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Sono temi affrontati e spiegati molto bene dal prof. Gian Paolo Gri, a commento della mostra Simboli e rituali della morte nella cultura popolare friulana aperta a Udine.
Vivi e morti a contatto
nella cultura popolare
travolta da Halloween
La commemorazione dei defunti, dal vespero di Ognissanti alla giornata del 2 novembre, sta mutando carattere anche in Friuli. È vero che i cimiteri si trasformano in giardini, ma non si sa se interpretare il fenomeno ancora come omaggio o come senso di colpa. Sono cambiati i modi del nostro rapporto con le generazioni passate; a un sintomo significativo come il rapido e incisivo imporsi della pratica della cremazione corrisponde bene la facilità con cui fra i più giovani si è fatto strada il consumismo del folclore altrui, d’oltreoceano, sotto il segno della zucca di plastica di un Halloween.
Non valgono rimpianto e demonizzazione; fa bene il Museo Etnografico di Udine, di fronte alla trasformazione, a scegliere la strada di una proposta riflessiva, capace di offrire maggiore consapevolezza dei grandi scenari simbolici che si stanno abbandonando: la concezione che il destino dell’anima non è quello della rottura subitanea, ma la storia di un viaggio lungo e faticoso che i vivi fanno bene ad accompagnare; l’idea che ci siano categorie di defunti ai quali quel viaggio è impedito: condannati a restare di qua, inquieti e irrequieti (i morti di morte violenta, coloro che hanno barato sui pesi e sui confini, i neonati non battezzati, i morti prima del tempo: giovani donne di parto, ragazzi morti in guerra); la convinzione radicata che quello dei defunti sia un mondo vicino e parallelo, che manda . segnâi da interpretare, un mondo analogo e opposto con il quale il contatto è possibile a certe persone (le “benandanti funebri” del folclore friulano, nei suoi tratti più conservativi), in certi luoghi (i crocicchi, gli antichi percorsi verso le pievi e le chiesette isolate), in certi tempi (la processione dei morti e il loro ritorno nelle case la notte della loro commemorazione; la rogazione dei morti la notte di Natale e nelle Quattro Tempora). (...)
Al centro di tutto, il problema della memoria con il suo carattere selettivo. Che cosa tenere, che cosa lasciar andare? Se dovessi indicare l’aspetto che più in profondità unifica l’eterogeneità delle tradizioni popolari in quest’ambito, direi che è la coscienza viva che dai morti arriva l’invocazione a non essere dimenticati. È come se le parti fossero invertite: non noi, ma loro bisognosi di memoria; non i vivi, ma loro bisognosi di rituali per rimandare quanto più possibile lo spegnersi inesorabile del ricordo.
Mantenere memoria compensa per quanto possibile la lacerazione del distacco e oppone barriere al procedere della dimenticanza. (...)
Per leggere tutto l'articolo, pubblicato dal Messaggero Veneto:
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