovanni Deganis, il decano del clero udinese. Ospite della Fraternità sacerdotale, don Deganis è una nuova vittima del coronavirus nella casa di quiescenza di via Ellero a Udine. Nato nel 1921 a Rivignano, don Deganis fu ordinato sacerdote ben 72 anni fa, nel febbraio del 1948. Fu cooperatore pastorale dapprima a Rivignano e successivamente a Dignano. Dal 1951 al 1954 rivestì l’incarico di cappellano nella Parrocchia di Corno di Rosazzo, prima di ricoprire lo stesso ministero nella Parrocchia di Venzone. Il primo incarico da parroco giunse nel 1959, quando l’allora Arcivescovo Giuseppe Zaffonato nominò don Giovanni Deganis ad Alesso di Trasaghis. Nel 1966, tuttavia, arrivò per don Deganis l’incarico che lo coinvolse per il resto della sua vita sacerdotale: parroco a Colloredo di Prato, una comunità che ha guidato fino a quando, nel 2009, si ritirò nella Fraternità sacerdotale di Udine. A Colloredo subentrò l’attuale parroco mons. Angelo Rosso. Le esequie di don Giovanni Deganis saranno celebrate a Colloredo di Prato sabato 5 dicembre alle 11.00 e saranno presiedute dall’Arcivescovo mons. Mazzocato. Il compianto sacerdote sarà tumulato nel cimitero di Colloredo di Prato.