"Alesso e dintorni", dal puint di Braulins al puint di Avons

"Alesso e dintorni", dal puint di Braulins al puint di Avons

mercoledì 31 gennaio 2018

Lago, un promemoria e un invito per i Consiglieri regionali (II)

Anche l'ultimo numero del settimanale "La vita cattolica" (il n. 4 del 24 gennaio) si è occupato della conferenza stampa organizzata dai Comitati il 19 gennaio con la proposta, indirizzata ai consiglieri regionali, di avviare le procedure per indire un concorso internazionale per definire le possibilità di realizzazione di un by-pass capace di      evitare al lago lo scarico delle acque fredde e fangose della centrale di Somplago (proposta che poi si è concretizzata con l'approvazione bi-partisan di un ordine del giorno in tal senso).


martedì 30 gennaio 2018

Obiettivo su Bordano & Interneppo - 5 - Ciliegi bordanesi

Generalità, frammenti e aneddoti sullo storico 
albero da frutto di Bordano: il ciliegio


Dal frutto dolce e succoso, la sua fioritura è uno spettacolo ad ogni primavera, se ne ricavano marmellate, liquori e persino cioccolatini: sto parlando dell’albero del ciliegio e della sua drupa, uno dei frutti nostrani più buoni. La sua presenza a Bordano non era affatto secondaria, ed anzi ci sono diversi indizi che confermano che questa pianta è stata oggetto in passato di molte attenzioni. In questo caso però non si è trattata di una ricerca sovrabbondante di riferimenti e devo ammettere che un po’ ho arrancato nel scovare qualcosa di specifico sulle ciliegie e l’albero di ciliegio in territorio di Bordano. Ma giustamente, prima di addentrarsi in testimonianze e precisazioni, bisogna almeno avere chiare le generalità di una pianta che, come tutte quelle oggetto di coltivazione, non si presenta come unica e immutata ma soggetta alla selezione e quindi alla coesistenza di diverse sue varietà agronomiche, ossia cultivar. La specie è il Prunus Avium, ossia il ciliegio selvatico, ceriesâr o cjariesâr in friulano (più simile all’inglese “cherry” che all’italiano “ciliegia” se ci pensate), derivante direttamente dal latino cerasus. Pianta dalla notevole adattabilità ecologica se pensiamo che sopravvive tranquillamente all’interno di un largo range di temperature, precipitazioni e suoli, anche se predilige le posizioni esposte, per via della sua termofilia ed eliofilia, e quelle in cui il suolo risulta profondo e ben drenato. In ambito montano quindi lo si incontra in particolare verso i fondovalle, anche se potrebbe passare inosservato vista l’incapacità di formare consorzi di conspecifici. La sua distribuzione quindi risulta frammentaria e incostante. La sua plasticità ecologica è dovuta anche a secoli e millenni di influenza antropica, che ha persino fatto perdere di vista la sua regione di origine, che si pensa possa essere il Ponto (regione storica della penisola anatolica che dà sul Mar Nero), ma la sua presenza certa già dopo le glaciazioni ne fa una specie assolutamente indigena. Il suo legno inoltre è particolarmente apprezzato, ma non è nel legno che bisogna cercare per capire il suo successo passato in Friuli e anche a Bordano. Se non era il legno, cosa mai sarà stato? Beh, forse già il fatto che su oltre 500 toponimi friulani derivati da nomi di alberi da frutto ve ne siano una cinquantina legati al ciliegio, e che sicuramente l’uomo si cibò di ciliegie selvatiche fin da epoche preistoriche (come risulterebbe dal ritrovamento di noccioli presso siti palafitticoli sulle sponde meridionali del Lago di Garda), ci danno già un’idea poco soggetta a dubbi. Il caso toponomastico più famoso da noi è forse quello di Ceresetto, borgo in Comune di Martignacco e alle porte di Udine, ma probabilmente anche Ciseriis, paesino a nord di Tarcento lungo il Torre (e per quest’ultimo capirete ben dopo come mai). Ma leggiamo un attimo queste interessanti noticine di un articolo del 1942 dell’almanacco storico friulano “Avanti cul brun!”, in cui sono presentati i principali e più apprezzati prodotti enogastronomici del Friuli. L’autore non è certo ma potrebbe essere stato lo scrittore tarcentino Chino Ermacora (1894 – 1957), che ebbe il merito di diffondere la conoscenza sulla terra friulana anche grazie alla rivista “La Panarie”, da lui fondata. All’epoca di questo articolo non esisteva certo ancora la morbosa pubblicità dei prodotti alimentari né di una concezione sofisticata di cucina, al contrario l’esigenza primaria era ancora quella del poter disporre dei giusti alimenti per tirare a campare. La descrizione dunque è priva di quella retorica manipolatrice del prodotto tipico, che oggi invece dilaga. “Le ciliegie e le susine del Collio hanno conquistato i mercati della media Europa”; per Tarcento si dice invece: “Ciliegie durissime rosso scure di larga esportazione, si conservano nello spirito e si distillano, ritraendone un liquore squisito”. Dunque abbiamo due aree principali in Friuli per il mercato “ceresario”, se così si può dire: il Collio e il Tarcentino. Nel Goriziano la frutticoltura era praticata intensamente tra le due guerre mondiali, quindi circa nel periodo di riferimento dell’articolo del presunto Ermacora, e in particolare si citano il Collio e la Valle del Vipacco come aree più vocate. In questa parte di Friuli Storico erano proprio le ciliegie il principale prodotto della frutticoltura: importanti i cultivar Primaticcia di Ranziano e Goriziana Precoce. Davvero notevole, ma non siamo proprio vicino Bordano; spostiamoci dunque più verso le nostre parti e quindi verso le nostre economie. Secondo De Polo, 1886, nelle colline attorno a Tarcento ed Attimis si coltivava “con molto profitto” il ciliegio del cultivar Duracina di Tarcento. Già in  quei decenni non doveva essere un’attività di interesse solo locale se pensiamo che all’epoca venivano esportate anche in Austria, Baviera, Sassonia e persino Russia. Ci serviremo un attimo di questo riferimento territoriale parallelo, Tarcento, o meglio, alcune borgate a nord della cittadina, per gettare un ponte con la realtà delle ciliegie di Bordano. Ma qui di noi spopolava la Duracina o c’era un’altra varietà? Ci corre in aiuto la sapienza e la cultura di un anziano agricoltore di Sammardenchia (minuscolo borgo delle colline a nord di Tarcento, da non confondere col paese vicino Pozzuolo), Attilio Vidoni. Egli ci dice che oltre alla varietà primigenia, quella selvatica, dalle piccolissime dimensioni e dal sapore amarognolo, vi erano tre varietà: la Cassia, la Beliciza e la Duracina. Queste ultime erano le più ricercate per il mercato in quanto, come dice il nome, duravano di più e quindi erano anche più costose; la seconda era ad uso alimentare famigliare perché marciva facilmente, e infine la prima era anch’essa di qualità ma comunque sempre soggetta a marcescenza dopo le piogge. La Cassia inoltre aveva la particolarità di maturare 10 giorni prima delle altre. Secondo mio padre Oscar era proprio questa la varietà che era stata introdotta nella piana di Bordano, e, forse proprio perché precoce nella maturazione, era meno soggetta ad attacchi di insetti, visto che sempre mio padre riferisce che tendeva a non avere il verme. La descrive come piccola, dolce, dal noccio a sua volta ridotto e di un rosso molto scuro, quasi nero, sia nella buccia che nella polpa. 
Così si presentava la piana di Bordano (qua in immagine in realtà c’è solo la parte centrale e meridionale) negli anni dopo il terremoto, ancora ordinata e pulita e in cui la principale porzione arborea è data dalla vegetazione ripariale. In questo contesto di campagna coltivata (oggi sappiamo che la situazione è ben diversa) il ciliegio trovava un buon terreno grazie a un substrato di materiale alluvionale. (foto presa dal libro di Costantini, vedi fonti)
Personalmente rammenta che già quando era piccolo, quindi anni ’50-‘60, la coltura stava andando in disuso, mentre dai racconti di famiglia ha potuto dedurre che questo piccolo frutto rivestisse ruoli di economia famigliare non secondari se sua nonna Maria Picco si recava casa per caso fino a Venzone e Gemona per venderle e quindi ricavare un po’ denaro, che non era certo mai da disdegnare nei periodi più o meno miseri della nostra storia neanche tanto lontana. Questi aspetti sono confermati da Enos Costantini, che parla di una secolare tradizione di coltivazione e di come la vendita delle ciliegie fosse un tempo “una delle poche occasioni” che si presentavano per arrotondare le magre finanze interne alla famiglia. Circa l’abbandono della coltura, anche in questo caso le informazioni vanno praticamente a coincidere, dato che Costantini parla, nel suo libro dell’87, di un paio di decenni in cui il ciliegio non era più al centro di attività agricole. Ma se la varietà pura, selvatica, già allora come oggi cresce spontanea soprattutto nelle pendici esposte al sole, quindi nel nostro caso quelle meridionali del San Simeone, la Cassia si coltivava in campagna e quindi appena fuori il centro abitato, per esempio nei Plans, a sud del paese, e in Naréit, a nord-est. Ricordiamo come il bosco a disposizione della popolazione un tempo fosse costituito quasi essenzialmente da specie ceduate per il consumo famigliare di legname, e che comunque non conveniva a nessuno andare a piantare alberi da frutto sulle pendici quando vi era a disposizione tutta la piana di Bordano. A livello di suolo inoltre non c’erano particolari criticità nella piana, anzi per la natura ghiaiosa e quindi assai porosa del substrato il drenaggio era assicurato e quindi anche una sufficiente crescita del ciliegio. Prendendo ancora spunto dall’ambito famigliare, in un appezzamento dei Plans, precisamente in località Plan dai Cjasâi, dei ciliegi sono stati piantati probabilmente da Giovanni Colomba, zio di mio padre, attorno agli anni ’40, dato che quest’ultimo da bambino se li ricorda ancora piccoli. Un’operazione che sarebbe anche potuta avvenire a Interneppo, che però ritrovava nel pero il suo principale albero da frutto. E qua ci allacciamo alla toponomastica. Per quanto infatti possa sembrare strano, con un territorio comunale che seppur ridotto ha nel suo patrimonio centinaia di toponimi, soltanto due di questi si riferiscono a piante arboree di uso agrario: Lì da Piruçárie e Cereséit. Se la ciliegia era il frutto di Bordano, la pera lo era per Interneppo. In questo caso Costantini si limita a dire che la località di Lì da Piruçárie fosse dietro la Chiesa di Interneppo e che l’albero di pero fosse presente in loco per la tradizionale coltivazione. La mela era evidentemente di scarsa importanza se non ha lasciato riferimenti geografici, anche se, per esempio, compare come “2 melari” nell’elenco degli alberi da frutto presenti in un prato in località Sore il Clap, superiormente Naréit e alle più basse pendici del San Simeone, elenco redatto il 28 febbraio 1766 dal perito venzonese Carlo Massenio. Ironia della sorte, in quello stesso elenco non figura neanche un solo albero di ciliegio. Per Cereséit invece la questione è più intrigante e stimola ipotesi ragionevoli. Nel Nuovo Catasto è riportato come Crets Ceresêt ed è sopra il Prât di Aroni, in una località abbastanza isolata del San Simeone e tra l’altro non “ai piani bassi”, per così dire, del monte. Risalendo il Rio Costa si incrocia a un certo punto la strada forestale che parte dalla ex Strada Militare del San Simeone presso gli Stavoli Vieres e raggiunge, poco dopo il rio, gli Stavoli Trions; ecco, nel quadrante nord-est dato dall’incontro rio-strada c’è il Prât di Aroni, subito sovrastato da un cret, quello del Cereséit. Siamo a quota circa 700 m slm. Altitudinalmente siamo esattamente a metà strada tra la Sella di Interneppo e la Val di Sot in San Simeone. 
Nella cartina dell’Istituto Geografico Militare del ’62 si riesce bene a inquadrare la località di Cereséit. Prendete il trapezio bianco che ha come lato sud un tratto della strada forestale che va dagli Stavoli Vieris a quelli Trions e come lato ovest la sponda del Rio Costa; quel trapezio è il Prât di Aroni. Subito a nord notate un cret; lì sopra stavano i famosi ciliegi. Il Prât è in bianco perché all’epoca non ancora boscato, era proprio un prato. Esattamente dove c’è il numero 362 sta il Fran di Cjavaç.
Come è possibile che ci sia un riferimento in piena montagna di una pianta che, come abbiamo detto, veniva coltivata giù in pianura o comunque alle pendici? In realtà non c’è niente di astruso in quanto, come ci ricorda anche Costantini, i toponimi hanno senso di esistere solo se connotanti un particolare aspetto che è peculiare di quella zona, magari anche di altre ma non nelle immediate vicinanze. Ecco perché scegliere di chiamare Cereséit una località nella piana di Bordano non avrebbe avuto senso per via della presenza del ciliegio anche in molte altre località della stessa piana. È dunque ragionevole pensare che i ciliegi di Cereséit fossero della forma selvatica e che fossero in numero tale da indurre qualcuno secoli fa ad attribuire questo nome a quella precisa località. 
La caratteristica corteccia del Prunus avium (ciliegio); questa una delle piante censite in Fran di Cjavaç nell’aprile dello scorso anno. (foto di Enrico Rossi)
Non mi dilungherò in considerazioni in relazione ai progetti di recupero della coltivazione del ciliegio a Bordano, auspicati tra l’altro da Costantini, perché preferisco concludere il disegno storico di questo albero che più di tanto non ha lasciato indizi, ma proprio a tal proposito mi sento di riportare un aggancio interessante col presente. Se una sola località in tutto il Comune di Bordano è stata designata tradizionalmente come territorio di ciliegi (selvatici), e se questa località si colloca nell’ambito del bacino del Rio Costa (che, lo ricordiamo, poi scende giù fino a Interneppo e dà origine alla sorgente di Pile, vedi articolo sulla Fontana di Selve), è possibile scientificamente trovare conferma oggi della predisposizione di questa area del San Simeone ad ospitare ciliegi, magari senza necessariamente andare a rischiare in una zona così difficile come quella del cret? Beh, il 24 aprile 2017 il sottoscritto, mio padre Oscar ed Ermanno Rossi abbiamo effettuato un’area di saggio di 600 m quadrati in località Fran di Cjavaç, in realtà non per studiare il ciliegio ma per altri scopi. Per chi non ha presente la posizione, può andare a consultare o il libro di Costantini sulla toponomastica comunale o il mio articolo sulla pecora a Bordano. 
Oscar Rossi mentre effettua delle misurazioni nella stessa località, durante le operazioni dell’area di saggio. Sulla sinistra si nota proprio uno dei 12 ciliegi individuati. Potete anche capire come il bosco del Fran di Cjavaç sia giovane e quindi disordinato, nonché relativamente difficile da percorrere in certi tratti. (foto di Enrico Rossi)
Fatto sta che siamo sempre nel bacino del Rio Costa, a quote più basse (circa 400 m slm), ed è risultato che su 119 piante arboree censite 12 erano di ciliegio, quindi un buon 10%. Sicuramente ci sono altri siti che lo ospitano ma i nostri antenati devono ancora una volta aver visto giusto se generazioni di ciliegi si susseguono relativamente numerose in questo minuscolo bacino del San Simeone. Questo, così come gli altri alberi, da sostentatori dell’economia e in primis della sopravvivenza locale possono anche essere protagonisti di gravi incidenti sul lavoro, anche mortali. Una volta non erano rari i casi di infortuni in cui degli sfortunati bordanesi e interneppani, spesso molto giovani, rimanevano feriti o anche uccisi dalla caduta di tronchi e rami o per essere precipitati da un albero, anche se avvenivano perlopiù nei boschi questi incidenti. Una di queste cadute fatali coinvolse una mia trisnonna, la madre di Maria Picco (già citata sopra nel testo), tale Elisabetta Colomba, che morì cadendo proprio da un ciliegio nel 1915, quasi certamente all'interno di un qualche frutteto della piana di Bordano. Questa pianta insomma, così come ogni elemento della vita quotidiana di Bordano, ha accompagnato, nel bene e nel male, nelle colture di campagna e nei boschi più o meno accessibili delle nostre montagne, lo scorrere dell’esistenza di questo paesino che ha visto dire praticamente addio non solo al suo animale simbolo, la pecora, ma anche al suo piccolo ma dolce frutto rosso.

                                                                   Enrico Rossi
Fonti principali:

Libro “Bordan e Tarnep: nons di lûc”, Enos Costantini, 1987
Periodico “San Simeone”, dicembre 1989

Testimonianze orali di Oscar Rossi

lunedì 29 gennaio 2018

Nel ricordo di Matteo, un aiuto al C.S.R.E. di Campolessi (III)

Donata una cucina al Csre di Campolessi nel ricordo di Matteo

GEMONA. Il ricordo di Matteo vince ancora, e stavolta è un dono prezioso per gli utenti del centro Csre di Campolessi. L’associazione “Matteo chef giramondo” ha donato ieri ufficialmente una nuova...


domenica 28 gennaio 2018

Lago, la Regione dà l'OK a definire il progetto per il by-pass (IV)

Finanziato il concorso di idee per “salvare” il lago dei 3 comuni

TRASAGHIS. Un primo passo concreto per avviare un percorso di ri-naturalizzazione del lago dei Tre Comuni. Il Consiglio regionale ha approvato uno stanziamento di 50 mila euro che servirà per avviare un concorso di idee finalizzato a individuare la soluzione migliore per riportare il più grande bacino friulano a una condizione di naturalità. Il contributo regionale è frutto di un emendamento proposto dal consigliere Roberto Revelant e sottoscritto anche da Alessandro Colautti, Lauri, Vittorino Boem, Cristian Sergo, Elena Bianchi e l’assessore Sara Vito. «Si apre ora una nuova prospettiva per il lago – spiega Revelant – auspicando che ai 50 mila euro stanziati dalla Regione sia l’Uti che i Comuni rivieraschi compartecipino per rendere il concorso attrattivo verso quei professionisti di indiscussa capacità ed esperienza in grado di arricchire con proposte lungimiranti e anche innovative una progettualità di largo respiro».

Da parte sua il sindaco di Trasaghis, Augusto Picco, ha già espresso i suoi ringraziamenti per questa attenzione da parte della Regione e, lo stesso, hanno fatto i comitati a difesa del lago con Franceschino Barazzutti che ha definito questo contributo «un passo avanti per la tutela del lago».

Il problema della ri-naturalizzazione del lago è emerso negli ultimi anni e in particolare nel periodo in cui era previsto il raddoppio della centrale Edipower, un investimento che in seguito non è andato in porto: analisi effettuate allora da diversi tecnici avevano messo in luce la presenza, sul fondo del bacino, di una consistente massa di fango. La presenza del fango è stata nuovamente confermata dalle conclusioni del rapporto tecnico stilato dai ricercatori 
dell’Istituto di scienze marine (Ismar) del Cnr di Bologna. Partita in via sperimentale per testare nuove strumentalizzazioni, la ricerca scientifica è in corso. Il Comune di Trasaghis ha incaricato gli studiosi a completare le indagini. (p.c.)

(Messaggero Veneto, 27 gennaio 2018)

sabato 27 gennaio 2018

Storie dalla deportazione - Merico da Farèssa

Nell'occasione della "Giornata della memoria", il Blog ha spesso presentato racconti o testimonianze di persone della Val del Lago che hanno subito il dramma della deportazione: così, negli scorsi anni, si sono lette le storie di Celest di Coin, di Rino di Cian, di Tinut Orlando, e altri.
Quest'anno presentiamo alcune note biografiche sulla figura di un alpino e partigiano di Peonis deportato e poi deceduto nel lager tedesco di Buchenwald (notizie tratte da "Alpini di Peonis", a cura di I. Del Negro, 2013)



CUCCHIARO Americo “Faressa”, figlio di Francesco e Zuliani Maria, nato il 5 settembre 1916. Chiamato e giunto alle armi il 23 maggio 1938 nel 3° Reggimento Artiglieria da Montagna Gruppo “Conegliano” 13° Batteria Il 16 aprile 1939 partito per l’Albania imbarcandosi a Bari. Il 17 aprile 1939 sbarcato a Durazzo. Il 23 novembre 1939 assegnato alla 18° Batteria del Gruppo “Udine”. Il 30 dicembre 1940 riportò una ferita da arma da fuoco all'avambraccio sinistro e venne ricoverato al Ospedale da Campo di Berati. Il 1° gennaio 1941 rimpatriato in aereo all'aeroporto di Foggia. Il 2 gennaio 1941 ricoverato al Ospedale Militare di Milano. Il 18 gennaio 1941 ricoverato al Ospedale Militare di Como. Il 6 agosto 1941 ricoverato al Ospedale di Gemona. Il 20 dicembre 1941 ricoverato al Ospedale Militare di Udine.
Collocato in congedo assoluto il 21 gennaio 1942. Dal 5 aprile 1944 Partigiano Combattente nella Divisione Garibaldi Sud Arzino”. Il 31 ottobre 1944 catturato dai tedeschi nel territorio del comune di Gemona e internato in Germania.
Morto il 27 marzo 1945 in Germania nel Campo di Concentramento di Buchenwald, lager Ordruf, salma non recuperata.

------------ 
Come detto più volte, se siete a conoscenza di altre "storie" di questo tipo .... segnalatele al Blog.

venerdì 26 gennaio 2018

Lago, la Regione dà l'OK a definire il progetto per il by-pass (III)

Un concorso di idee per ripensare il lago dei tre Comuni

Revelant (Ar): «Si apre una nuova prospettiva grazie al finanziamento di 50mila euro, ma servono sinergie tra territorio e Regione»


TRASAGHIS - «Si spalancano prospettive promettenti per il lago dei tre Comuni. Adesso serve il contributo del territorio, dagli enti locali all’Uti. Il successo del progetto non può prescindere da una piena e leale collaborazione tra i diversi livelli istituzionali». Così Roberto Revelant, consigliere regionale di Autonomia Responsabile, nell’esprimere soddisfazione per «l’accoglimento trasversale della mia proposta. La Regione ha finanziato con 50 mila euro un concorso di idee per rilanciare il lago con un progetto completo, organico e lungimirante. Questo deve essere considerato un punto di partenza, e un piccolo esempio di come la politica debba unire, quando si tratta di incentivare lo sviluppo della montagna, uscendo dagli steccati ideologici delle appartenenze partitiche. Sotto questo profilo, il Friuli dovrebbe prendere esempio da Trento e Bolzano, che antepongono sempre gli interessi territoriali ad altre logiche».

Spiega Revelant: «Questo progetto nasce nel 2014, quando ho lanciato l’idea di imprimere una svolta alla gestione del lago dei tre comuni. Inizialmente, la mia proposta ha faticato a fare proselitismo, ma il tempo mi ha dato ragione. La mia convinzione è molto semplice: non basta un concorso limitato alla sola rinaturalizzazione del lago, ma serve un piano più ambizioso, che coniughi la valorizzazione ambientale e turistica alle opportunità economiche legate a un utilizzo corretto dell’acqua: mi riferisco, ad esempio, all’apporto idrico per il settore agricolo nei periodi di siccità, mediante l’intervento del consorzio Ledra Tagliamento». Chiude Revelant: «Con i 50mila euro stanziati dalla Regione, i Comuni rivieraschi, l’Uti e l’amministrazione regionale stessa, devono avviare un percorso per rendere attrattivo il bando verso i professionisti del settore. Servono proposte innovative e brillanti, per dare una svolta al lago e, quindi, creare nuove opportunità di sviluppo economico e occupazionale per un’area che, ancora oggi, lascia intravedere un enorme potenziale inespresso».

giovedì 25 gennaio 2018

Lago, la Regione dà l'OK a definire il progetto per il by-pass (II)

Lago di Cavazzo: indetto un concorso di idee per il recupero

Via libera del Consiglio regionale alla proposta dei comitati di tutela del Lago dei tre comuni


di Isabella Gregoratto

Il Consiglio regionale ha dato il via libera all’indizione di un concorso di idee per il recupero delle condizioni di naturalità del Lago dei tre comuni e la sua fruibilità, mettendo a disposizione 50 mila euro. Una risposta a quanto richiesto dai Comitati a tutela del lago e delle acque montane. La scorsa settimana avevano proposto alla Regione di inserire un emendamento all’interno del disegno di legge 237, contenente norme urgenti in materia di ambiente e di energia.

“Per caso abbiamo saputo che in questi giorni il consiglio regionale avrebbe affrontato queste tematiche – riferisce Franceschino Barazzutti, portavoce del Comitato a difesa delle acque del bacino imbrifero montano - e così siamo riusciti a spiegare giusto in tempo quale sarebbe la migliore soluzione per preservare il lago, mantenendo attiva la centrale elettrica e la possibilità di irrigare attraverso una derivazione. La Regione dal canto suo si metterebbe in luce per aver salvato un lago, promuovendo un esempio virtuoso di convivenza tra attività produttive e tutela dell’ambiente".    

Seppur soddisfatti per questo risultato, i Comitati puntano il dito anche sulle concessioni per l’installazione di centrali idroelettriche sui corsi d’acqua montani.
“Il numero di richieste sta aumentando - segnala Barazzutti, evidenziando alcuni punti interessati -: Tremugna di Peonis, Leale , Palar e alle sorgenti di acqua potabile di Somplago”.

I comitati propongono alla Regione di individuare dove è possibile fare captazioni e che stabilisca quanti litri al secondo si possono prelevare. Suggerisce inoltre che preveda priorità nel dare le concessioni: prima agli enti pubblici e locali e successivamente ai privati che si impegnano a utilizzare la corrente elettrica per favorire posti di lavoro.


mercoledì 24 gennaio 2018

Lago, la Regione dà l'OK a definire il progetto per il by-pass

Buone nuove dal Consiglio Regionale che, a Trieste, ha approvato (sulla base dell'invito avanzato dai Comitati nella conferenza stampa di venerdì scorso) un emendamento al  Disegno di Legge n. 237 “Norme in materia di ambiente e di energia”  per l'indizione di un concorso tecnico internazionale per l'individuazione di procedure atte a realizzare il by pass capace di impedire lo scarico nel Lago delle acque fredde e fangose della centrale di Somplago . Si tratta di un passo estremamente importante, i cui dettagli verranno definiti a breve, che prevede l'inserimento a bilancio di 50mila euro per studi, indagini, collaborazioni e spese correlate al fine del "recupero della naturalità del Lago dei Tre Comuni". L'emendamento è stato presentato dai consiglieri Revelant e Colautti e condiviso dai consiglieri Lauri, Boem, Vito, Sergo e Bianchi.


lunedì 22 gennaio 2018

Lago, un promemoria e un invito per i Consiglieri regionali

Contestualmente alla conferenza stampa di venerdì scorso, i Comitati (a firma di Franceschino Barazzutti) hanno inviato ai Consiglieri regionali una lettera nella quale segnalano le problematiche del Lago e invitano a inserire, nella prossima discussione del Disegno di Legge n. 237 “Norme in materia di ambiente e di energia” uno specifico emendamento  per l'indizione di un concorso tecnico internazionale per l'individuazione di procedure atte a realizzare il by pass capace di impedire lo scarico nel Lago delle acque fredde e fangose della centrale di Somplago.

------------------
Egregia  Consigliera, Egregio Consigliere,
abbiamo appreso  che il Piano Regionale di Tutela delle Acque, recentemente approvato dalla Giunta regionale, ha adottato la seguente formulazione riguardo al lago di Cavazzo:

3.2.3 Conclusioni
Da quanto esposto ai paragrafi precedenti e in continuità con i criteri fissati nell’Analisi Conoscitiva, è stato scelto di definire il Tagliamento a valle di Ospedaletto come corpo idrico fortemente modificato. Tale individuazione è provvisoria e propedeutica al processo di designazione definitivo. In particolare il flusso di lavoro dovrà prevedere la valutazione di fattibilità di possibili azioni di mitigazione e una valutazione costi/benefici delle possibili alternative agli usi specifici esistenti. In particolare la valutazione delle alternative dovrà prendere in considerazione il progetto di realizzazione di una condotta di collegamento tra il lago di Cavazzo e il sistema derivatorio Ledra Tagliamento che consentirebbe di risolvere le difficoltà che annualmente si verificano ad Ospedaletto garantendo da un lato il fabbisogno del Consorzio e migliorando, dall'altro, gli ecosistemi acquatici del fiume Tagliamento a valle di Ospedaletto che ogni estate vengono messi a dura prova. Contestualmente dovrà anche essere valutata la fattibilità tecnico - economica di realizzazione di un canale di by – pass, o di altra soluzione progettuale che mitighi l’impatto dello scarico della centrale di Somplago sul lago di Cavazzo con lo scopo di recuperare le condizioni di naturalità del lago stesso e di garantirne la fruibilità.
      
Ora è tempo di passare ai fatti, tanto più che il Consorzio di Bonifica Friulana ha già pronto il progetto di derivazione e lo studio dell’ing. Franco Garzon, incaricato dai Comuni di Trasaghis, Bordano, Cavazzo Carnico,  dal Consorzio BIM Tagliamento,  dalla Comunità Montana della Carnia, dalla Comunità Montana del Gemonese, Canal del Ferro Valcanale, come lo studio dell’ing. Dino Franzil hanno dimostrato che il lago è in serio pericolo di interrimento a causa dell’apporto di fango dallo scarico della centrale idroelettrica di Somplago. Inoltre il Comune di Trasaghis ha conferito l’incarico  all’Istituto di Scienze Marine (ISMAR) del CNR di Bologna di portare a termine gli studi e le ricerche iniziate dallo stesso qualche anno fa, mirate  alla conoscenza dello stato del lago, in particolare alle mutazioni  dello stesso conseguenti all’entrata in esercizio della centrale idroelettrica di Somplago.
     Un’occasione immediata di passare ai fatti è offerta dall’esame in aula nella prossima settimana del Disegno di Legge n. 237 “Norme in materia di ambiente e di energia” presentando ed approvando un emendamento che preveda l’indizione da parte della Regione di un concorso internazionale per  la  “ realizzazione di un canale di by – pass, o di altra soluzione progettuale che mitighi l’impatto dello scarico della centrale di Somplago sul lago di Cavazzo con lo scopo di recuperare le condizioni di naturalità del lago stesso e di garantirne la fruibilità”.
     Tale concorso internazionale permetterebbe non solo di individuare le migliori soluzioni per il recupero della naturalità del lago, ma anche di rendere compatibili, in una visione complessiva e partecipata del territorio,  il funzionamento della centrale della lombarda a2a (meglio se appartenesse alla Regione!),  il prelievo irriguo e le portate del Tagliamento.
     Peraltro,  essendo il lago di Cavazzo – il più grande della regione – un’importante riserva idrica, ubicata in un’area ottimale tra la montagna e la pianura,  che diverrà sempre più  strategica nella prospettiva dei cambiamenti climatici, non può essere ulteriormente abbandonato all’attuale degrado, alla prospettiva certa dell’interrimento, allo sfruttamento di interessi di parte, che ora stanno dando l’assalto con le centraline anche ai torrenti della Val del Lago, persino alle sorgenti  sgorganti dalla rupe di San Candido a Somplago.      
    Nell’intervenire sul lago dobbiamo essere altrettanto bravi quanto lo siamo stati nella ricostruzione postsismica: fare le cose per bene e partecipate.    
    Inoltre, sarebbe motivo di orgoglio per la Regione e riferimento per altre analoghe situazioni la realizzazione  per prima in Italia (e non solo) di un progetto di recupero della naturalità di un lago, gravemente compromesso da un sistema  idroelettrico alimentato da derivazioni indiscriminate, rozzo ed insensibile verso l’ambiente come quello del Tagliamento-lago di Cavazzo, costruito dalla SADE negli anni ’50, improntato a criteri  che hanno portato alla tragedia del Vajont.
     Pregandola di voler valutare seriamente l’opportunità della presentazione ed approvazione di un emendamento in tal senso in occasione dell’esame del Disegno di Legge n. 237, Le porgo Distinti Saluti.
Per i Comitati Salvalago:  Franceschino Barazzutti, già sindaco di Cavazzo Carnico

------------- 

Ce pensàiso? 

domenica 21 gennaio 2018

Conferenza dei Comitati venerdì a Udine per la salvaguardia del "mosaico" della Valle del Lago (IV)

«Salviamo il lago di Cavazzo, il fondo è pieno di fango»


I l Comitato: «La Regione indica un concorso internazionale per realizzare il bypass La centrale di Somplago non deve scaricare lì». Lo studio dell’Ismar di Bologna


Marco Lepre ha ricordato, inoltre, che l’associazione ha già inviato a tutti i Comuni la bozza dell’ordine del giorno già adottata dall’amministrazione di Ponte nelle Alpi.