Aloisio Picco: un
letterato interneppano nel turbinio del Risorgimento
La ricerca di questo mese, più
che definirla tale, la intenderei piuttosto come uno spunto da cui potrebbero
partire ricerche vere e proprie, anche da altri studiosi. Anzi spero siano
soprattutto altri a voler approfondire, in quanto la poesia non è proprio
l’ambito letterario che mi è più affine come conoscenze teoriche. Sì perché è
proprio di un poeta che stiamo parlando, ma questa volta non di mio nonno Ugo
Rossi, bensì di un suo compaesano del secolo precedente, un misterioso ed
irrequieto personaggio della prima metà dell’Ottocento: è l’archetipo del sanguigno
patriota e letterato risorgimentale, è Aloisio Picco. L’entità delle
informazioni biografiche rintracciate, inoltre, è del tutto insufficiente a
disegnare un profilo anche soltanto sintetico, ma certamente rende almeno
un’idea di quale inusualità risiedesse in questo nostro antenato. Basandomi
soltanto sulle informazioni rintracciate in rete, ho potuto in primis
accorgermi di una vera e propria contraddizione nella sua condizione umana,
ossia il fatto di essere un talentuoso scrittore, e per questo anche
collaboratore per alcuni periodici, ma anche di vivere in uno stato decisamente
miserrimo, che poi rifletteva quello dei villaggi pedemontani dell’epoca come
Interneppo. Il contemporaneo giornalista e studioso della Filologica Friulana
Elio Varutti così infatti lo descrive: “Puar
tant che il pedoli. Al veve «parfin li scarpis rotis»,
ma al jere plen di braure”. Il contesto storico in cui si ritrovava immerso
era quello dei grandi moti del 1848, in pieno Risorgimento, e il fervore che
ubriacava gli animi dei giovani italiani era massimo anche tra gli
intellettuali e militanti friulani. Picco, carbonaro com’era, rientrava in
questa cerchia, tanto che si trovò a far parte della prima redazione del foglio
periodico di stampo patriottico “Il Friuli”, che uscì per la prima volta il 2
novembre 1848, firmato dal suo amico Camillo Giussani. Il momento era cruciale
per l’immediato futuro di un possibile primo embrione di Italia libera e unita,
in quanto è vero che Custoza si era già abbattuta da alcuni mesi sul sabaudo
Carlo Alberto, provocando il primo grande stop alla sua campagna, ma Novara,
ossia la resa dei conti a favore di Radetzky, sarebbe arrivata solo nella
primavera dell’anno successivo. Oltre a Picco e Giussani, molti altri erano i
carbonari in redazione: Giovanni Turchi, Luigi Gabriele Pecile, Pier Viviano
Zecchini, Guglielmo Rinoldi, Jacopo Zambelli. Per un giornale dal titolo tanto
semplice quanto identitario, la sede poteva essere soltanto Udine; infatti
l’ufficio si collocava nella Cartoleria Trombetti-Murero, in Contrada San
Tommaso, attuale Via Cavour e quindi in pieno centro ed anzi a pochi metri
dalla sede del Comune. Non possiamo sapere se Picco fosse pienamente
soddisfatto dell’attività del giornale, in quanto la vena chiaramente
patriottica veniva in un certo senso sterilizzata da uno stile asettico e
neutrale, assolutamente non schierato e che poggiava i suoi pilastri non nel
sentimento e nella passione, di cui un convinto carbonaro romantico come il
nostro Aloisio si caricava, ma nella ragione. Quasi una sorta di impostazione
post-illuministica e pre-positivistica, il Risorgimento raccontato
razionalmente e senza sbavature passionali. Questo duplice aspetto, patria e
ragione, è molto ben individuabile nella presentazione che la redazione stessa
propose ai lettori in primissima pagina nella prima uscita del foglio. Dopo
aver infatti messo in guardia e ricordato i danni che l’enfasi di un
giornalismo partigiano già aveva provocato in Europa, si dice questo: “La parola non sia dunque strumento né del
dispotismo, né dell’anarchia. Nello stato intermedio solamente, dove regna la
Ragione, vi ha il mezzo di continuare ad effettuare l’opera della civiltà
universale. E la parola che viene indirizzata al popolo dal Giornalismo sia
sempre l’ingenua espressione della Ragione; altrimenti gli inganni sarebbero
mille e mille”. È anche chiarito il motivo dell’indisponibilità a trattare
di idee politiche: “Ma della polita
pratica propriamente poco potremo dire, perché un Giornale di una Città di
Provincia non deve avere un colore suo proprio: quest’è un vocabolo del
linguaggio delle passioni estreme”. Ma “Le
colonne del nostro Foglio periodico riporteranno scritti di que’ valenti uomini
che onorano co’ loro studi questa patria”. Questo periodico durerà quattro
anni, fino al 1851.
Per quanto riguarda invece le sue opere poetiche, ho
scovato, tramite ricerca in internet del suo nome (che in vero si ritrova
maggiormente nella versione “Aloisio Pico”, con una sola “c”), alcuni testi
anche molto differenti tra loro per tema e lunghezza, ma accomunati da una
energia a tratti stemperata da una profonda malinconia. In questo caso la fonte
è di parecchio posteriore alla sua morte, e si parla di un altro giornale
friulano, “Pagine Friulane”, “periodico mensile di storia, letteratura e
volk-lore friulani”. I testi riferibili ad Aloisio su cui mi sono concentrato
sono cinque, anche se se ne trovano di più, e appartengono alle seguenti
uscite: 15 aprile 1888, 22 luglio 1888, 17 febbraio 1889, 26 aprile 1891, 18
dicembre 1892. Gli screen di un paio di questi testi, direttamente dai fogli
delle “Pagine Friulane”, sono presenti qua come foto.
Il primo è una toccante
ballata di 15 quartine in rima baciata, si intitola “Rosella”; come tutti gli
altri (meno il penultimo) non è datata ma pare essere dedicata alla sorella del
poeta, Rosella appunto, da questi vegliata in quanto non più facente parte del
mondo dei vivi.
Il secondo invece è una poesiola, un sonetto per la precisione,
e quindi composto da due quartine e due terzine: le quartine sono a rima
alternata, mentre le terzine si presentano CDC – DEE. È intitolato “Napoleone
al passo del “San Bernardo”. Pare un’ode alla calata di Napoleone nella
Repubblica di Venezia, che conobbe proprio a causa sua la fine. Non sarebbe
affatto strano questo entusiasmo nei confronti del portatore dei principi della
Rivoluzione Francese in una terra, il Friuli, che ancora a fine Settecento era
soggiogata all’Ancien Régime, ormai corrotto e decadente, dei Dogi. D’altra
parte, come sappiamo, il Risorgimento altro non fu che il “primogenito” della
Rivoluzione, nato per combattere la Restaurazione.
Come terza composizione,
abbiamo una poesia in otto strofe di sei versi, “
Il cuore umano”. In essa
Aloisio non solo esalta le virtù di quest’organo umano, cui attribuisce facoltà
che oggi sappiamo essere di esclusivo esercizio del cervello, ma anche si
preoccupa del suo destino, chiedendogli, per esempio, a un certo punto se Dio
lo risveglierà alla fine dei tempi. In questo l’autore pare proprio figlio del
Romanticismo, che esaltava il valore dell’emozione profonda nell’esistenza
umana. Probabilmente quelle preoccupazioni di fine ingloriosa del cuore erano
rivolte anche al suo, che ancora batteva pieno di entusiasmo per gli ideali
risorgimentali.
L’ultimo testo (il quarto lo cito successivamente), che essendo
più lungo degli altri non riporterò in foto ma che invito a leggere
direttamente nella fonte, andrebbe meglio analizzato e mi limito a segnalarlo.
Si chiama “Il notomico ed il cadavero ovvero la sapienza divina ed umana”. In
pratica in strofe è riportato un ipotetico dialogo tra lo spirito che abitava
il corpo di una giovane, morta di crepacuore per la scomparsa del suo amato, e
un medico che sta per sezionare il cadavere. Prima che il medico possa
cominciare, lo spirito anima l’immobile bocca del corpo e dice che non gradisce
la violazione delle sue carni. Il medico, avendo a che fare con un’entità
ultraterrena, la interroga sul destino dell’anima, ed essa gli dice che
risponderà alle sue domande a patto che non proceda con l’operazione. Un
dialogo serrato e non privo di tensioni porta il saccente medico a chiedere
ripetutamente “Cos’è Dio?”, ma senza ricevere la risposta che si attendeva. È
appunto l’impossibilità da parte della sapienza umana di poter interagire con
quella divina, corrono su due filoni separati, non ci comprendono. Per
concludere, sarebbe da ricordare anche la collaborazione di Aloisio con un
periodico veneziano assai valido per la trattazione di temi musicali e
teatrali. Era “Il Gondoliere”, che iniziò ad uscire il 6 luglio 1833 su impulso
dell’editore e tipografo Paolo Lampato e che era figlio di un’altra rivista,
dell’anno precedente ed avviata dallo stesso personaggio, “La moda”, in cui già
si pubblicavano, oltre che articoli di moda, anche testi di letteratura colta,
poesia e racconti. Nel ’34 a Lampato subentrò Luigi Arminio Carrer, il quale
relegò la moda in secondo piano per dare più spazio a storia e letteratura. Già
dall'inizio esisteva una rubrica, “Teatri”, dedicata alle attività teatrali veneziane
e venete in generale, ma dal ’34 il suo ampliamento, il passaggio della rivista
dal formato piccolo a quello grande e l’aumento del numero di uscite (da
settimanali a bisettimanali) incrementarono gli articoli su temi musicali, ed i
contributi arrivavano da letterati non solo veneti ma anche di altre parti
d’Italia. Alcuni rimanevano anonimi, altri si firmavano con acronimi, altri col
vero nome, altri ancora con pseudonimi, e tra questi vi era il nostro
interneppano. Si firmava infatti “Aloisio Pico da Interneppo”. Si ricorda il
suo carme “In morte del sommo violinista Nicolò Paganini”, uscito il 23
novembre 1844. La rivista fece uscire il suo ultimo numero il 16 febbraio 1848,
proprio l’anno in cui fu fondato “Il Friuli”.
E qui menziono anche l’ultima
opera che ho reperito, l’unica datata tra le cinque presenti in “Pagine
Friulane”. Si tratta sempre di un carme, e l’ho lasciato alla fine perché anche
questo è dedicato, come il precedente, a un grande artista all’epoca
recentemente scomparso, il pittore udinese Odorico Politi. “Al sommo pittore
Odorico Politi” è datato 10 dicembre 1846. Come avrete ben capito, Aloisio non
parlava della sua terra, non la menzionava tra le righe, la sua produzione
appartenne culturalmente a un ambiente decisamente cosmopolita, come infondo è
quello dell’arte in tutte le sue forme. Probabilmente anche per questo se n’è
persa la memoria da noi, tanto che nessuna sua opera rientra nella “Raccolta di
poesie della Valle del Lago e dintorni”, curata da Ugo Rossi ed edita nel 1975.
In essa infatti i testi riguardano proprio questo ambito geografico, non
spaziano su altro. Non ho avuto altrettanta fortuna nel trovare la data di
morte di Aloisio, che infatti mi rimane ignota (sarebbe da cercare negli
archivi), ma sicuramente doveva essersi inserita sempre in questi tumultuosi
anni ’40 dell’Ottocento o a cavallo coi ’50. Proprio grazie alla ricerca di
Elio Varutti sulla storia dei suicidi in Friuli, possiamo almeno intanto sapere
che morì per sua stessa mano. Varutti infatti, all’inizio del capitolo “Il
suicidi romantic tal Risorgiment”, esordisce con “Isal pussibil di taiâsi il cuel pe miserie e pe patrie taliane?”.
Riporto per intero la breve parte in cui si parla dei motivi e delle modalità
del suo gesto. L’autore a sua volta ha attinto dai testi di tali Bono (1888) e
Pilosio (1955): “Aliosio Picco nol à
resistît ae so situazion politiche e economiche. Cheste ultime e jere
veramentri grivie. Lis cronachis a disin che «al si jere seade la gole cuntun rasôr in Cjase Berretta, indulà che al
jere ospitât, e somee par caritât…»”. Anche in questo caso non si precisa il paese, di
certo non Interneppo e nemmeno Bordano. Se siamo in Friuli, potrebbe trattarsi
della villa nobiliare di Lauzacco, a sud di Udine e oggi in Comune di Pavia di
Udine, ma quella “r” di troppo non mi convince; potrebbe essere stato in
Veneto. Senza la pretesa di dare alcun giudizio ulteriore, vista appunto la
scarsa documentazione reperibile in rete di cui mi sono servito, c’è da dire
che la sua tragica fine infondo collima con una vita che pare sia stata
all’insegna di una continua e tormentata ricerca di quei valori che potessero
riscattare la sua terra e l’animo dell’uomo. Lancio dunque un appello affinché
la figura di questo dimenticato patriota e letterato locale, straordinariamente
colto per l’ambiente comunitario da cui proveniva (nei suoi scritti ho trovato
riferimenti a Dante e Manzoni), possa venir scandagliata con miglior efficacia
e perizia di quanto la grezza ricerca di un semplice appassionato di storia locale
come me possa fare.
Enrico Rossi
Fonti principali:
- Ricerca
“Il suicidi dai furlans”, Elio Varutti, 2009
- Ricerca
“La musica nei periodici veneziani della seconda metà del Settecento e
dell’Ottocento”, Maria Girardi (non datata)
- Numeri
de “Pagine Friulane” e de “Il Friuli” già menzionati nel testo