Riceviamo e pubblichiamo un contributo di Dino Rabassi ispirato dalla discussione in corso su quelli che abbiamo chiamato "i revisionisti della Ricostruzione". Rabassi non interviene solo come ex-amministratore degli anni della Ricostruzione ma anche, e soprattutto, per rileggere la propria esperienza personale alla luce dei mutamenti e dei cambiamenti imposti dal terremoto. L'analisi ricorda la presenza, nel '76, di "
rappresentanti capaci di raccogliere le richieste che provenivano dal popolo" e invita, una volta completata la ricostruzione materiale, a impegnarsi per "
l’altra ricostruzione ancora da completare, forse dimenticata nell’eccessiva priorità data alle cose materiali, dimenticando quelle vere e profonde che sono il vero motore nel fare il proprio dovere per poi sentirsi non “diversi”, ma solo e semplicemente “Friulani”".
E' un ragionamento che può essere condiviso
in toto. (A&D)
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Revisionisti e non sul terremoto -
Avevo 22 anni appena compiuti quell’ormai
lontano 6 maggio 1976.
Da 6 anni avevo perso mio padre e quel
giorno persi pure la casa, costruita con sudore e sacrificio dai miei genitori
che allevarono anche 6 figli.
Mai potrò dimenticare la mattina del 7
maggio, il cui sorgere del sole permise a mia madre di vedere com’era ridotta
la sua casa.
Dall’alto dei suoi 65 anni subito ci
incoraggiò: “L’impuartant a l’è che i stin ben. Io i ai provât la prima guera,
il taramot dal 28, la seconda guera e cumò ancja chesta. Las ciasas a si
comedin o si rifasin como che i vin cognut fâ io e vuesti pari. L’impuartant a è la salut, volesi ben e tacâ a lavorâ”.
Poi girandosi e credendo di non essere
udita sussurrò quasi fra sè: “Ah Lino, vuei però i volares iesi cun tei!”
Povera mamma, come poveri furono tutti quei suoi coetanei e
coetanee in giro per il mondo o a casa: i primi in una vita spesa nel duro
lavoro soprattutto all’estero, le seconde a crescere nugoli di pargoli, badare ai
vecchi, alla campagna e alla stalla, reggendo da sole tre piedi di quel tavolo
chiamato famiglia.
Volti di tanti che io e tanti di noi ricordiamo
con affetto, ammirazione, gratitudine e dove, tra le rughe dei loro volti,
potevamo scorgere dignità, saggezza, onestà e voglia di ricominciare che trascinò
anche noi ancora ragazzi alla ricostruzione: l’unica ben riuscita e in pochi
anni in Italia.
Dovetti abbandonare la scuola ed il
lavoro, che contemporaneamente svolgevo fuori casa, per dedicarmi a rifare ciò
che il sisma aveva portato via.
L’emergenza durò tutta l’estate ma,
quando si pensava che lo stillicidio delle scosse stesse per finire, settembre
ci fece sobbalzare di nuovo portandoci tutti in riva al mare, da cui rientrammo
in primavera per occupare i prefabbricati appena ultimati
Nella vita comunque, ogni negatività
porta con se anche dei risvolti positivi e così, sia io che la stragrande
maggioranza dei ragazzi della mia età, la tragedia del terremoto e la
conseguente ricostruzione concesse anche dei vantaggi.
Ogni Comune infatti, i cui uffici fino ad
allora si limitavano alla sola amministrazione, dovettero dotarsi di Uffici
Tecnici, così come la Regione, la Comunità Montana, la Provincia ecc. di strutture
atte ad affrontare l’emergenza, oltre alle numerose Ditte edili che confluirono
in Friuli creando un indotto notevole in ogni settore economico.
Ai giovani, sia a chi aveva un diploma o
a chi aveva scelto di lavorare fin da ragazzo, ciò permise di trovare immediata occupazione per rimanere in
zona ed iniziare a ricostruire.
Certo anche la solidarietà ed i
contributi arrivarono, ma i prezzi lievitati enormemente, soprattutto agli
inizi, consentivano di coprire si e no il 45% del costo finale della casa: vale
a dire la sola struttura in caso di ricostruzione privata, per il rimanente ci
si doveva arrangiare.
L’’intervento pubblico richiedeva spese
minori, ma comportava una ricostruzione economica pari a quella dell’allora
edilizia popolare per cui, tanti, preferirono “fa di bessoi”.
Comunque tutto fu riedificato e questo, in
estrema sintesi, è il quadro della ricostruzione in Friuli.
Come fu possibile allora ottenere il
cosiddetto “miracolo friulano”? Come mai in altre passate e recenti calamità
non si è riusciti a ricrearlo su scala nazionale?
A
queste domande in me riemerge il ricordo di immagini televisive RAI in bianco e
nero girate nella primavera del 1977: periodo in cui la popolazione era
impegnata a rientrare da Lignano e Grado ove era sfollata per l’inverno.
La scena, che tutt’ora mi inorgoglisce, è
quella di un vecchietto, di Gemona mi pare, che fiero e grato per il dono di un
prefabbricato appena ricevuto, alla domanda di una giornalista su quando sperava
di avere una nuova casa rispose: ”Guardi che questa è terra e gente friulana, torni
fra dieci anni e la risposta l’avrà allora!”.
La risposta ai giornalisti e a tutta
Italia la ebbero proprio nel tempo da lui stimato e testimoniato da varie
trasmissioni dedicate a commemorare il decennio del sisma e la ricostruzione.
Tornando indietro nel tempo, alle soglie
dei 60 anni e ripensando alle scelte fatte, non vi è dubbio che alcune cose
potevano essere realizzate meglio ma, parafrasando un antico detto che solo chi
non fa niente non può sbagliare, ritengo la ricostruzione del Friuli
terremotato una realtà di cui andar fieri.
Discutere quindi a chi vanno i maggiori
meriti di questa ricostruzione non porterebbe a niente!
Io come cittadino, poi quale tecnico
comunale in varie sedi, ma anche come Amministratore che ha attraversato tutta
la ricostruzione vivendo e lavorando con orgoglio nel motore stesso di questa
straordinaria macchina, posso solo riaffermare quanto detto recentemente ad
Alesso a chiusura dei lavori sulla questione lago/edipower ai candidati alla
Presidenza della Giunta Regionale:
- “Signori candidati, così come l’ho aperta,
così tocca a me chiudere questa assemblea.
Vi ringraziamo quindi del dono
della Vostra presenza, ma avendo l’aggettivo “ospite” bivalenza, tutti noi, a
nostra volta, vorremmo farvi un dono sotto forma di augurio.
Osservate questa gente venuta qui per udirvi, forse li sentite
distanti, ma non chiedetevi continuamente cosa dovrebbe fare un politico per
riavvicinarli alla politica stessa.
Ai tempi del terremoto noi abbiamo avuto la fortuna di avere dei
rappresentanti capaci di raccogliere le richieste che provenivano dal popolo, hanno
saputo recepire il loro lamento, le loro difficoltà, scendendo tra loro e
legiferando di conseguenza, al di la e al di sopra dei partiti, dei loro
interessi politici e personali, con acume ed intelligenza i cui frutti sono
tuttora evidenti.
Lo fecero nel nome di quella stessa gente di cui anch'essi facevano
parte ed è per questo motivo, non per altro, che il Presidente della Repubblica,
con altrettanto acume, decise di conferire la medaglia d’oro al merito civile
all'intero popolo friulano.
Fate quindi semplicemente questo: lavorate con abnegazione per loro,
nel loro interesse e sappiate sentire il loro lamento!
Vedrete che la gente vi saprà capire, comprenderà anche qualche vostro
errore, tornando ad onorare e seguire quell’arte nobile un tempo chiamata
politica e che tale dovrà tornare”.
Tocca ora a noi, ormai “giovani vecchi”,
riprendere il lascito di princìpi che furono dei nostri genitori e che oggi sembra
smarrito.
Un’eredità fatta non solo di beni
materiali che si possono ricostruire in 10 anni, ma anche e soprattutto di
valori antichi ed eterni che ci permise tante, troppe volte nella storia di
questa martoriata terra, di risorgere più forti di prima.
E’ questa, secondo me, l’altra
ricostruzione ancora da completare, forse dimenticata nell’eccessiva priorità
data alle cose materiali, dimenticando quelle vere e profonde che sono il vero
motore nel fare il proprio dovere per poi sentirsi non “diversi”, ma solo e
semplicemente “Friulani”..
Come già detto, tutte le disgrazie portano
anche qualcosa di positivo come lo fu per il terremoto.
Mi auguro quindi che la prova a cui vanno
incontro i nostri figli a causa questa tremenda crisi economica, faccia
riemergere in noi il lascito dei nostri padri, affinché senza paura riusciamo a
guidarli e sorreggerli infondendo coraggio come un tempo loro fecero per noi.
Dino RABASSI