"Alesso e dintorni", dal puint di Braulins al puint di Avons

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sabato 30 dicembre 2017

Obiettivo su Bordano & Interneppo - 4 - La fontane di Selve a Tarnep

La Fontane di Selve e la sua acqua


Sappiamo che un salto nella vecchia Interneppo sarebbe possibile soltanto ascoltando i racconti dei nostri avi e sfogliando con cura una bella rassegna di foto d’epoca, rigorosamente scattate prima del maggio del 1976. Il tessuto urbano, infatti, così come quello di Bordano, risultò così alterato che una ricostruzione filologica non solo non sarebbe convenuta ma non avrebbe avuto neanche più senso di fronte alle nuove conquiste della modernità che premevano per entrare anche nelle piccole realtà tradizionali come la nostra. Insomma la vecchia Interneppo è stata salutata bruscamente in quel mese primaverile di oltre quarantenni fa, ma, quasi come fossero regali concessi in via del tutto eccezionale dalla stessa storia, qualcosa di fisicamente presente ancora proietta i ricordi dei più anziani in quel passato neanche tanto lontano e l’immaginazione dei nuovi attraverso le storie e i racconti al paese che fu e che non conobbero. Sono i relitti che ci ricordano, appena li osserviamo, che anche noi semplici abitanti della pedemontana abbiamo un passato con delle peculiarità e delle esperienze rimaste particolarmente impresse. Uno di questi elementi è la fontana della vecchia Plaçe di Interneppo, oggi, più che piazza, semplice punto di incontro tra Borc da Ros, Borc di Rive e Borc da Gleisie. Popolarmente è nota come Fontane di Selve. Quel “Selve” cosa sarebbe? Beh, una fontana è tale grazie all'acqua che vi sgorga, no? Ecco dunque la risposta; è l’acqua che dà il nome alla fontana e quindi guai a non dedicarle una parte della storia! D’altra parte, l’acqua ha senso di esistere anche senza le fontane ma una fontana è nulla senza la sua acqua. 

In questa foto aerea dell'Istituto Geografico Militare si vede Interneppo in ricostruzione dopo il sisma del ’76 e molte località numerate nei suoi pressi. Non è segnata Selve ma sappiamo che è subito sotto le Ruvîs (numero 6). Siamo veramente a due passi dall’abitato. (foto ricavata dal libro di Enos Costantini, vedi fonti)

Il rapporto con le sorgenti d’acqua è sempre stato problematico per gli interneppani, che solo dal Secondo Dopoguerra poterono godere di una soluzione definitiva. Nonostante la vicinanza a quell’enorme fonte d’acqua dolce che è il Lago di Cavazzo, era l’acqua corrente il vero oro blu e andava captata e raccolta con intelligenza e cura. Le fonti esistevano ma erano quasi tutte decisamente incostanti per il regime torrentizio e per l’esigua portata della rete idrografica locale: si trattava delle fonti dette Fous, Nonins (perenne ma dalla portata insufficiente) e Selve appunto, più l’unica perenne e allo stesso tempo capace da sola di soddisfare il fabbisogno, ossia quella di Pile. Per quanto riguarda quest’ultima, se ne dovrebbe parlare in un articolo (che già so esistere) sulla storia dell’approvvigionamento idrico di Interneppo, ma, rimanendo in ambito di sole fontane, possiamo dire che quella di Selve è stata dalla sua costruzione la più importante e utilizzata, se non altro per la sua centralissima posizione. Mentre una vecchia fontana, ora scomparsa e che si trovava presso Borc da Freide (il primo di quelli che si incontravano sulla destra venendo da Bordano, oggi sarebbe all’altezza della quarta-quinta casa sempre sulla destra), alimentata dalle prime due fonti citate, era più periferica, a lato della strada principale. In vero esiste una località chiamata Fontane, alle pendici orientali del Cuel di Cjasteons (tra Via dei Castagni e Via Lago), ma non si ha alcuna memoria di sorgenti o fontane passate. Il Catasto Napoleonico parla di prati, aratori, viti, terreni sterili e pascoli fortemente cespugliati; oggi anche qui il bosco sta avanzando. La Fontane di Selve è nata nel 1843 per portare al paese un’acqua di notevole qualità che non doveva andare sprecata, in quanto, lo ricordiamo, un tempo non era solo elemento indispensabile per l’uomo ma lo era anche per le sue innumerevoli attività, tra le quali quella ormai scomparsa dell’allevamento. Si trattò del primo acquedotto a Interneppo, costituito da tubi lignei provenienti dalla Carnia; prima di allora l’unica soluzione per reperire dell’acqua era recarsi direttamente presso le fonti. La preziosa opera fu propugnata da Don Natale Valzacchi, di Montenars, curato di Interneppo dal 1840 al 1843, e portata a termine in breve tempo grazie al concorso dell’intera popolazione, ansiosa di poter finalmente disporre di una fontana. Questa era a getto continuo e ai suoi piedi era stata installata una vasca di legno con coperchio e dalla capienza di 25 ettolitri che sarebbe servita per le bestie. Nel 1889, però, la precarietà delle tubature emergenti e della vasca spinse il Consiglio Comunale, da poco più di vent’anni spostatosi da Interneppo a Bordano, a decretare la sostituzione delle parti in legno con cemento romano. Sotto la direzione dell’ingegner Pantati, gemonese, e con la realizzazione dei lavori da parte del cottimista locale Giovanni Rossi fu Pietro Zuanine, nel 1890 era già tutto pronto nuovo di zecca, con una vasca con 10 ettolitri di maggiore capienza. I flussi però cominciarono un po’ alla volta a farsi meno abbondanti, fino ad arrivare a un periodo di vera e propria crisi idrica negli anni ’20, quando, a causa dei sommovimenti provocati dalle scosse del 5 maggio 1920 e del 26-27 marzo 1928 e dell’estate particolarmente siccitosa del 1921, l’aghe di Selve non era più sufficiente. In particolare nel ’21 la situazione era così critica che spesso per rifornirsi gli interneppani dovevano recarsi sino a Somplago mentre il bestiame veniva dissetato con l’acqua del Lago. La fontana è sopravvissuta alle due guerre mondiali ma non alla furia del terremoto, subendo una ricostruzione e una nuova collocazione, quella attuale in Plaçute (proprio all’imbocco dei borghi a est della strada principale), anche se, forse per seguire la semplificazione urbanistica adottata con la ricostruzione, Plaçute è ormai considerata parte di Place. Ma non serve necessariamente servirsi di testi per rileggere i principali capitoli di storia di questa piccola, ma per noi famigliare, fontana; sono infatti presenti sulla stessa le date chiave. In bassorilievo “1843” nella vaschetta di sinistra, “6 MAJ 1976” (più lo stemma del Comune di Bordano) in quella centrale, più capiente, infine “1983” in quella di destra, anno di ripristino della sua fragile struttura, anche se tornò in funzione nel ‘97. Vero e proprio omaggio alla sua instancabile attività di rifornimento è invece la strofa incisa sul lastrone su cui sono stati impiantati i tre rubinetti. Si tratta di una strofa proveniente da un’ode che Ugo Rossi ha dedicato alla vecchia fontana; era il luglio del 1964, Interneppo. Così recita:
Salve oh vecie fontane ciare
Buine mari di ogni tarneban.
Sei di chel restât a ciase
Come di chel lât lontan.
Non potrebbe meglio descrivere il legame che si era creato tra questa piccola opera di uso civico e la cittadinanza. 

La Fontane di Selve così come appare oggi a coloro che si avvicinano per rinfrescarsi, forse ignari del fatto che la sua acqua sia ritenuta una delle migliori, se non la migliore, dell’intero Comune. Alle spalle il Borc di Rive. (foto di Enrico Rossi)

Dettaglio della fontana: si riesce a leggere la strofa di Ugo Rossi del 1964. Notevole che una fontana così semplice sia entrata nelle letteratura, seppur locale, ma leggendo il testo si capisce bene il perché. (foto ricavata dal sito dell’Ecomuseo della Val del Lago, vedi fonti)

Sembra quasi assumere un significato più ideale che pratico: era la principale fonte d’acqua del paese, e senza acqua potabile raggiungibile una comunità semplicemente non può esistere, si estingue. Se la Chiesa di San Martino era ed è il santuario dello spirito, la fontana lo era della sopravvivenza in un certo senso. Abbiamo accennato che l’acqua fa la fontana, ebbene quella di Selve contribuì certamente alla popolarità di questa fontana, in quanto particolarmente apprezzata. Merito del Riu di Selve, che dall'omonima località delle basse pendici del San Simeone permette l’incanalamento delle sue acque, che altrimenti andrebbero completamente a finire nel sottostante Lago. Il rio è particolare tanto quanto la sua acqua, in quanto prima nasce da una sorgente in località Ruvîs per poi perdersi poco dopo nella medesima località, quindi riemerge in Selve attraverso una piccola fessura orizzontale, ove troviamo la presa e la vasca dell’acquedotto. Ma le peculiarità dei protagonisti in gioco si susseguono se aggiungiamo anche che la stessa località di Selve in realtà, ai tempi della sua regolare frequentazione, non era affatto una selva, a differenza di oggi con l’avanzamento quasi incontrollato del nuovo bosco. Già il Catasto Napoleonico non parla affatto di boschi bensì di prati, pascoli, viti, alberi da frutto e persino di una casa con annesso mulino ad uso privato, quasi certamente alimentato dal Riu di Selve. Il Leskovic rincara dicendo che ben una volta doveva estendersi un bosco (d’altra parte il nome se no non avrebbe senso) ma che all’epoca sua, nel 1949 in questo caso, dunque prima dell’avvio dello spopolamento della montagna e dell’abbandono delle tradizionali attività connesse, era “ridotto a radi arbusti ed alberelli” e che del mulino esistevano ancora delle fondamenta e i resti della vasca di raccolta. Ugo Rossi, oltre a confermare la presenza dei resti di queste strutture, aggiunge dettagli dicendo che c’era a valle della sorgente una vasca di pietre e zolle di terra per l’abbeveraggio degli animali domestici e che il mulino deve essere rimasto operativo per un cinquantennio dopo che attorno all’anno 1800 ne fu avviata l’attività, che comunque era soggetta all'incostanza della sorgente, dalla storica famiglia locale dei Candolini. Una cisterna serviva invece a raccogliere man mano l’acqua che fuoriusciva dal terreno. C’è anche da sapere che ci troviamo comunque a ridosso dell’abitato e a quote molto basse, assolutamente non in zone interne o impervie del San Simeone; le Ruvîs (che già ospitano il letto di un altro torrentello, il Riu da Ruvîs, e che sono caratterizzate da una zona di pietraie) infatti si incontrano appena 130 metri dopo che il sentiero per il Monte Festa ha abbandonato Borc di Rive. Selve è subito sotto, tra le Ruvîs e l’imbocco della galleria, a 250 m slm. Il Leskovic ci conferma anche che prima della nascita dell’acquedotto, e quindi della fontana, il Riu di Selve era fonte di acqua potabile per gli abitanti e il bestiame, nonostante nella stagione secca risultasse asciutto. Inoltre ci spiega come, oltre al flusso indirizzato in paese, si venissero a creare anche due mini-sorgenti presso Selve: l’una lì della curva della stradina/sentiero (Via Monte Festa) e l’altra in località Perarie, sempre nelle immediate vicinanze, causata questa dallo spandimento dalla vasca dell’acquedotto. Insomma già il flusso non era di rilevante entità, e tra l’altro presente non per tutto l’anno, e poi almeno in parte andava così perso in altri rigagnoli. Ma l’acqua che finalmente arrivava di lì a poco in Place doveva ben valere i lavori e gli sforzi fatti per convogliarla e portarla a disposizione di tutti nel cuore del paese. 

Antico e raro scatto che mostra la vecchia Place di Interneppo nell'anno 1900 con la fontana sulla destra e un gruppo di persone appresso. Il manufatto in foto è quello del 1843, pur dopo l’ammodernamento del 1890, assai diverso da quello di oggi. Lo scenario poi è d’altri tempi, soprattutto se si ricorda che Ugo Rossi aveva scritto che la fontana si trovava a fianco di un “vecchio gelso” e all'ombra di un “antico tiglio”. Lo stesso Ugo riprodurrà il medesimo scorcio in un suo disegno del 1949. (foto ricavata dal libro “Bordan e Tarnep: doi nîs di cjases sot dal San Simeon”, a cura di Pro Loco Bordano, 1981)

Mio padre Oscar infatti riferisce che l’acqua di Selve, fin da quando frequenta Interneppo, quindi dai primi anni ’50, è estremamente fresca e sicuramente molto ossigenata se si ricorda che negli stessi anni la magnesia che versava in quest’acqua faceva subito reazione, mentre in quella di Bordano tutt’altro o comunque stentava parecchio. Con “acqua di Bordano” in questo caso ci si riferisce a quella del Rio Cartine, che lambisce o attraversa i borghi a sud della Provinciale e che riceve l’acqua di diversi affluenti provenienti da varie cime e pendici del Naruvint. E la qualità delle altre sorgenti nei pressi di Interneppo? Meno nota oggi ma ugualmente apprezzata pare sia stata anche l’acqua della sorgente di Fous, località sita alle pendici del Naruvint 200 metri a ovest di quella di Nonins, in quanto mio nonno Ugo nel suo articolo sugli acquedotti di Interneppo descrive l’acqua di quest’altra sorgente come prodigiosa, tanto da venir un tempo somministrata agli ammalati e ai convalescenti. Quella di Nonins invece, l’altra fonte perenne, è descritta da Ugo come “freschissima, ma meno gradevole di quella di Selve”. La variabilità del regime della sorgente di Selve portò nel 1913 all’idea di erigere una seconda fontana, presto realizzata: era quella già citata del Borc da Freide, andata in disuso nel giro di un trentennio per problemi tecnici e nei materiali usati. In quell'occasione furono favorite proprio queste altre due sorgenti e servita la parte sud del paese, che si stava ingrandendo proprio da quella parte. Ma la storia della sorgente di Selve si interseca anche con quella della Pile, la più costante e unica vera garanzia di rifornimento d’acqua per Interneppo, ampiamente utilizzata nel ’21 e resa più copiosa proprio in quell’estate grazie allo scalpellino Pietro Rossi fu Pietro Tonie (mio bisnonno e padre di Ugo Rossi), che coi suoi strumenti casualmente fece nascere un nuovo e più potente zampillo. Grazie all’intuizione di Toni di Pontêli circa la costruzione di una pompa elettrica che potesse portare fino al centro del paese l’acqua di Pile (la cui sorgente è da sempre situata in un punto molto scomodo, ossia ai piedi del costone a strapiombo sul conoide detto Plaçote, esattamente tra il paese e il Lago), si sarebbe potuto assistere a una svolta epocale, che avrebbe traslato improvvisamente il nostro piccolo villaggio in una condizione di progresso. Il progetto era già pronto e si prevedeva di far funzionare il nuovo acquedotto solo nei periodi in cui non fosse stata sufficiente l’acqua di Selve, conducendo l’acqua di Pile nel primo acquedotto dopo averla raccolta in una cisterna in località Pontêli, infondo al paese, grazie appunto alle pompe. Era il 1930 quando il podestà Antonio Piazza fu Giobatta decise di caldeggiare la proposta e di mettere letteralmente i ferri in acqua. L’ingegner gemonese Renato Raffaelli avrebbe redatto il progetto. La trafila burocratica stava procedendo bene quando le dimissioni del podestà , provocate da un’accesissima protesta da parte di una minoranza rumorosa che osteggiava i lavori, sostenendo tra le altre cose l’assurda affermazione che l’acqua di Pile fosse infetta, fecero precipitare tutto quanto. Il commissario prefettizio Antonio Picco fu Valentino Tinon, bordanese, chiamato a sostituire il podestà, diede retta ai disfattisti rinunciando al finanziamento nel 1932, e a nulla valse il tentativo da parte del successivo commissario prefettizio Luigi Orsi, di Venzone, di rimettere in marcia la faccenda. Ormai era tardi e il finanziamento destinato all’acquedotto era già stato assegnato a un altro Comune; era il 1933. Fu così che l’acqua di Pile non fu mai condotta in paese e quella di Selve continuò a sopravvivere con lo status di acqua più apprezzata e più alla mano per la comunità, pur tra un periodo di secca e l’altro in cui gli interneppani era costretti ad attingere soprattutto alla sorgente di Pile. Prova di tale incostanza della sorgente di Selve è una poesiola proprio degli anni ’30, di tale Pieri da Cjargnele, dal titolo “Dopo il sec a è tornade l’aghe di Selve”:

Simpri desiderade
Dal intir paîs,
finalmenti tornade
dai tiei amîs,
prime che il riul al còri
tu ti seis fate viòdi.
Un pouc pultrone tal passât
prime il riùl e tu seconde,
il to percors èriel cambiât?
Neste cjare Ave monde.
Cemût, dimi cjare nône nine,
àstu fat a rivâ prime?
 A dis jèi: “Cjars Tarnebàns,
j seis simpri chei di un timp,
zòvins e vecjos paisàns
un pouc curiòus ma buine int.
 Bevèimi cuant ch’j sei, ancje tal prât,
e no sarèis mai nissun malât”



Soltanto nel Secondo Dopoguerra, tra il ’47 e il ’49, col sindaco Floreano Picco fu Giovanni, di Bordano, gli interneppani poterono assistere alla comparsa dell’acquedotto moderno, con acqua corrente nelle case. La presa però era ben lontana da quelle tradizionali di Selve, di Fous, di Nonins o di Pile, in quanto era alla sorgente del Rio Vât, presso Cesclans, dall’altra parte del Lago e in Comune di Cavazzo. L’installazione di tale nuovo sistema, impensabile prima della guerra, fu possibile grazie ai finanziamenti interamente statali. La Fontane di Selve da quel momento divenne quindi improvvisamente poco più di un accessorio, e fu così che scene che si ripetevano da oltre un secolo, come quelle dell’andirivieni di persone da e per la fontana per caricare e portare indietro i secchi, cominciarono sempre meno a vedersi e sempre più a rimanere impresse nella memoria, come dei flash di un mondo arcaico che ormai aveva fatto il suo tempo e che doveva necessariamente lasciare il passo. La Fontane di Selve oggi al massimo può sentirsi avvicinata da qualche turista di passaggio per qualche sorso, come me e un paio di miei amici la passata estate, o per essere osservata nei dettagli semplici e nelle scritte, ma infondo è anche giusto così, che rimanga come un piccolo monumento in memoria di tempi storici in cui bere quando si voleva e quanto si voleva non era affatto scontato. Basta ricordare l’articolo di inizio giugno 1947, uscito sul Messaggero Veneto e firmato Anselmo Rossi, assessore a Bordano, che aveva come titolo “Acquedotto per la frazione di Interneppo – è preferibile soffrire la fame ma non la sete”.


Fonti:



                                                                                          Enrico Rossi

1 commento:

  1. Aggiungo solo una cosa all'interessante articolo. Credo che l'acquedotto con la presa nel rio Vaat sia stato preceduto dall'acquedotto con le prese sotto la rupe di Cesclans, ancora presenti nei pressi della chiesa di S. Candido. Anche le carte IGM, infatti, lo riportano. Immagino che per questioni legate al fatto che proprio sopra le suddette prese ci sia il cimitero si sia optato di spostare le prese sul rio Vaat. Probabilmente a causa della quota altimetrica troppo bassa della presa, essa non permetteva di portare l'acqua nella parte alta del paese. Sarebbe interessante sapere se l'ipotesi trova riscontro nei fatti. Mandi

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