Messa per i 40 anni del terremoto con l’arcivescovo di Perugia
Messaggero Veneto, 26 aprile 2016
TRASAGHIS. Dopo la recente presentazione del libro “La memoria di un evento” in collaborazione con l’associazione Comuni terremotati e sindaci della ricostruzione del Friuli proseguono le iniziative promosse dall’amministrazione comunale di Trasaghis in occasione del 40º anniversario del terremoto. Venerdì 6 maggio, alle 10.30 nel cimitero di Trasaghis davanti al cippo che ricorda le vittime del terremoto, verrà celebrata la messa concelebrata dal cardinale Gualtiero Bassetti, arcivescovo di Perugia e Città della Pieve, dal monsignor Antonio Lecce, vicario generale della Diocesi di Sora (Frosinone), dai parroci del terremoto don Elio Nicli e don Giulio Ziraldo, e dall’attuale parroco don Fausto Quai.
Saranno anche presenti numerosi sacerdoti di varie parti d’Italia che durante l’emergenza erano intervenuti aiutando la popolazione dei paesi del Comune di Trasaghis. Alle 17 nella chiesa parrocchiale di Peonis il cardinale Bassetti incontrerà la popolazione; questo rapporto tra Peonis e Perugia è un legame che si protrae da ormai quarant’anni. Sabato 7 maggio alle 15.30 è previsto l’omaggio al capitano dell’aeronautica canadese Ronald George McBride davanti al cippo sulla riva del torrente Leale nel luogo dove è caduto il suo elicottero nel ’76. Oltre a una rappresentanza della Brigata Alpina Julia e degli alpini in congedo dei Gruppi Ana delle Sezione di Gemona, sarà presente Gioachino Giomi, Capo del Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco, figlio dell’ingegner Alessandro Giomi che nel 1976 ha diretto i lavori di costruzione dei prefabbricati norvegesi e che è cittadino onorario a Trasaghis. Alle 20.30, nella sala consiliare, serata corale con la partecipazione del Gruppo corale di Alesso e del Coro misto di Griffen (Austria).
Un blog per informare, per ragionare, per confrontarsi su quel che capita ad Alesso e nei dintorni. Ce sucedial, ce si fàsie, ce si podarèssie fâ a Dalés e intal dulintôr? Scuvierzìnlu su chest Blog.
"Alesso e dintorni", dal puint di Braulins al puint di Avons
venerdì 29 aprile 2016
giovedì 28 aprile 2016
Lunedì prossimo ad Avasinis la commemorazione del 2 maggio
Lunedì prossimo si rinnoverà il ricordo delle vittime della strage di Avasinis. Il Comune di Trasaghis ha diffuso il programma della commemorazione del 71° anniversario dell’eccidio perpetrato nella Frazione di Avasinis il 2 Maggio 1945 da truppe nazifasciste in ritirata che, quest'anno, sarà sottolineato dalla presenza del Prefetto di Udine e del Presidente della Regione.
Il programma prevede per Lunedì 2 Maggio 2016
ore 10.15 Centro Sociale: Raduno
ore 10.30, Chiesa Parrocchiale: Celebrazione Santa Messa
Seguirà, alle 11.30, presso il Cimitero Monumentale “Martiri 2 Maggio 1945” la Cerimonia Ufficiale con l’intervento di:
Augusto Picco, Sindaco di Trasaghis.
Adriana Geretto, Presidente Provinciale Associazione Nazionale Vittime Civili di Guerra.
Vittorio Zappalorto, Prefetto della Provincia di Udine.
L'Orazione ufficiale sarà tenuta da:
Debora Serracchiani, Presidente della Regione Friuli Venezia Giulia
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Il programma prevede per Lunedì 2 Maggio 2016
ore 10.15 Centro Sociale: Raduno
ore 10.30, Chiesa Parrocchiale: Celebrazione Santa Messa
Seguirà, alle 11.30, presso il Cimitero Monumentale “Martiri 2 Maggio 1945” la Cerimonia Ufficiale con l’intervento di:
Augusto Picco, Sindaco di Trasaghis.
Adriana Geretto, Presidente Provinciale Associazione Nazionale Vittime Civili di Guerra.
Vittorio Zappalorto, Prefetto della Provincia di Udine.
L'Orazione ufficiale sarà tenuta da:
Debora Serracchiani, Presidente della Regione Friuli Venezia Giulia
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martedì 26 aprile 2016
Domenica ad Avasinis il giallo ispirato dall'eccidio
Qualcuno lo ha definito "il commissario Montalbano del Friuli": è l’ispettore Drago Furlan, il protagonista di "La primavera tarda ad arrivare" di Flavio Santi, un giallo così avvincente e intenso da aver convinto Mondadori a sceglierlo come una delle uscite di punta della collana “Strade Blu”.
Nelle pieghe del mistero di un’indagine cupa sin dal nome del luogo del delitto (Montefosca, sopra le Valli del Natisone), l’investigatore si avventura in un viaggio tra i luoghi fisici ed i luoghi comuni di un Friuli nascosto che viene a dipanarsi pagina dopo pagina.
Il racconto è avvincente, con vari piani di lettura: l'osteria come luogo "mitico" ma vivo al tempo stesso, in cui il tempo non si conta a ore ma a bicchieri; la squadra dell'Udinese come linfa vitale di un'identità smarrita, la Storia di un confine difficile che riemerge prepotente con le memorie della Seconda guerra mondiale e le conseguenze dell'eccidio di Avasinis.
E proprio ad Avasinis il libro sarà presentato domenica primo maggio, alle 20.30, nel Centro servizi.
Dopo il saluto del sindaco di Trasaghis Augusto Picco, interverrà il segretario della sezione Anpi Val del Lago Ivo Del Negro e quindi lo studioso di storia locale Pieri Stefanutti che si soffermerà su quali siano stati sinora i tentativi di raccontare le vicende dell'eccidio in chiave non strettamente storica ma attraverso le licenze concesse dalla finzione narrativa.
Poi sarà proprio Flavio Santi a raccontare come mai la storia di Avasinis lo abbia così tanto ispirato tanto da farne il filo conduttore della prima indagine dell'ispettore Furlan. E a chiudere il libro con una accorata esortazione: "Se vi capita, andate ad Avasinis (uno splendido paesino incastonato nelle montagne friulane) e in piazza fermatevi qualche minuto a leggere i nomi delle cinquantuno vittime: ve ne saranno grate".
Nelle pieghe del mistero di un’indagine cupa sin dal nome del luogo del delitto (Montefosca, sopra le Valli del Natisone), l’investigatore si avventura in un viaggio tra i luoghi fisici ed i luoghi comuni di un Friuli nascosto che viene a dipanarsi pagina dopo pagina.
Il racconto è avvincente, con vari piani di lettura: l'osteria come luogo "mitico" ma vivo al tempo stesso, in cui il tempo non si conta a ore ma a bicchieri; la squadra dell'Udinese come linfa vitale di un'identità smarrita, la Storia di un confine difficile che riemerge prepotente con le memorie della Seconda guerra mondiale e le conseguenze dell'eccidio di Avasinis.
E proprio ad Avasinis il libro sarà presentato domenica primo maggio, alle 20.30, nel Centro servizi.
Dopo il saluto del sindaco di Trasaghis Augusto Picco, interverrà il segretario della sezione Anpi Val del Lago Ivo Del Negro e quindi lo studioso di storia locale Pieri Stefanutti che si soffermerà su quali siano stati sinora i tentativi di raccontare le vicende dell'eccidio in chiave non strettamente storica ma attraverso le licenze concesse dalla finzione narrativa.
Poi sarà proprio Flavio Santi a raccontare come mai la storia di Avasinis lo abbia così tanto ispirato tanto da farne il filo conduttore della prima indagine dell'ispettore Furlan. E a chiudere il libro con una accorata esortazione: "Se vi capita, andate ad Avasinis (uno splendido paesino incastonato nelle montagne friulane) e in piazza fermatevi qualche minuto a leggere i nomi delle cinquantuno vittime: ve ne saranno grate".
lunedì 25 aprile 2016
Braulins, il 1976 nella mostra "Terra trema"
59 SECONDI TERRA TREMA
E' il titolo della Mostra Fotografica e Video che sarà aperta a BRAULINS nei giorni del 6-7-8-MAGGIO 2016. E' una proposta dell'Associazione "Noi di Braulins" con il patrocinio del Comune di Trasaghis e la collaborazione del Centro di Documentazione sul Territorio.
Nel quarantennale del terremoto vengono proposti materiali fotografici a documentare i danni del terremoto nella frazione "di là dal puint".
L'INAUGURAZIONE, con apertura straordinaria, è prevista per DOMENICA 1 MAGGIO 2016 alle ORE 11:30 presso la canonica di Braulins (SEGUIRA’ RINFRESCO).
domenica 24 aprile 2016
Memorie dal 6 maggio - 10 - Quella notte, da Cividale ad Alesso (e il senso, poi, della ricostruzione)
Revisionisti - e non - sul terremoto
Avevo compiuti 22 anni da poco nell’ormai lontana sera del 6 maggio 1976.
Da sei anni avevo perso mio padre e quel giorno persi pure la casa, costruita con sudore e sacrifici dai miei genitori che allevarono anche 6 figli a cavallo della 2^ Guerra Mondiale.
Mai potrò dimenticare le 21 di quell’afosa serata in cui la mia vita, e quella di tutti noi allora giovani, in un minuto cambiò per sempre trasformandoci in 60 secondi in uomini!
Lavoravo come istitutore all’IFO/Cap di Cividale per mantenermi all’università e quella sera, trovandomi nelle camerate del terzo piano dovetti, tra vetrate cadenti, nel buio completo e gridando nel boato assordante del terremoto, coordinare la fuga di decine e decine di studenti lungo le scale che ci portavano al piano terra e poi, verso la sicurezza del campo sportivo.
Dopo circa mezz’ora, una pattuglia della polizia si fermò per accertare le nostre condizioni e, memore dei racconti di mia madre sul sisma del 1928 che colpì Verzegnis, (da cui derivò l’attuazione delle leggi antisimiche della piana di Alesso fino al Mulin di Tela), approfittai per chiedere dove il terremoto avesse colpito dato che, con il ritorno della luce, avevo inutilmente cercato di contattare telefonicamente diversi posti pubblici di Alesso.
Come temevo gli agenti, in contatto via autoradio con dei colleghi del gemonese, dissero di aver ricevuto richieste di urgente aiuto proprio da questa zona duramente colpita.
Il Direttore, vicino a me, considerato che i ragazzi erano ormai al sicuro, mi consigliò di rientrare subito ad Alesso.
Evitando la pedemontana Tarcentina, passai quindi per Udine e, percorrendo con la mia Simca la Pontebbana, l’angoscia sulla sorte dei miei familiari cresceva parimente all’impegno che dovevo prestare alla guida sia per evitare ambulanze o auto private che portavano i feriti all’ospedale di Udine, che nel comporre a mente un piano di percorso alternativo per evitare strade rese impraticabili dal sisma.
Le scene di rovina che da Reana: (primo paese al buio), in poi incontravo alla luce fioca dei fari dell’auto ricoperti di polvere, non faceva che aumentare la mia ansia: prima nel vedere il Ristorante Morena di Magnano raso al suolo, poi ad Osoppo con feriti distesi in strada e, quindi, all’ingresso di Trasaghis dove Arturo, (il Collocatore) con accanto una donna ferita adagiata vicino ad un fuoco mi fermò, dicendomi di non andare oltre perché il bar di Tarcisio era crollato in strada, di non avere notizie di Alesso e consigliandomi di deviare verso l’attuale zona artigianale.
Così feci e, verso mezzanotte, capii che la roulette della morte aveva risparmiato sia i miei cari che la quasi totalità degli Alessani: anche grazie agli interventi del terremoto del 1928.
Si trascorse la notte nei prati adiacenti e la mattina del 7 maggio, il sorgere del sole ci permise, soprattutto a mia madre, di vedere com’era ridotta la sua casa.
Dall’alto dei suoi 65 anni subito ci incoraggiò: “L’impuartant a l’è che i stin ben. Iò i ai provât la prima guera, il taramot dal 28, il sfolament da seconda cul bombardament da nesta cjasa e cumò ancja chesta. Las ciasas a si comedin o si rifasin como che i vin cognût fâ iò e vuesti pari. L’impuartant a è la salût, volêsi ben e tacâ a lavorâ”.
Poi girandosi e credendo di non essere udita sussurrò fra sè: “Ah Lino, vuei però i volares iesi cun tei!”
Povera mamma, come poveri furono tutti i suoi coetanei e coetanee in giro per il mondo o a casa: i primi costretti ad una vita spesa nel duro lavoro estero, le seconde a crescere nugoli di pargoli, badare ai vecchi, alla campagna e alla stalla, reggendo da sole i tre piedi di quel tavolo chiamato famiglia.
Volti di tanti che io e molti di noi ricordiamo con affetto, ammirazione, gratitudine e dove, tra le rughe dei loro volti, potevamo scorgere dignità, saggezza, onestà e voglia di ricominciare che trascinò anche noi, pur ancora ragazzi, alla ricostruzione del Friuli: l’unica ben riuscita e in pochi anni in Italia.
Ovviamente dovetti abbandonare la scuola ed il lavoro che contemporaneamente svolgevo fuori paese, per dedicarmi a rifare ciò che il sisma aveva portato via.
L’emergenza durò tutta l’estate ma, proprio quando si pensava che lo stillicidio delle scosse stesse per finire, settembre ci fece sobbalzare di nuovo portandoci tutti in riva al mare, da cui rientrammo in primavera per occupare i prefabbricati appena ultimati
Nella vita comunque, ogni negatività porta con se anche risvolti positivi e così, sia io che la stragrande maggioranza dei ragazzi della mia età, la tragedia del terremoto e la conseguente ricostruzione concesse anche dei vantaggi.
Ogni Comune, i cui uffici fino ad allora erano totalmente amministrativi, dovettero dotarsi di Uffici Tecnici, così come la Regione, Comunità Montana, Provincia ecc. di strutture atte ad affrontare l’emergenza, oltre alle numerose Ditte che confluirono in Friuli creando un indotto notevole in ogni settore economico.
Ai giovani, sia a chi aveva un diploma o a chi aveva scelto di lavorare fin da ragazzo, permise di trovare immediata occupazione e rimanere in zona consentendo di iniziare la ricostruzione.
In questo senso, lungimirante fu soprattutto la scelta della nostra Regione di porre in primo piano la necessità di riaprire le fabbriche, antidoto sia psicologico che economico necessario alla ricostruzione.
Certo anche la solidarietà ed i contributi arrivarono, ma i prezzi lievitati enormemente, soprattutto agli inizi, consentivano di coprire si e no il 45%50% del costo finale della casa: vale a dire, nel caso di ricostruzione privata bastava solo per il costo della struttura, per il rimanente ci si doveva arrangiare.
L’ intervento pubblico ovviamente richiedeva spese minori, ma comportava una ricostruzione economica pari a quella dell’allora edilizia popolare per cui, tanti, preferirono da buoni friulani il “fâ di bessoi”.
Tutto perciò fu riedificato e questo, in estrema sintesi, è il quadro della ricostruzione in Friuli.
Oggi ci si chiede come fu possibile allora ottenere il cosiddetto “miracolo friulano”? Come mai in passate e recenti calamità non si è riusciti a ricrearlo su scala nazionale? Eppure anche in questi e successivi contesti di disastri naturali il contributo dello Stato non fu minore, anzi, di molto superiore: (Vedi Belice ed Irpinia).
A queste domande e darmi una risposta, basta il ricordo di ormai antiche immagini televisive RAI in bianco e nero girate nella primavera del 1977: periodo in cui la popolazione era impegnata a rientrare da Lignano, Grado ed altre località ove era sfollata per l’inverno.
La scena e le parole pronunciate che tutt’ora mi fanno tenerezza ed inorgoglisce, è quella di un vecchietto, (di Gemona), che fiero e grato per il dono di un prefabbricato appena ricevuto, alla domanda di una giornalista su quando sperava di avere una nuova e definitiva casa rispose: ”Guardi che questa è terra di gente friulana, torni fra dieci anni e la risposta l’avrà allora!”.
La risposta ai giornalisti e a tutta Italia la ebbero proprio nel tempo da lui stimato e testimoniato da varie trasmissioni dedicate a commemorare il decennio del sisma e la ricostruzione ormai quasi ultimata.
Tornando indietro nel tempo, ad ormai 62 anni e ripensando alle scelte fatte, non vi è dubbio che alcune cose potevano essere realizzate meglio ma, parafrasando un antico detto che solo chi non fa niente non può sbagliare, ritengo la ricostruzione del Friuli terremotato una realtà di cui andar fieri.
Discutere quindi a chi vanno i maggiori meriti di questa ricostruzione non porterebbe a niente!
Io come cittadino, poi quale tecnico comunale in varie sedi, ma anche come Amministratore che ha attraversato tutta la ricostruzione vivendo e lavorando con orgoglio nel motore stesso di questa straordinaria macchina, posso solo riaffermare quanto detto nel 2013 ad Alesso a chiusura dei lavori sulla questione lago/Edipower ai candidati alla Presidenza della Giunta Regionale:
- “Signori candidati! Così come l’ho aperta, così tocca a me chiudere questa assemblea.
Vi ringraziamo quindi del dono della Vostra presenza ma, essendo l’aggettivo “ospite” un termine bivalente, tutti noi, a nostra volta, vorremmo farvi un dono sotto forma di augurio.
Osservate questa gente venuta qui per udirvi e per capire, forse li sentite distanti, ma non chiedetevi continuamente cosa dovrebbe fare un politico per riavvicinarli alla politica stessa.
Ai tempi del terremoto noi abbiamo avuto la fortuna di avere dei rappresentanti capaci di raccogliere le richieste che provenivano dal popolo, hanno saputo recepire il loro lamento, le loro difficoltà, scendendo tra loro e legiferando di conseguenza, al di la e al di sopra dei partiti, dei loro interessi politici e personali, con acume ed intelligenza i cui frutti sono tutt’ora evidenti.
Lo fecero unitariamente nel nome di quella stessa gente da cui anch’essi provenivano ed è per questo motivo, non per altro, che il Presidente della Repubblica, con altrettanto acume, decise di conferire la medaglia d’oro al merito civile non ai labari o ai notabili, bensì all’intero popolo friulano.
Fate quindi semplicemente questo: lavorate con abnegazione per loro, nel loro interesse e sappiate sentire e raccogliere il loro lamento!
Vedrete che la gente vi saprà capire, sorvolerà anche su qualche errore, se onorerete quell’arte nobile che un tempo era chiamata politica con la “P” maiuscola e che tale dovrà tornare”.
Tocca ora a noi, ora “giovani vecchietti”, riprendere i principi inculcati dai nostri genitori: un lascito che ci aiutò negli anni della ricostruzione e che oggi sembra smarrito, perso, come quello delle vecchie mura delle case di un tempo, che trasudavano sacrificio ed il cui silenzio e profumo di antico, già ci serviva da maestro.
Un’eredità fatta non solo di beni materiali che si possono ricostruire in 10 anni, ma anche e soprattutto di valori eterni tramandatici che ci permise tante, troppe volte nella storia di questa martoriata terra, di risorgere più forti di prima.
E’ questa, secondo me, l’altra ricostruzione ancora da completare, dimenticata forse nell’eccessiva priorità data alle cose materiali a discapito di quelle vere e profonde che è il motore del fare il proprio dovere e sentirsi poi non “diversi”, ma solo e semplicemente “Friulani”.
Come già detto, tutte le disgrazie portano anche qualcosa di positivo come lo fu per il terremoto.
Mi auguro quindi che la prova a cui vanno incontro i nostri figli a causa di questa tremenda crisi economica faccia riemergere in loro l’eredità dello spirito indomito e caparbio dei nostri padri, ed a noi solo il dono di saperli guidare e sorreggere, infondendo loro con l’esempio coraggio di lottare e speranza nel futuro: così come un tempo i “nestis vecjos” seppero fare con noi e forse, proprio questa, è l’eternità che tutti cerchiamo!.
Dino RABASSI
Avevo compiuti 22 anni da poco nell’ormai lontana sera del 6 maggio 1976.
Da sei anni avevo perso mio padre e quel giorno persi pure la casa, costruita con sudore e sacrifici dai miei genitori che allevarono anche 6 figli a cavallo della 2^ Guerra Mondiale.
Mai potrò dimenticare le 21 di quell’afosa serata in cui la mia vita, e quella di tutti noi allora giovani, in un minuto cambiò per sempre trasformandoci in 60 secondi in uomini!
Lavoravo come istitutore all’IFO/Cap di Cividale per mantenermi all’università e quella sera, trovandomi nelle camerate del terzo piano dovetti, tra vetrate cadenti, nel buio completo e gridando nel boato assordante del terremoto, coordinare la fuga di decine e decine di studenti lungo le scale che ci portavano al piano terra e poi, verso la sicurezza del campo sportivo.
Dopo circa mezz’ora, una pattuglia della polizia si fermò per accertare le nostre condizioni e, memore dei racconti di mia madre sul sisma del 1928 che colpì Verzegnis, (da cui derivò l’attuazione delle leggi antisimiche della piana di Alesso fino al Mulin di Tela), approfittai per chiedere dove il terremoto avesse colpito dato che, con il ritorno della luce, avevo inutilmente cercato di contattare telefonicamente diversi posti pubblici di Alesso.
Come temevo gli agenti, in contatto via autoradio con dei colleghi del gemonese, dissero di aver ricevuto richieste di urgente aiuto proprio da questa zona duramente colpita.
Il Direttore, vicino a me, considerato che i ragazzi erano ormai al sicuro, mi consigliò di rientrare subito ad Alesso.
Evitando la pedemontana Tarcentina, passai quindi per Udine e, percorrendo con la mia Simca la Pontebbana, l’angoscia sulla sorte dei miei familiari cresceva parimente all’impegno che dovevo prestare alla guida sia per evitare ambulanze o auto private che portavano i feriti all’ospedale di Udine, che nel comporre a mente un piano di percorso alternativo per evitare strade rese impraticabili dal sisma.
Così feci e, verso mezzanotte, capii che la roulette della morte aveva risparmiato sia i miei cari che la quasi totalità degli Alessani: anche grazie agli interventi del terremoto del 1928.
Si trascorse la notte nei prati adiacenti e la mattina del 7 maggio, il sorgere del sole ci permise, soprattutto a mia madre, di vedere com’era ridotta la sua casa.
Dall’alto dei suoi 65 anni subito ci incoraggiò: “L’impuartant a l’è che i stin ben. Iò i ai provât la prima guera, il taramot dal 28, il sfolament da seconda cul bombardament da nesta cjasa e cumò ancja chesta. Las ciasas a si comedin o si rifasin como che i vin cognût fâ iò e vuesti pari. L’impuartant a è la salût, volêsi ben e tacâ a lavorâ”.
Poi girandosi e credendo di non essere udita sussurrò fra sè: “Ah Lino, vuei però i volares iesi cun tei!”
Povera mamma, come poveri furono tutti i suoi coetanei e coetanee in giro per il mondo o a casa: i primi costretti ad una vita spesa nel duro lavoro estero, le seconde a crescere nugoli di pargoli, badare ai vecchi, alla campagna e alla stalla, reggendo da sole i tre piedi di quel tavolo chiamato famiglia.
Volti di tanti che io e molti di noi ricordiamo con affetto, ammirazione, gratitudine e dove, tra le rughe dei loro volti, potevamo scorgere dignità, saggezza, onestà e voglia di ricominciare che trascinò anche noi, pur ancora ragazzi, alla ricostruzione del Friuli: l’unica ben riuscita e in pochi anni in Italia.
Ovviamente dovetti abbandonare la scuola ed il lavoro che contemporaneamente svolgevo fuori paese, per dedicarmi a rifare ciò che il sisma aveva portato via.
L’emergenza durò tutta l’estate ma, proprio quando si pensava che lo stillicidio delle scosse stesse per finire, settembre ci fece sobbalzare di nuovo portandoci tutti in riva al mare, da cui rientrammo in primavera per occupare i prefabbricati appena ultimati
Nella vita comunque, ogni negatività porta con se anche risvolti positivi e così, sia io che la stragrande maggioranza dei ragazzi della mia età, la tragedia del terremoto e la conseguente ricostruzione concesse anche dei vantaggi.
Ogni Comune, i cui uffici fino ad allora erano totalmente amministrativi, dovettero dotarsi di Uffici Tecnici, così come la Regione, Comunità Montana, Provincia ecc. di strutture atte ad affrontare l’emergenza, oltre alle numerose Ditte che confluirono in Friuli creando un indotto notevole in ogni settore economico.
Ai giovani, sia a chi aveva un diploma o a chi aveva scelto di lavorare fin da ragazzo, permise di trovare immediata occupazione e rimanere in zona consentendo di iniziare la ricostruzione.
In questo senso, lungimirante fu soprattutto la scelta della nostra Regione di porre in primo piano la necessità di riaprire le fabbriche, antidoto sia psicologico che economico necessario alla ricostruzione.
Certo anche la solidarietà ed i contributi arrivarono, ma i prezzi lievitati enormemente, soprattutto agli inizi, consentivano di coprire si e no il 45%50% del costo finale della casa: vale a dire, nel caso di ricostruzione privata bastava solo per il costo della struttura, per il rimanente ci si doveva arrangiare.
L’ intervento pubblico ovviamente richiedeva spese minori, ma comportava una ricostruzione economica pari a quella dell’allora edilizia popolare per cui, tanti, preferirono da buoni friulani il “fâ di bessoi”.
Tutto perciò fu riedificato e questo, in estrema sintesi, è il quadro della ricostruzione in Friuli.
Oggi ci si chiede come fu possibile allora ottenere il cosiddetto “miracolo friulano”? Come mai in passate e recenti calamità non si è riusciti a ricrearlo su scala nazionale? Eppure anche in questi e successivi contesti di disastri naturali il contributo dello Stato non fu minore, anzi, di molto superiore: (Vedi Belice ed Irpinia).
A queste domande e darmi una risposta, basta il ricordo di ormai antiche immagini televisive RAI in bianco e nero girate nella primavera del 1977: periodo in cui la popolazione era impegnata a rientrare da Lignano, Grado ed altre località ove era sfollata per l’inverno.
La scena e le parole pronunciate che tutt’ora mi fanno tenerezza ed inorgoglisce, è quella di un vecchietto, (di Gemona), che fiero e grato per il dono di un prefabbricato appena ricevuto, alla domanda di una giornalista su quando sperava di avere una nuova e definitiva casa rispose: ”Guardi che questa è terra di gente friulana, torni fra dieci anni e la risposta l’avrà allora!”.
La risposta ai giornalisti e a tutta Italia la ebbero proprio nel tempo da lui stimato e testimoniato da varie trasmissioni dedicate a commemorare il decennio del sisma e la ricostruzione ormai quasi ultimata.
Tornando indietro nel tempo, ad ormai 62 anni e ripensando alle scelte fatte, non vi è dubbio che alcune cose potevano essere realizzate meglio ma, parafrasando un antico detto che solo chi non fa niente non può sbagliare, ritengo la ricostruzione del Friuli terremotato una realtà di cui andar fieri.
Discutere quindi a chi vanno i maggiori meriti di questa ricostruzione non porterebbe a niente!
Io come cittadino, poi quale tecnico comunale in varie sedi, ma anche come Amministratore che ha attraversato tutta la ricostruzione vivendo e lavorando con orgoglio nel motore stesso di questa straordinaria macchina, posso solo riaffermare quanto detto nel 2013 ad Alesso a chiusura dei lavori sulla questione lago/Edipower ai candidati alla Presidenza della Giunta Regionale:
- “Signori candidati! Così come l’ho aperta, così tocca a me chiudere questa assemblea.
Vi ringraziamo quindi del dono della Vostra presenza ma, essendo l’aggettivo “ospite” un termine bivalente, tutti noi, a nostra volta, vorremmo farvi un dono sotto forma di augurio.
Osservate questa gente venuta qui per udirvi e per capire, forse li sentite distanti, ma non chiedetevi continuamente cosa dovrebbe fare un politico per riavvicinarli alla politica stessa.
Ai tempi del terremoto noi abbiamo avuto la fortuna di avere dei rappresentanti capaci di raccogliere le richieste che provenivano dal popolo, hanno saputo recepire il loro lamento, le loro difficoltà, scendendo tra loro e legiferando di conseguenza, al di la e al di sopra dei partiti, dei loro interessi politici e personali, con acume ed intelligenza i cui frutti sono tutt’ora evidenti.
Lo fecero unitariamente nel nome di quella stessa gente da cui anch’essi provenivano ed è per questo motivo, non per altro, che il Presidente della Repubblica, con altrettanto acume, decise di conferire la medaglia d’oro al merito civile non ai labari o ai notabili, bensì all’intero popolo friulano.
Fate quindi semplicemente questo: lavorate con abnegazione per loro, nel loro interesse e sappiate sentire e raccogliere il loro lamento!
Vedrete che la gente vi saprà capire, sorvolerà anche su qualche errore, se onorerete quell’arte nobile che un tempo era chiamata politica con la “P” maiuscola e che tale dovrà tornare”.
Tocca ora a noi, ora “giovani vecchietti”, riprendere i principi inculcati dai nostri genitori: un lascito che ci aiutò negli anni della ricostruzione e che oggi sembra smarrito, perso, come quello delle vecchie mura delle case di un tempo, che trasudavano sacrificio ed il cui silenzio e profumo di antico, già ci serviva da maestro.
Un’eredità fatta non solo di beni materiali che si possono ricostruire in 10 anni, ma anche e soprattutto di valori eterni tramandatici che ci permise tante, troppe volte nella storia di questa martoriata terra, di risorgere più forti di prima.
E’ questa, secondo me, l’altra ricostruzione ancora da completare, dimenticata forse nell’eccessiva priorità data alle cose materiali a discapito di quelle vere e profonde che è il motore del fare il proprio dovere e sentirsi poi non “diversi”, ma solo e semplicemente “Friulani”.
Come già detto, tutte le disgrazie portano anche qualcosa di positivo come lo fu per il terremoto.
Mi auguro quindi che la prova a cui vanno incontro i nostri figli a causa di questa tremenda crisi economica faccia riemergere in loro l’eredità dello spirito indomito e caparbio dei nostri padri, ed a noi solo il dono di saperli guidare e sorreggere, infondendo loro con l’esempio coraggio di lottare e speranza nel futuro: così come un tempo i “nestis vecjos” seppero fare con noi e forse, proprio questa, è l’eternità che tutti cerchiamo!.
Dino RABASSI
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