A proposito del recente rinvenimento di due bombe sul fondo del Lago, una ricostruzione storica che consente di inquadrare i termini del problema:
Bombe
nel Lago: ogni epoca ha le sue (e i suoi recuperanti)
|
La Stampa, 19-5-1939 |
Negli anni della seconda guerra mondiale, infatti, si
giunse anche a recuperare l'esplosivo che gli austroungarici avevano gettato
nel lago alla fine della Grande Guerra: l'operazione non era sfuggita ai locali
che, più di venticinque anni più tardi, si sarebbero visti costretti dalle
circostanze a tentare di effettuare il recupero di parte di questo materiale.
Nell'estate del 1944, infatti, alcuni partigiani effettuarono delle immersioni
nel lago per cercare di impadronirsi di quell'esplosivo. Un comandante di
distaccamento del Battaglione "Matteotti" raccontò di immersioni
fatte, senza respiratori, sino alla profondità di 18 metri e oltre, del
faticoso recupero dei bossoli e del loro svuotamento per ricavarne l'esplosivo,
che venne usato poi per azioni di sabotaggio contro i tedeschi e anche, più
prosaicamente, per la confezione di bombe con cui esercitare la pesca nel lago
stesso, al fine di procacciarsi pesce per i reparti in montagna: "In località <Daûr la Muela> c'era un
punto dove i tedeschi avevano gettato delle bombe, nel 1918. Bisognava scendere
sul fondo, almeno a 18 metri, e recuperarle. In seguito si toglieva la polvere
da sparo, si caricavano con quella due o tre bossoli e così, poi, nottetempo,
si andava a prendere il pesce" (4).
Finita
la guerra, nuova immissione: il materiale trovato nei depositi tedeschi,
specialmente dal “Recupero” di Osoppo, nel 1945-46 venne trasportato da camion inglesi e
americani sulle rive del lago, caricato su speciali barconi e quindi gettato
nel lago. Già durante il trasporto, però, alcuni ragazzi tentarono di
recuperare parte del materiale, che venne poi utilizzato in svariate maniere:
“Sono arrivati tre barconi semoventi, dotati
di ruote, e sono andati a stanziarsi dove ora c’è il campeggio [sulla sponda
occidentale del lago[; ogni giorno, due volte al giorno, arrivava una colonna
di camion guidata da soldati di colore, che marciavano sollevando nugoli di
polvere. Quando l’ultimo veicolo della colonna, passando per la piazza,
rallentava, i ragazzi del paese ci salivano su e, fuori dall’abitato, in “Santaviela”
scagliavano fra i campi di granoturco casse di munizioni, poi scendevano giù dal camion quando il mezzo rallentava al
guado del Rio da Cot. Gli autisti non si accorgevano di tuto questo traffico,
così la faccenda è andata avanti a lungo. Alla sera, poi, i ragazzi andavano a
recuperare il maltolto. Così le cassette di munizioni, svuotate, diventavano
indistruttibili cartelle di scuola, con la tela robusta dei nastri di munizioni
le donne realizzavano pastoie per le gerle e pedule per sandali e zoccoli poi
finiti con legno d’acero da Sisto e Tita di Moscheton”. (2)
|
I recuperanti |
Le
ristrettezze del periodo (siamo nel 1946 - 47) portarono diverse persone a tentare, successivamente,
il recupero dei materiali bellici gettati nel lago, per la vendita del metallo.
Il recupero veniva fatto dai paesani su delle barche, usando una specie di
forca con un'asta lunghissima, che giungeva alla profondità di circa 20 metri,
profondità alla quale si poteva ancora scorgere ed incocciare il proiettile. I
proiettili venivano scaricati e la polvere per la maggior parte gettata in
acqua o venduta soprattutto agli uomini della Forestale impegnati nella costruzione
di strade in montagna che avevano quindi necessità di esplosivo per far saltare
i macigni (5), mentre il materiale ferroso veniva venduto. C'è da aggiungere
che in queste operazioni di recupero la fretta, o l'imperizia, causarono anche
un incidente mortale e alcuni ferimenti. L'attività fu comunque piuttosto
redditizia e tale da raggiungere poi una veste "ufficiale", anche con
la costituzione di una specifica cooperativa : "All'inizio ognuno andava per conto proprio a tirar su dal lago
l'esplosivo, utilizzando una speciale ancora e dopo provvedendo allo
svuotamento della polvere da sparo. Il materiale ferroso veniva ceduto ai tanti
straccivendoli itineranti. A volte si riusciva a vendere anche la polvere da
sparo”. (5)
Il “salto
di qualità” si ebbe quando intervenne una nota ditta produttrice di macchine
per il caffè che, evidentemente riconosciuta la qualità del materiale recuperato,
provvide a ufficializzare l’attività:
In seguito è comparsa la Ditta Dorio (quella
delle macchine per il caffè) che ha assunto regolarmente cinque dipendenti. Una
volta alla settimana venivano col camion a portar via il ferro recuperato; si
era pagati piuttosto bene, il salario era superiore a quello pagato agli operai
dei cantieri" (5).
|
Immersione dei sub della Operazione Atlantide |
Quanto
materiale sia stato portato in superficie e quanto effettivamente rimanga sul
fondo del lago è difficile dire. Si sa che i subacquei dell'"Operazione
Atlantide" che fecero numerose immersioni nel lago nel 1969, raccontarono
di aver provveduto al recupero di almeno 800 bombe, individuate frugando il
fondo con le mani infilate nel fango: “Andavamo
sotto tutti insieme, di notte e senza alcuna luce. Frugavamo il fondo del lago,
con le braccia infilate nella melma. Ogni tanto incontravamo un corpo duro, era
una bomba. Ne abbiamo recuperate 800” (3).
Ovviamente,
esplosivo nel lago ce n’è ancora molto: ne hanno individuato i ricercatori del
CNR-Ismar di Bologna che hanno fatto degli scandagli elettronici nel 2015 e,
negli scorsi giorni, dei sommozzatori pordenonesi che hanno individuato e
fotografato un paio di ordigni.
Pieri
Stefanutti
Fonti
1) Si tenta il recupero in un lago
friulano dì materiale militare gettatovi durante la guerra, "La
Stampa", 19 maggio 1939
(2) Zuan Cucchiaro,
Finida la vuera: San Scugnî di rangjâsi,
B.P.Al. n. 51, luglio 2008
(4) Testimonianza
di Primo
Turisini “Crosta” di Alesso
(5) Testimonianza
di Giovanni Turisini "Gnalena" di Alesso
Si parla di questi fatti anche in: Pieri Stefanutti,
Un lago … di storia, “Messaggero
Veneto” 22 luglio 1993
|
Una delle bombe individuate recentemente |