"Alesso e dintorni", dal puint di Braulins al puint di Avons

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mercoledì 3 aprile 2013

3 di avrîl pai furlans. Il senso di una data

A si fevele, in chescj dîs, dal 3 di avrîl como "fieste dal Friûl" e, come simpri, lis posizions a son unevore difarentis: al è chel  che al cjacare di "bufulis", cui che al sostèn che al è sacrosant....
Une clâf di leture unevore interessante a è che di W. Cisilino sul MV di cualchi dì indaûr: la date, in sè, a jè une invenzion, une gjeniâl invenzion di prè Checo Placereàn, ma al è un imprest unevore util par judâ i furlans a resonâ su la lôr storie e sul lôr jessi. (A&D)






Luci e ombre sul 3 avrîl, ma il Friuli nacque allora
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di WILLIAM CISILINO
Per capire il vero significato, e quindi il valore, della Fieste de Patrie dal Friûl non serve andare fino al 1077, ma è sufficiente fermarsi al 1977 quando pre Checo – al secolo don Francesco Placereani da Montenârs – ne organizzò la prima edizione.
La grande intuizione di Pre Checo. Cerchiamo di utilizzare il suo punto di vista. Le grandi battaglie dell’autonomismo, risorto nel ’66 col Movimento Friuli e nel ’67 con la Mozione del clero per il Friuli, sono ancora ben lungi dal vedere dei risultati concreti, sia in campo sociale sia economico; per non parlare di quello politico, dominato dalla neo-capitale Trieste. Nel ’76 l’Orcolat, il terremoto, sconvolge il Friuli. È in quel momento che pre Checo intuisce che i friulani hanno davanti a sé un’occasione unica per prendere in mano le redini del proprio destino e, per farlo, devono uscire da quella situazione “cul cjâf e no cui pîts, come i muarts”. Gli occhiali della storia Per fare ciò, il popolo friulano doveva riappropriarsi la politica, la chiesa, l’economia, l’istruzione superiore, ma, in primis, la propria lingua, cultura, identità e storia. Per pre Checo era tutto collegato e la visione del Friuli d’oggi e di domani non poteva esistere senza la piena e corretta conoscenza del passato. Lo spiega bene uno dei nostri storici autorevoli, Giancarlo Menis: «Pre Checo, in quanto era un uomo libero e voleva che i friulani fossero liberi, ha usato la storia continuamente, per sé e per gli altri, in ogni suo aspetto, magari a volte inzuppandola nell’aceto o ricorrendo alla trasfigurazione mitica dei fatti. La storia si intreccia sempre nei suoi pensieri come l’unico strumento adatto per afferrare il bandolo della matassa aggrovigliata dalla realtà». Insomma, l’esatto opposto di chi, oggi, da qualche alto scranno, vorrebbe farci intendere che le uniche lenti per comprendere e dare senso alla realtà sono quelle economiche. Perché il 3 aprile 1077 Chi conosceva questa data prima dell’azione di pre Checo? Forse nemmeno gli storici. Lo stesso Pio Paschini, nella sua grande Storia del Friuli (che pure aveva un’impronta molto ecclesiastica), liquida l’evento in poche righe. Pre Checo lo riscopre, lo approfondisce e comprende che quel fatto costituí la vera chiave di volta della vicenda friulana, come infatti tutti gli storici successivi – con diverse sfumature – dovettero ammettere.
Quel 3 aprile, infatti, il patriarca Sigeardo, in ragione della sua fedeltà all’imperatore Enrico IV, ricevette da questi l’investitura feudale di Duca del Friuli (nonché Marchese d’Istria): nasceva lo Stato patriarcale friulano. «Si costituiva cosí – spiega Giancarlo Menis nella sua Storia del Friuli – un vasto e compatto territorio che doveva sottostare alla giurisdizione feudale del patriarca. In poche parole veniva fondato quel “principatus Italiae et Imperii” politico-ecclesiastico, che sanciva una realtà sociale già consolidata attraverso un lungo processo storico che, di lí in avanti, per tre secoli e mezzo, avrebbe unito i friulani in forme sempre piú elevate di vita civile».
Ritorno al Medioevo? Perché pre Checo non andò a pescare qualche data storica piú recente, ma addirittura si inoltrò sino al 1077? Cosa c’entra il Medioevo col Friuli d’oggi? (ripeto alcune domande che mi sento fare ogni anno). È inutile negarlo: qui ci troviamo nel campo minato della “invenzione della tradizione”, a cui l’insigne storico Eric J. Hobsbawm ha dedicato la sua celebre opera. Un campo, va detto, in cui tutti si sentono legittimati a criticare tutto (degli altri), senza ricordare che il concetto hobsbawniano si applica a tutte le nazioni e, in particolare, agli Stati-nazione. Lo storico italiano Banti ha scritto numerosi libri per descrivere come il nazionalismo italiano ha usato e abusato della storia per altri fini.
La Festa del 3 aprile è, e deve essere, qualche cosa di diverso. Tanto per essere chiari: nessuno rimpiange lo Stato patriarcale friulano o lo ritiene il non plus ultra di governo cui tornare, come alle risorgive della vera identità friulana. Tutti sanno che quello Stato era inserito in un contesto feudale dove il popolo subiva le decisioni, invece di esserne parte. Però, come chiosava lo storico Tito Maniacco, “sicuramente era uno Stato satellite, ma pur sempre Stato”. La nascita di un’identità Ritengo molto azzeccata la scelta di pre Checo in quanto, a differenza di altre date più o meno recenti, è quella che ha segnato di più non tanto e non solo i destini politici, bensì i destini culturali del Friuli. Di altre date non si può dire lo stesso (qualcuno ha proposto il 568, con l’arrivo dei Longobardi o la rivolta della Zobia grassa del 1511 o altre ancora). Che piaccia o no, in seguito a quel fatto storico, il territorio dello Stato patriarcale da un lato restò isolato rispetto al resto d’Italia, rimanendo per alcuni secoli sotto l’influenza dell’Imperatore, dall’altro sviluppò al suo interno una omogeneità linguistica e culturale con il definitivo affermarsi della lingua friulana, anche nella sua forma scritta, sia per gli usi giuridico-amministrativi che per quelli letterarii. A differenza del dominio politico di patriarchi che mai furono friulani, possiamo dire con orgoglio che questo patrimonio di lingua e di cultura, rimasto miracolosamente intatto fino ai nostri giorni, appartiene solamente al popolo friulano.
A noi il compito, oggi, di preservarlo, per dirla con David Maria Turoldo, “pal ben dal nestri popul e cuintri di nissun”.
(Messaggero Veneto, 30 marzo 2013)

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