Anche l'ultimo numero del settimanale "La vita cattolica" (il n. 4 del 24 gennaio) si è occupato della conferenza stampa organizzata dai Comitati il 19 gennaio con la proposta, indirizzata ai consiglieri regionali, di avviare le procedure per indire un concorso internazionale per definire le possibilità di realizzazione di un by-pass capace di evitare al lago lo scarico delle acque fredde e fangose della centrale di Somplago (proposta che poi si è concretizzata con l'approvazione bi-partisan di un ordine del giorno in tal senso).
Un blog per informare, per ragionare, per confrontarsi su quel che capita ad Alesso e nei dintorni. Ce sucedial, ce si fàsie, ce si podarèssie fâ a Dalés e intal dulintôr? Scuvierzìnlu su chest Blog.
"Alesso e dintorni", dal puint di Braulins al puint di Avons
mercoledì 31 gennaio 2018
martedì 30 gennaio 2018
Obiettivo su Bordano & Interneppo - 5 - Ciliegi bordanesi
Generalità, frammenti
e aneddoti sullo storico
albero da frutto di Bordano: il ciliegio
Dal frutto dolce e succoso, la sua fioritura è uno
spettacolo ad ogni primavera, se ne ricavano marmellate, liquori e persino
cioccolatini: sto parlando dell’albero del ciliegio e della sua drupa, uno dei
frutti nostrani più buoni. La sua presenza a Bordano non era affatto secondaria,
ed anzi ci sono diversi indizi che confermano che questa pianta è stata oggetto
in passato di molte attenzioni. In questo caso però non si è trattata di una
ricerca sovrabbondante di riferimenti e devo ammettere che un po’ ho arrancato
nel scovare qualcosa di specifico sulle ciliegie e l’albero di ciliegio in
territorio di Bordano. Ma giustamente, prima di addentrarsi in testimonianze e precisazioni,
bisogna almeno avere chiare le generalità di una pianta che, come tutte quelle
oggetto di coltivazione, non si presenta come unica e immutata ma soggetta alla
selezione e quindi alla coesistenza di diverse sue varietà agronomiche, ossia
cultivar. La specie è il Prunus Avium,
ossia il ciliegio selvatico, ceriesâr
o cjariesâr in friulano (più simile
all’inglese “cherry” che all’italiano
“ciliegia” se ci pensate), derivante direttamente dal latino cerasus. Pianta dalla notevole
adattabilità ecologica se pensiamo che sopravvive tranquillamente all’interno
di un largo range di temperature, precipitazioni e suoli, anche se predilige le
posizioni esposte, per via della sua termofilia ed eliofilia, e quelle in cui
il suolo risulta profondo e ben drenato. In ambito montano quindi lo si
incontra in particolare verso i fondovalle, anche se potrebbe passare
inosservato vista l’incapacità di formare consorzi di conspecifici. La sua
distribuzione quindi risulta frammentaria e incostante. La sua plasticità ecologica
è dovuta anche a secoli e millenni di influenza antropica, che ha persino fatto
perdere di vista la sua regione di origine, che si pensa possa essere il Ponto
(regione storica della penisola anatolica che dà sul Mar Nero), ma la sua
presenza certa già dopo le glaciazioni ne fa una specie assolutamente indigena.
Il suo legno inoltre è particolarmente apprezzato, ma non è nel legno che
bisogna cercare per capire il suo successo passato in Friuli e anche a Bordano.
Se non era il legno, cosa mai sarà stato? Beh, forse già il fatto che su oltre
500 toponimi friulani derivati da nomi di alberi da frutto ve ne siano una
cinquantina legati al ciliegio, e che sicuramente l’uomo si cibò di ciliegie
selvatiche fin da epoche preistoriche (come risulterebbe dal ritrovamento di
noccioli presso siti palafitticoli sulle sponde meridionali del Lago di Garda),
ci danno già un’idea poco soggetta a dubbi. Il caso toponomastico più famoso da
noi è forse quello di Ceresetto, borgo in Comune di Martignacco e alle porte di
Udine, ma probabilmente anche Ciseriis, paesino a nord di Tarcento lungo il
Torre (e per quest’ultimo capirete ben dopo come mai). Ma leggiamo un attimo
queste interessanti noticine di un articolo del 1942 dell’almanacco storico
friulano “Avanti cul brun!”, in cui sono presentati i principali e più
apprezzati prodotti enogastronomici del Friuli. L’autore non è certo ma
potrebbe essere stato lo scrittore tarcentino Chino Ermacora (1894 – 1957), che
ebbe il merito di diffondere la conoscenza sulla terra friulana anche grazie
alla rivista “La Panarie”, da lui fondata. All’epoca di questo articolo non
esisteva certo ancora la morbosa pubblicità dei prodotti alimentari né di una
concezione sofisticata di cucina, al contrario l’esigenza primaria era ancora
quella del poter disporre dei giusti alimenti per tirare a campare. La
descrizione dunque è priva di quella retorica manipolatrice del prodotto
tipico, che oggi invece dilaga. “Le
ciliegie e le susine del Collio hanno conquistato i mercati della media Europa”;
per Tarcento si dice invece: “Ciliegie
durissime rosso scure di larga esportazione, si conservano nello spirito e si
distillano, ritraendone un liquore squisito”. Dunque abbiamo due aree
principali in Friuli per il mercato “ceresario”, se così si può dire: il Collio
e il Tarcentino. Nel Goriziano la frutticoltura era praticata intensamente tra
le due guerre mondiali, quindi circa nel periodo di riferimento dell’articolo
del presunto Ermacora, e in particolare si citano il Collio e la Valle del
Vipacco come aree più vocate. In questa parte di Friuli Storico erano proprio
le ciliegie il principale prodotto della frutticoltura: importanti i cultivar
Primaticcia di Ranziano e Goriziana Precoce. Davvero notevole, ma non siamo
proprio vicino Bordano; spostiamoci dunque più verso le nostre parti e quindi
verso le nostre economie. Secondo De Polo, 1886, nelle colline attorno a
Tarcento ed Attimis si coltivava “con
molto profitto” il ciliegio del cultivar Duracina di Tarcento. Già in quei decenni non doveva essere un’attività di
interesse solo locale se pensiamo che all’epoca venivano esportate anche in
Austria, Baviera, Sassonia e persino Russia. Ci serviremo un attimo di questo
riferimento territoriale parallelo, Tarcento, o meglio, alcune borgate a nord
della cittadina, per gettare un ponte con la realtà delle ciliegie di Bordano.
Ma qui di noi spopolava la Duracina o c’era un’altra varietà? Ci corre in aiuto
la sapienza e la cultura di un anziano agricoltore di Sammardenchia (minuscolo
borgo delle colline a nord di Tarcento, da non confondere col paese vicino
Pozzuolo), Attilio Vidoni. Egli ci dice che oltre alla varietà primigenia,
quella selvatica, dalle piccolissime dimensioni e dal sapore amarognolo, vi
erano tre varietà: la Cassia, la Beliciza e la Duracina. Queste ultime erano le
più ricercate per il mercato in quanto, come dice il nome, duravano di più e
quindi erano anche più costose; la seconda era ad uso alimentare famigliare
perché marciva facilmente, e infine la prima era anch’essa di qualità ma
comunque sempre soggetta a marcescenza dopo le piogge. La Cassia inoltre aveva
la particolarità di maturare 10 giorni prima delle altre. Secondo mio padre
Oscar era proprio questa la varietà che era stata introdotta nella piana di
Bordano, e, forse proprio perché precoce nella maturazione, era meno soggetta
ad attacchi di insetti, visto che sempre mio padre riferisce che tendeva a non
avere il verme. La descrive come piccola, dolce, dal noccio a sua volta ridotto
e di un rosso molto scuro, quasi nero, sia nella buccia che nella polpa.
Personalmente rammenta che già quando era piccolo, quindi anni ’50-‘60, la
coltura stava andando in disuso, mentre dai racconti di famiglia ha potuto
dedurre che questo piccolo frutto rivestisse ruoli di economia famigliare non
secondari se sua nonna Maria Picco si recava casa per caso fino a Venzone e
Gemona per venderle e quindi ricavare un po’ denaro, che non era certo mai da
disdegnare nei periodi più o meno miseri della nostra storia neanche tanto
lontana. Questi aspetti sono confermati da Enos Costantini, che parla di una
secolare tradizione di coltivazione e di come la vendita delle ciliegie fosse
un tempo “una delle poche occasioni”
che si presentavano per arrotondare le magre finanze interne alla famiglia.
Circa l’abbandono della coltura, anche in questo caso le informazioni vanno
praticamente a coincidere, dato che Costantini parla, nel suo libro dell’87, di
un paio di decenni in cui il ciliegio non era più al centro di attività
agricole. Ma se la varietà pura, selvatica, già allora come oggi cresce
spontanea soprattutto nelle pendici esposte al sole, quindi nel nostro caso
quelle meridionali del San Simeone, la Cassia si coltivava in campagna e quindi
appena fuori il centro abitato, per esempio nei Plans, a sud del paese, e in Naréit,
a nord-est. Ricordiamo come il bosco a disposizione della popolazione un tempo
fosse costituito quasi essenzialmente da specie ceduate per il consumo
famigliare di legname, e che comunque non conveniva a nessuno andare a piantare
alberi da frutto sulle pendici quando vi era a disposizione tutta la piana di
Bordano. A livello di suolo inoltre non c’erano particolari criticità nella
piana, anzi per la natura ghiaiosa e quindi assai porosa del substrato il
drenaggio era assicurato e quindi anche una sufficiente crescita del ciliegio.
Prendendo ancora spunto dall’ambito famigliare, in un appezzamento dei Plans, precisamente in località Plan dai Cjasâi, dei ciliegi sono stati
piantati probabilmente da Giovanni Colomba, zio di mio padre, attorno agli anni
’40, dato che quest’ultimo da bambino se li ricorda ancora piccoli.
Un’operazione che sarebbe anche potuta avvenire a Interneppo, che però
ritrovava nel pero il suo principale albero da frutto. E qua ci allacciamo alla
toponomastica. Per quanto infatti possa sembrare strano, con un territorio
comunale che seppur ridotto ha nel suo patrimonio centinaia di toponimi,
soltanto due di questi si riferiscono a piante arboree di uso agrario: Lì da Piruçárie e Cereséit. Se la ciliegia era il frutto di Bordano, la pera lo era
per Interneppo. In questo caso Costantini si limita a dire che la località di Lì da Piruçárie fosse dietro la Chiesa
di Interneppo e che l’albero di pero fosse presente in loco per la tradizionale
coltivazione. La mela era evidentemente di scarsa importanza se non ha lasciato
riferimenti geografici, anche se, per esempio, compare come “2 melari” nell’elenco degli alberi da
frutto presenti in un prato in località Sore
il Clap, superiormente Naréit e
alle più basse pendici del San Simeone, elenco redatto il 28 febbraio 1766 dal
perito venzonese Carlo Massenio. Ironia della sorte, in quello stesso elenco
non figura neanche un solo albero di ciliegio. Per Cereséit invece la questione è più intrigante e stimola ipotesi
ragionevoli. Nel Nuovo Catasto è riportato come Crets Ceresêt ed è sopra il Prât
di Aroni, in una località abbastanza isolata del San Simeone e tra l’altro
non “ai piani bassi”, per così dire, del monte. Risalendo il Rio Costa si
incrocia a un certo punto la strada forestale che parte dalla ex Strada
Militare del San Simeone presso gli Stavoli Vieres e raggiunge, poco dopo il
rio, gli Stavoli Trions; ecco, nel quadrante nord-est dato dall’incontro rio-strada
c’è il Prât di Aroni, subito
sovrastato da un cret, quello del Cereséit. Siamo a quota circa 700 m slm.
Altitudinalmente siamo esattamente a metà strada tra la Sella di Interneppo e
la Val di Sot in San Simeone.
Come è
possibile che ci sia un riferimento in piena montagna di una pianta che, come
abbiamo detto, veniva coltivata giù in pianura o comunque alle pendici? In
realtà non c’è niente di astruso in quanto, come ci ricorda anche Costantini, i
toponimi hanno senso di esistere solo se connotanti un particolare aspetto che
è peculiare di quella zona, magari anche di altre ma non nelle immediate
vicinanze. Ecco perché scegliere di chiamare Cereséit una località nella piana di Bordano non avrebbe avuto
senso per via della presenza del ciliegio anche in molte altre località della
stessa piana. È dunque ragionevole pensare che i ciliegi di Cereséit fossero della forma selvatica e
che fossero in numero tale da indurre qualcuno secoli fa ad attribuire questo
nome a quella precisa località.
La caratteristica corteccia del Prunus avium (ciliegio); questa una delle piante censite in Fran di Cjavaç nell’aprile dello scorso anno. (foto di Enrico Rossi) |
Non mi dilungherò in considerazioni in
relazione ai progetti di recupero della coltivazione del ciliegio a Bordano,
auspicati tra l’altro da Costantini, perché preferisco concludere il disegno
storico di questo albero che più di tanto non ha lasciato indizi, ma proprio a
tal proposito mi sento di riportare un aggancio interessante col presente. Se
una sola località in tutto il Comune di Bordano è stata designata
tradizionalmente come territorio di ciliegi (selvatici), e se questa località
si colloca nell’ambito del bacino del Rio Costa (che, lo ricordiamo, poi scende
giù fino a Interneppo e dà origine alla sorgente di Pile, vedi articolo sulla Fontana di Selve), è possibile
scientificamente trovare conferma oggi della predisposizione di questa area del
San Simeone ad ospitare ciliegi, magari senza necessariamente andare a
rischiare in una zona così difficile come quella del cret? Beh, il 24 aprile 2017 il sottoscritto, mio padre Oscar ed
Ermanno Rossi abbiamo effettuato un’area di saggio di 600 m quadrati in
località Fran di Cjavaç, in realtà
non per studiare il ciliegio ma per altri scopi. Per chi non ha presente la posizione,
può andare a consultare o il libro di Costantini sulla toponomastica comunale o
il mio articolo sulla pecora a Bordano.
Fatto sta che siamo sempre nel bacino
del Rio Costa, a quote più basse (circa 400 m slm), ed è risultato che su 119
piante arboree censite 12 erano di ciliegio, quindi un buon 10%. Sicuramente ci
sono altri siti che lo ospitano ma i nostri antenati devono ancora una volta
aver visto giusto se generazioni di ciliegi si susseguono relativamente
numerose in questo minuscolo bacino del San Simeone. Questo, così come gli
altri alberi, da sostentatori dell’economia e in primis della sopravvivenza
locale possono anche essere protagonisti di gravi incidenti sul lavoro, anche
mortali. Una volta non erano rari i casi di infortuni in cui degli sfortunati
bordanesi e interneppani, spesso molto giovani, rimanevano feriti o anche
uccisi dalla caduta di tronchi e rami o per essere precipitati da un albero,
anche se avvenivano perlopiù nei boschi questi incidenti. Una di queste cadute
fatali coinvolse una mia trisnonna, la madre di Maria Picco (già citata sopra
nel testo), tale Elisabetta Colomba, che morì cadendo proprio da un ciliegio nel 1915,
quasi certamente all'interno di un qualche frutteto della piana di Bordano. Questa
pianta insomma, così come ogni elemento della vita quotidiana di Bordano, ha
accompagnato, nel bene e nel male, nelle colture di campagna e nei boschi più o
meno accessibili delle nostre montagne, lo scorrere dell’esistenza di questo
paesino che ha visto dire praticamente addio non solo al suo animale simbolo,
la pecora, ma anche al suo piccolo ma dolce frutto rosso.
Fonti principali:
Libro “Bordan e Tarnep: nons di
lûc”, Enos Costantini, 1987
Rivista “Sherwood”, maggio 2013: http://www.rivistasherwood.it/filevari/filenotizie/2015/ValorizzazioneRisorseGenetiche/4-Sherwood193-CiliegioSelvatico_Scheda.pdf
Rivista “Tiere furlane”, ottobre 2013: https://www.regione.fvg.it/rafvg/export/sites/default/RAFVG/economia-imprese/agricoltura-foreste/tiere-furlane/allegati/Tiere_18_2013.pdf
Rivista “Tiere furlane”, dicembre 2014: https://www.researchgate.net/publication/272150987_Pomis_Per_una_storia_della_frutticoltura_friulana
Sito dell’ERSA: http://www.ersa.fvg.it/divulgativa/prodotti-tradizionali/vegetali-naturali-o-trasformati/ciliegia-duracina-di-tarcento
Sito de “Il Friuli”: http://www.ilfriuli.it/articolo/Archivio/Il_ciliegio,_rifugio_delle_streghe/29/86029
Sito “Andamento Lento”: http://www.andamentolento.it/2017/02/28/le-ciliegie-duracine-di-tarcento/
Periodico “San Simeone”, dicembre 1989
Testimonianze orali di Oscar Rossi
lunedì 29 gennaio 2018
Nel ricordo di Matteo, un aiuto al C.S.R.E. di Campolessi (III)
Donata una cucina al Csre di Campolessi nel ricordo di Matteo
GEMONA. Il ricordo di Matteo vince ancora, e stavolta è un dono prezioso per gli utenti del centro Csre di Campolessi. L’associazione “Matteo chef giramondo” ha donato ieri ufficialmente una nuova...di Piero Cargnelutti
GEMONA. Il ricordo di Matteo vince ancora, e stavolta è un dono prezioso per gli utenti del centro Csre di Campolessi. L’associazione “Matteo chef giramondo” ha donato sabato ufficialmente una nuova cucina per il centro di riferimento per le persone svantaggiate, che ora potranno disporre del loro refettorio.
Quel dono è frutto dei proventi raccolti con la terza edizione del “Concerto per Matteo” che l’associazione di Avasinis di Trasaghis organizza da tre anni al parco del Rivellino di Osoppo, con l’obiettivo di raccogliere fondi a ricordo di Matteo Rodaro, chef mancato prematuramente negli ultimi anni, ma che il suo paese non ha dimenticato e lo onora dunque realizzando eventi musicali importanti e donando il ricavato in beneficenza. La cerimonia del taglio del nastro, alla presenza ieri dei consiglieri regionali Roberto Revelant, Alessandro Colautti e Paride Cargnelutti e di molti amministratori della zona, è stata anche l’occasione per dare un commiato a Ida Milanesi, medico mancato nel recente deragliamento ferroviario di Pioltello, che in passato aveva curato anche Matteo Rodaro: «Grazie alla collaborazione di oltre cento volontari – ha detto Daniele Martina, presidente di Matteo Chef Giramondo – è stato possibile realizzare già tre eventi: per questa occasione, con questa cucina, abbiamo pensato a Matteo e al suo essere sempre stato molto vicino agli altri».
Da diversi anni l’associazione Matteo Chef Giramondo è presente sul territorio con iniziative benefiche che negli ultimi periodi sono sempre più richieste: negli anni precedenti aveva già effettuato una donazione ai malati oncologici e donato una cucina per l’ospedale di Gemona. A Campolessi il Csre è frequentato da 27 persone portatrici di disabilità che, grazie al lavoro di operatori dei servizi sociali dell’Aas3 e della cooperativa Itaca, si impegnano ad affrontare percorsi che permettano loro di essere autonomi.
«Il vostro è senza dubbio un bel gesto – ha detto il vicesindaco Fabio Collini – a favore di un centro che sarà oggetto di interventi da parte dell’amministrazione comunale: entro l’anno contiamo di avviare i lavori per la sistemazione dei bagni insieme alla realizzazione del centro diurno per anziani che sorgerà in altri spazi di questo edificio. Inoltre, ci impregneremo anche a ricercare finanziamenti per rendere fruibili altri spazi di questa struttura, verso la quale l’amministrazione ha molta attenzione».
Testo: Messaggero Veneto 28-01-18Foto: Ass. "Matteo Chef giramondo"
domenica 28 gennaio 2018
Lago, la Regione dà l'OK a definire il progetto per il by-pass (IV)
Finanziato il concorso di idee per “salvare” il lago dei 3 comuni
TRASAGHIS. Un primo passo concreto per avviare un percorso di ri-naturalizzazione del lago dei Tre Comuni. Il Consiglio regionale ha approvato uno stanziamento di 50 mila euro che servirà per avviare un concorso di idee finalizzato a individuare la soluzione migliore per riportare il più grande bacino friulano a una condizione di naturalità. Il contributo regionale è frutto di un emendamento proposto dal consigliere Roberto Revelant e sottoscritto anche da Alessandro Colautti, Lauri, Vittorino Boem, Cristian Sergo, Elena Bianchi e l’assessore Sara Vito. «Si apre ora una nuova prospettiva per il lago – spiega Revelant – auspicando che ai 50 mila euro stanziati dalla Regione sia l’Uti che i Comuni rivieraschi compartecipino per rendere il concorso attrattivo verso quei professionisti di indiscussa capacità ed esperienza in grado di arricchire con proposte lungimiranti e anche innovative una progettualità di largo respiro».
Da parte sua il sindaco di Trasaghis, Augusto Picco, ha già espresso i suoi ringraziamenti per questa attenzione da parte della Regione e, lo stesso, hanno fatto i comitati a difesa del lago con Franceschino Barazzutti che ha definito questo contributo «un passo avanti per la tutela del lago».
Il problema della ri-naturalizzazione del lago è emerso negli ultimi anni e in particolare nel periodo in cui era previsto il raddoppio della centrale Edipower, un investimento che in seguito non è andato in porto: analisi effettuate allora da diversi tecnici avevano messo in luce la presenza, sul fondo del bacino, di una consistente massa di fango. La presenza del fango è stata nuovamente confermata dalle conclusioni del rapporto tecnico stilato dai ricercatori dell’Istituto di scienze marine (Ismar) del Cnr di Bologna. Partita in via sperimentale per testare nuove strumentalizzazioni, la ricerca scientifica è in corso. Il Comune di Trasaghis ha incaricato gli studiosi a completare le indagini. (p.c.)
(Messaggero Veneto, 27 gennaio 2018)
TRASAGHIS. Un primo passo concreto per avviare un percorso di ri-naturalizzazione del lago dei Tre Comuni. Il Consiglio regionale ha approvato uno stanziamento di 50 mila euro che servirà per avviare un concorso di idee finalizzato a individuare la soluzione migliore per riportare il più grande bacino friulano a una condizione di naturalità. Il contributo regionale è frutto di un emendamento proposto dal consigliere Roberto Revelant e sottoscritto anche da Alessandro Colautti, Lauri, Vittorino Boem, Cristian Sergo, Elena Bianchi e l’assessore Sara Vito. «Si apre ora una nuova prospettiva per il lago – spiega Revelant – auspicando che ai 50 mila euro stanziati dalla Regione sia l’Uti che i Comuni rivieraschi compartecipino per rendere il concorso attrattivo verso quei professionisti di indiscussa capacità ed esperienza in grado di arricchire con proposte lungimiranti e anche innovative una progettualità di largo respiro».
Da parte sua il sindaco di Trasaghis, Augusto Picco, ha già espresso i suoi ringraziamenti per questa attenzione da parte della Regione e, lo stesso, hanno fatto i comitati a difesa del lago con Franceschino Barazzutti che ha definito questo contributo «un passo avanti per la tutela del lago».
Il problema della ri-naturalizzazione del lago è emerso negli ultimi anni e in particolare nel periodo in cui era previsto il raddoppio della centrale Edipower, un investimento che in seguito non è andato in porto: analisi effettuate allora da diversi tecnici avevano messo in luce la presenza, sul fondo del bacino, di una consistente massa di fango. La presenza del fango è stata nuovamente confermata dalle conclusioni del rapporto tecnico stilato dai ricercatori dell’Istituto di scienze marine (Ismar) del Cnr di Bologna. Partita in via sperimentale per testare nuove strumentalizzazioni, la ricerca scientifica è in corso. Il Comune di Trasaghis ha incaricato gli studiosi a completare le indagini. (p.c.)
(Messaggero Veneto, 27 gennaio 2018)
sabato 27 gennaio 2018
Storie dalla deportazione - Merico da Farèssa
Nell'occasione della "Giornata della memoria", il Blog ha spesso presentato racconti o testimonianze di persone della Val del Lago che hanno subito il dramma della deportazione: così, negli scorsi anni, si sono lette le storie di Celest di Coin, di Rino di Cian, di Tinut Orlando, e altri.
Quest'anno presentiamo alcune note biografiche sulla figura di un alpino e partigiano di Peonis deportato e poi deceduto nel lager tedesco di Buchenwald (notizie tratte da "Alpini di Peonis", a cura di I. Del Negro, 2013)
CUCCHIARO Americo “Faressa”, figlio di Francesco e Zuliani Maria, nato il 5 settembre 1916. Chiamato e giunto alle armi il 23 maggio 1938 nel 3° Reggimento Artiglieria da Montagna Gruppo “Conegliano” 13° Batteria Il 16 aprile 1939 partito per l’Albania imbarcandosi a Bari. Il 17 aprile 1939 sbarcato a Durazzo. Il 23 novembre 1939 assegnato alla 18° Batteria del Gruppo “Udine”. Il 30 dicembre 1940 riportò una ferita da arma da fuoco all'avambraccio sinistro e venne ricoverato al Ospedale da Campo di Berati. Il 1° gennaio 1941 rimpatriato in aereo all'aeroporto di Foggia. Il 2 gennaio 1941 ricoverato al Ospedale Militare di Milano. Il 18 gennaio 1941 ricoverato al Ospedale Militare di Como. Il 6 agosto 1941 ricoverato al Ospedale di Gemona. Il 20 dicembre 1941 ricoverato al Ospedale Militare di Udine.
Collocato in congedo assoluto il 21 gennaio 1942. Dal 5 aprile 1944 Partigiano Combattente nella Divisione Garibaldi Sud Arzino”. Il 31 ottobre 1944 catturato dai tedeschi nel territorio del comune di Gemona e internato in Germania.
Morto il 27 marzo 1945 in Germania nel Campo di Concentramento di Buchenwald, lager Ordruf, salma non recuperata.
------------
Come detto più volte, se siete a conoscenza di altre "storie" di questo tipo .... segnalatele al Blog.
Quest'anno presentiamo alcune note biografiche sulla figura di un alpino e partigiano di Peonis deportato e poi deceduto nel lager tedesco di Buchenwald (notizie tratte da "Alpini di Peonis", a cura di I. Del Negro, 2013)
CUCCHIARO Americo “Faressa”, figlio di Francesco e Zuliani Maria, nato il 5 settembre 1916. Chiamato e giunto alle armi il 23 maggio 1938 nel 3° Reggimento Artiglieria da Montagna Gruppo “Conegliano” 13° Batteria Il 16 aprile 1939 partito per l’Albania imbarcandosi a Bari. Il 17 aprile 1939 sbarcato a Durazzo. Il 23 novembre 1939 assegnato alla 18° Batteria del Gruppo “Udine”. Il 30 dicembre 1940 riportò una ferita da arma da fuoco all'avambraccio sinistro e venne ricoverato al Ospedale da Campo di Berati. Il 1° gennaio 1941 rimpatriato in aereo all'aeroporto di Foggia. Il 2 gennaio 1941 ricoverato al Ospedale Militare di Milano. Il 18 gennaio 1941 ricoverato al Ospedale Militare di Como. Il 6 agosto 1941 ricoverato al Ospedale di Gemona. Il 20 dicembre 1941 ricoverato al Ospedale Militare di Udine.
Collocato in congedo assoluto il 21 gennaio 1942. Dal 5 aprile 1944 Partigiano Combattente nella Divisione Garibaldi Sud Arzino”. Il 31 ottobre 1944 catturato dai tedeschi nel territorio del comune di Gemona e internato in Germania.
Morto il 27 marzo 1945 in Germania nel Campo di Concentramento di Buchenwald, lager Ordruf, salma non recuperata.
------------
Come detto più volte, se siete a conoscenza di altre "storie" di questo tipo .... segnalatele al Blog.
venerdì 26 gennaio 2018
Lago, la Regione dà l'OK a definire il progetto per il by-pass (III)
Un concorso di idee per ripensare il lago dei tre Comuni
Revelant (Ar): «Si apre una nuova prospettiva grazie al finanziamento di 50mila euro, ma servono sinergie tra territorio e Regione»
TRASAGHIS - «Si spalancano prospettive promettenti per il lago dei tre Comuni. Adesso serve il contributo del territorio, dagli enti locali all’Uti. Il successo del progetto non può prescindere da una piena e leale collaborazione tra i diversi livelli istituzionali». Così Roberto Revelant, consigliere regionale di Autonomia Responsabile, nell’esprimere soddisfazione per «l’accoglimento trasversale della mia proposta. La Regione ha finanziato con 50 mila euro un concorso di idee per rilanciare il lago con un progetto completo, organico e lungimirante. Questo deve essere considerato un punto di partenza, e un piccolo esempio di come la politica debba unire, quando si tratta di incentivare lo sviluppo della montagna, uscendo dagli steccati ideologici delle appartenenze partitiche. Sotto questo profilo, il Friuli dovrebbe prendere esempio da Trento e Bolzano, che antepongono sempre gli interessi territoriali ad altre logiche».
Spiega Revelant: «Questo progetto nasce nel 2014, quando ho lanciato l’idea di imprimere una svolta alla gestione del lago dei tre comuni. Inizialmente, la mia proposta ha faticato a fare proselitismo, ma il tempo mi ha dato ragione. La mia convinzione è molto semplice: non basta un concorso limitato alla sola rinaturalizzazione del lago, ma serve un piano più ambizioso, che coniughi la valorizzazione ambientale e turistica alle opportunità economiche legate a un utilizzo corretto dell’acqua: mi riferisco, ad esempio, all’apporto idrico per il settore agricolo nei periodi di siccità, mediante l’intervento del consorzio Ledra Tagliamento». Chiude Revelant: «Con i 50mila euro stanziati dalla Regione, i Comuni rivieraschi, l’Uti e l’amministrazione regionale stessa, devono avviare un percorso per rendere attrattivo il bando verso i professionisti del settore. Servono proposte innovative e brillanti, per dare una svolta al lago e, quindi, creare nuove opportunità di sviluppo economico e occupazionale per un’area che, ancora oggi, lascia intravedere un enorme potenziale inespresso».
Spiega Revelant: «Questo progetto nasce nel 2014, quando ho lanciato l’idea di imprimere una svolta alla gestione del lago dei tre comuni. Inizialmente, la mia proposta ha faticato a fare proselitismo, ma il tempo mi ha dato ragione. La mia convinzione è molto semplice: non basta un concorso limitato alla sola rinaturalizzazione del lago, ma serve un piano più ambizioso, che coniughi la valorizzazione ambientale e turistica alle opportunità economiche legate a un utilizzo corretto dell’acqua: mi riferisco, ad esempio, all’apporto idrico per il settore agricolo nei periodi di siccità, mediante l’intervento del consorzio Ledra Tagliamento». Chiude Revelant: «Con i 50mila euro stanziati dalla Regione, i Comuni rivieraschi, l’Uti e l’amministrazione regionale stessa, devono avviare un percorso per rendere attrattivo il bando verso i professionisti del settore. Servono proposte innovative e brillanti, per dare una svolta al lago e, quindi, creare nuove opportunità di sviluppo economico e occupazionale per un’area che, ancora oggi, lascia intravedere un enorme potenziale inespresso».
giovedì 25 gennaio 2018
Lago, la Regione dà l'OK a definire il progetto per il by-pass (II)
Lago di Cavazzo: indetto un concorso di idee per il recupero
Via libera del Consiglio regionale alla proposta dei comitati di tutela del Lago dei tre comuni
di Isabella Gregoratto
Il Consiglio regionale ha dato il via libera all’indizione di un concorso di idee per il recupero delle condizioni di naturalità del Lago dei tre comuni e la sua fruibilità, mettendo a disposizione 50 mila euro. Una risposta a quanto richiesto dai Comitati a tutela del lago e delle acque montane. La scorsa settimana avevano proposto alla Regione di inserire un emendamento all’interno del disegno di legge 237, contenente norme urgenti in materia di ambiente e di energia.
“Per caso abbiamo saputo che in questi giorni il consiglio regionale avrebbe affrontato queste tematiche – riferisce Franceschino Barazzutti, portavoce del Comitato a difesa delle acque del bacino imbrifero montano - e così siamo riusciti a spiegare giusto in tempo quale sarebbe la migliore soluzione per preservare il lago, mantenendo attiva la centrale elettrica e la possibilità di irrigare attraverso una derivazione. La Regione dal canto suo si metterebbe in luce per aver salvato un lago, promuovendo un esempio virtuoso di convivenza tra attività produttive e tutela dell’ambiente".
Seppur soddisfatti per questo risultato, i Comitati puntano il dito anche sulle concessioni per l’installazione di centrali idroelettriche sui corsi d’acqua montani.
“Il numero di richieste sta aumentando - segnala Barazzutti, evidenziando alcuni punti interessati -: Tremugna di Peonis, Leale , Palar e alle sorgenti di acqua potabile di Somplago”.
I comitati propongono alla Regione di individuare dove è possibile fare captazioni e che stabilisca quanti litri al secondo si possono prelevare. Suggerisce inoltre che preveda priorità nel dare le concessioni: prima agli enti pubblici e locali e successivamente ai privati che si impegnano a utilizzare la corrente elettrica per favorire posti di lavoro.
mercoledì 24 gennaio 2018
Lago, la Regione dà l'OK a definire il progetto per il by-pass
Buone nuove dal Consiglio Regionale che, a Trieste, ha approvato (sulla base dell'invito avanzato dai Comitati nella conferenza stampa di venerdì scorso) un emendamento al Disegno di Legge n. 237 “Norme in materia di ambiente e di energia” per l'indizione di un concorso tecnico internazionale per l'individuazione di procedure atte a realizzare il by pass capace di impedire lo scarico nel Lago delle acque fredde e fangose della centrale di Somplago . Si tratta di un passo estremamente importante, i cui dettagli verranno definiti a breve, che prevede l'inserimento a bilancio di 50mila euro per studi, indagini, collaborazioni e spese correlate al fine del "recupero della naturalità del Lago dei Tre Comuni". L'emendamento è stato presentato dai consiglieri Revelant e Colautti e condiviso dai consiglieri Lauri, Boem, Vito, Sergo e Bianchi.
lunedì 22 gennaio 2018
Lago, un promemoria e un invito per i Consiglieri regionali
Contestualmente alla conferenza stampa di venerdì scorso, i Comitati (a firma di Franceschino Barazzutti) hanno inviato ai Consiglieri regionali una lettera nella quale segnalano le problematiche del Lago e invitano a inserire, nella prossima discussione del Disegno di Legge n. 237 “Norme in materia di ambiente e di energia” uno specifico emendamento per l'indizione di un concorso tecnico internazionale per l'individuazione di procedure atte a realizzare il by pass capace di impedire lo scarico nel Lago delle acque fredde e fangose della centrale di Somplago.
Egregia Consigliera, Egregio Consigliere,
abbiamo appreso che il Piano Regionale di Tutela delle Acque,
recentemente approvato dalla Giunta regionale, ha adottato la seguente
formulazione riguardo al lago di Cavazzo:
3.2.3 Conclusioni
Da quanto esposto ai paragrafi precedenti e in continuità con i criteri
fissati nell’Analisi Conoscitiva, è stato scelto di definire il Tagliamento a
valle di Ospedaletto come corpo idrico fortemente modificato. Tale
individuazione è provvisoria e propedeutica al processo di designazione
definitivo. In particolare il flusso di lavoro dovrà prevedere la valutazione
di fattibilità di possibili azioni di mitigazione e una valutazione
costi/benefici delle possibili alternative agli usi specifici esistenti. In
particolare la valutazione delle alternative dovrà prendere in considerazione
il progetto di realizzazione di una condotta di collegamento tra il lago di
Cavazzo e il sistema derivatorio Ledra Tagliamento che consentirebbe di
risolvere le difficoltà che annualmente si verificano ad Ospedaletto garantendo
da un lato il fabbisogno del Consorzio e migliorando, dall'altro, gli
ecosistemi acquatici del fiume Tagliamento a valle di Ospedaletto che ogni
estate vengono messi a dura prova. Contestualmente dovrà anche essere valutata la fattibilità tecnico -
economica di realizzazione di un canale di by – pass, o di altra soluzione
progettuale che mitighi l’impatto dello scarico della centrale di Somplago sul
lago di Cavazzo con lo scopo di recuperare le condizioni di naturalità del lago
stesso e di garantirne la fruibilità.
Ora è tempo di passare ai fatti, tanto più che il Consorzio di Bonifica
Friulana ha già pronto il progetto di derivazione e lo studio dell’ing. Franco
Garzon, incaricato dai Comuni di Trasaghis, Bordano, Cavazzo Carnico, dal Consorzio BIM Tagliamento, dalla Comunità Montana della Carnia, dalla
Comunità Montana del Gemonese, Canal del Ferro Valcanale, come lo studio
dell’ing. Dino Franzil hanno dimostrato che il lago è in serio pericolo di
interrimento a causa dell’apporto di fango dallo scarico della centrale
idroelettrica di Somplago. Inoltre il Comune di Trasaghis ha conferito
l’incarico all’Istituto di Scienze
Marine (ISMAR) del CNR di Bologna di portare a termine gli studi e le ricerche
iniziate dallo stesso qualche anno fa, mirate
alla conoscenza dello stato del lago, in particolare alle mutazioni dello stesso conseguenti all’entrata in
esercizio della centrale idroelettrica di Somplago.
Un’occasione immediata di passare ai fatti è offerta dall’esame in aula
nella prossima settimana del Disegno di Legge n. 237 “Norme in materia di
ambiente e di energia” presentando ed approvando un emendamento che preveda
l’indizione da parte della Regione di un concorso internazionale per la “ realizzazione di un canale di by – pass, o di altra soluzione progettuale
che mitighi l’impatto dello scarico della centrale di Somplago sul lago di
Cavazzo con lo scopo di recuperare
le condizioni di naturalità del lago stesso e di garantirne la fruibilità”.
Tale concorso internazionale permetterebbe non solo di individuare le
migliori soluzioni per il recupero della naturalità del lago, ma anche di
rendere compatibili, in una visione complessiva e partecipata del territorio, il funzionamento della centrale della lombarda
a2a (meglio se appartenesse alla Regione!),
il prelievo irriguo e le portate del Tagliamento.
Peraltro, essendo il lago di
Cavazzo – il più grande della regione – un’importante riserva idrica, ubicata
in un’area ottimale tra la montagna e la pianura, che diverrà sempre più strategica nella prospettiva dei cambiamenti
climatici, non può essere ulteriormente abbandonato all’attuale degrado, alla
prospettiva certa dell’interrimento, allo sfruttamento di interessi di parte,
che ora stanno dando l’assalto con le centraline anche ai torrenti della Val
del Lago, persino alle sorgenti
sgorganti dalla rupe di San Candido a Somplago.
Nell’intervenire sul lago dobbiamo essere altrettanto bravi quanto lo
siamo stati nella ricostruzione postsismica: fare le cose per bene e
partecipate.
Inoltre, sarebbe motivo di orgoglio per la Regione e riferimento per
altre analoghe situazioni la realizzazione per prima in Italia (e non solo) di un
progetto di recupero della naturalità di un lago, gravemente compromesso da un
sistema idroelettrico alimentato da
derivazioni indiscriminate, rozzo ed insensibile verso l’ambiente come quello
del Tagliamento-lago di Cavazzo, costruito dalla SADE negli anni ’50,
improntato a criteri che hanno portato alla
tragedia del Vajont.
Pregandola di voler valutare seriamente l’opportunità della
presentazione ed approvazione di un emendamento in tal senso in occasione
dell’esame del Disegno di Legge n. 237, Le porgo Distinti Saluti.
Per i
Comitati Salvalago: Franceschino
Barazzutti, già sindaco di Cavazzo Carnico
-------------
Ce pensàiso?
domenica 21 gennaio 2018
Conferenza dei Comitati venerdì a Udine per la salvaguardia del "mosaico" della Valle del Lago (IV)
«Salviamo il lago di Cavazzo, il fondo è pieno di fango»
I l Comitato: «La Regione indica un concorso internazionale per realizzare il bypass La centrale di Somplago non deve scaricare lì». Lo studio dell’Ismar di Bologna
di Giacomina Pellizzari
UDINE. «Il fondale del lago di Cavazzo è una distesa di fango». I rappresentanti dei Comitato a difesa e valorizzazione del lago non lo affermano per sentito dire, lo dicono rendendo pubbliche le conclusioni del rapporto tecnico stilato dai ricercatori dell’Istituto di scienze marine del Cnr di Bologna. Partita in via sperimentale per testare nuove strumentalizzazioni, la ricerca scientifica è in corso. Il Comune di Trasaghis ha incaricato gli studiosi a completare le indagini. Franceschino Barazzutti, l’ex sindaco di Cavazzo, l’ha sottolineato per dare maggior concretezza alla richiesta del Comitato: «La Regione deve indire un concorso internazionale per l’elaborazione del bypass in grado di evitare che lo scarico della centrale di Somplago finisca nel lago».di Giacomina Pellizzari
Alle 10, nella sala Kugy, i rappresentati dei Comitati, davanti ai consiglieri regionali Enio Agnola (Pd), Roberto Revelant (Ar) e Cristian Sergo (M5s), hanno proiettato le fotografie del fondale coperto di fango. Nell’attesa che i ricercatori completino la carta morfo-batimetrica dei fondali con la caratterizzazione dei depositi, i Comitati tornano ad alzare la voce: «Il lago è a rischio, va naturalizzato». Valentino Rabassi l’ha ricordato illustrando le prime immagini ricevute dall’Ismar di Bologna: «Il fondo è piatto, è coperto di fango, le sostanze organiche vanno in anossia e, in quantità ridotte, producono gas metano». E se l’obiettivo dei Comitati è riportare il lago alla sua fruibilità iniziale, per raggiungerlo basta eliminare l’apporto di fango. Barazzutti ha detto chiaramente che al Comitato non basta il fatto che il Piano di tutela delle acque approvato alla fine del 2017, preveda l’elaborazione dello studio di fattibilità del bypass per evitare che lo scarico centrale finisca nel lago. «Noi chiediamo qualcosa di più. Ovvero che nell’ambito della legge in materia di energia e ambiente, in discussione a partire dalla prossima settimana, venga previsto un concorso internazionale per l’elaborazione del bypass». E se la domanda è «perché un concorso internazionale e non un incarico?», la risposta l’ha data sempre Barazzutti: «Non vorremmo che dessero un incarico a qualcuno che dicesse: «No se pol». L’espressione in triestino non è casuale.
«Vogliamo – ha proseguito Barazzutti – le migliori menti perché il lago di Cavazzo è il più grande della regione. È una risorsa idrica sempre più preziosa soprattutto con i cambiamenti climatici in atto». Il lago è una ricchezza che, sono sempre le parole dell’ex sindaco di Cavazzo, «non deve essere arraffata da interessi estranei. Si derivi pure per gli usi agricoli, si produca pure corrente elettrica, la centrale continui a funzionare, ma il lago va salvato».Il progetto è prestigioso e la Regione può davvero diventare un esempio di ente virtuoso in materia ambientale. I consiglieri regionali sono avvertiti. Soprattutto Agnola, Revelant e Sergo hanno il compito di portare le istanze del Comitato a Trieste.
(Messaggero Veneto, 20 gennaio 2018)
----------------------------------- Un nuovo «no» all’impianto sotto la rupe di San CandidoMentre il fondo del lago di Cavazzo si riempie di fango, nelle valle piovono domande di derivazione: «Il Tremugna una domanda, il Leale tre domande, il Palar la domanda è stata inoltrata da un altoatesino e ora anche il Comune di Cavazzo vuole realizzare una centralina nelle bellissime sorgenti di San Candido, con la chiesetta accanto e con la rupe, enorme, strapiombante, in località pericolosa. Questo non è accettabile bisogna porre fine alla costruzione di centraline idroelettriche per interessi privati». Con la passione che da sempre caratterizza le sue prese di posizione, Franceschino Barazzutti, e il Comitato a difesa e valorizzazione del lago, ieri, hanno ribadito il loro «no» alla realizzazione dell’impianto nell’ex lavatoio, dietro il muro di Somplago.
«Se c’è un posto dove non va fatta la centralina è proprio quello», ha aggiunto Barazzutti nel ricordare che non è solo una questione di buonsenso visto che, come conferma la simulazione i cui risultati sono stati pubblicati dalla rivista del Museo si storia naturale “La Gortania” «se dalla rupe si staccano quattro metri cubi di materiale, la massa supera il muro, sfondandolo». L’ipotesi non è peregrina visto che la rocca è stata danneggiata dal terremoto. Le fessurazioni sono tutt’ora visibili. Non a caso Barazzutti ha presentato un’osservazione al Piano regolatore comunale e sensibilizzato il mondo politico.
Al fianco dei Comitati c’è anche Legambiente: «Abbiamo aderito alla campagna promossa nell’Arco alpino per chiedere al Governo di eliminare gli incentivi per gli impianti con potenza sotto un kw e di ridurli sensibilmente per quelli sotto i tre kw. Entro questo limite va eliminata la pubblica utilità dell’impianto».
----------------------------------- Un nuovo «no» all’impianto sotto la rupe di San CandidoMentre il fondo del lago di Cavazzo si riempie di fango, nelle valle piovono domande di derivazione: «Il Tremugna una domanda, il Leale tre domande, il Palar la domanda è stata inoltrata da un altoatesino e ora anche il Comune di Cavazzo vuole realizzare una centralina nelle bellissime sorgenti di San Candido, con la chiesetta accanto e con la rupe, enorme, strapiombante, in località pericolosa. Questo non è accettabile bisogna porre fine alla costruzione di centraline idroelettriche per interessi privati». Con la passione che da sempre caratterizza le sue prese di posizione, Franceschino Barazzutti, e il Comitato a difesa e valorizzazione del lago, ieri, hanno ribadito il loro «no» alla realizzazione dell’impianto nell’ex lavatoio, dietro il muro di Somplago.
«Se c’è un posto dove non va fatta la centralina è proprio quello», ha aggiunto Barazzutti nel ricordare che non è solo una questione di buonsenso visto che, come conferma la simulazione i cui risultati sono stati pubblicati dalla rivista del Museo si storia naturale “La Gortania” «se dalla rupe si staccano quattro metri cubi di materiale, la massa supera il muro, sfondandolo». L’ipotesi non è peregrina visto che la rocca è stata danneggiata dal terremoto. Le fessurazioni sono tutt’ora visibili. Non a caso Barazzutti ha presentato un’osservazione al Piano regolatore comunale e sensibilizzato il mondo politico.
Al fianco dei Comitati c’è anche Legambiente: «Abbiamo aderito alla campagna promossa nell’Arco alpino per chiedere al Governo di eliminare gli incentivi per gli impianti con potenza sotto un kw e di ridurli sensibilmente per quelli sotto i tre kw. Entro questo limite va eliminata la pubblica utilità dell’impianto».
Marco Lepre ha ricordato, inoltre, che l’associazione ha già inviato a tutti i Comuni la bozza dell’ordine del giorno già adottata dall’amministrazione di Ponte nelle Alpi.(Messaggero Veneto, 20 gennaio 2018)
Iscriviti a:
Post (Atom)