"Alesso e dintorni", dal puint di Braulins al puint di Avons

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domenica 22 giugno 2014

E se Italo Svevo, nella Peonis del 1927, avesse indagato sulla fine di Bottecchia...

Sulle cause della morte di Ottavio Bottecchia, trovato ferito a Peonis il 3 giugno 1927 e morto dodici giorni dopo all'ospedale di Gemona, si continua a discutere. Negli ultimi anni sono uscite diverse nuove biografie su tutto il percorso umano e sportivo di Bottecchia:  le più corpose sono quelle di Giuliana Fantuz ("La leggenda di Botescià") e di Roberto Facchinetti ("Bottecchia Il forzato della strada"). Alcuni libri si sono occupati specificatamente della fine del campione, arrivando a conclusioni opposte, basti confrontare "Il delitto Bottecchia" e "L'agguato" di Enrico Spitaleri (che già nei titoli esprimono il sunto della tesi sostenuta) e "Quel mattino a Peonis" di Pieri Stefanutti (dove il riesame delle testimonianze e delle cartelle cliniche porta all'elemento della caduta accidentale).
Forse proprio l'impossibilità di giungere a ricostruzioni condivise ha spinto alcuni autori a tentare altre modalità di approccio al fatto: così Roberto Fagiolo e Francesco Graziani in "Bottecchia l'inafferrabile" ricostruiscono i fatti  usando un artificio letterario, immaginando cioè che l’incartamento sul "caso Bottecchia" ottant’anni dopo i fatti cada accidentalmente nelle mani del  titolare delle Assicurazioni Fidelitas e  nipote dell’assicuratore che a suo tempo ha pagato il premio sulla morte del campione: da qui la sua vita tranquilla e abitudinaria è improvvisamente sconvolta nel tentativo di dipanare un mistero, dato  che tre uomini, in tre momenti diversi e in tre circostanze differenti, avrebbero confessato di avere assassinato il campione....
Su questa scia sembra porsi il lavoro del giornalista Alessandro Mezzena Lona che pochi giorni fa ha presentato a Trieste il libro "La morte danza in salita" nel quale si immagina che addirittura Italo Svevo abbia avuto modo di indagare a Peonis sulla fine di Bottecchia.
Sarà dunque interessante leggere anche questo testo, non per trovare la soluzione al caso, ma per scoprire attraverso quali pennellate narrative sono stati descritti i luoghi ed i personaggi della Peonis del 1927.

Sunto di alcune recensioni apparse sulla stampa:

E se Svevo avesse indagato sulla morte di Bottecchia?

Messaggero Veneto, 1° giugno 2014

TRIESTE. I due, Ottavio Bottecchia e Italo Svevo, probabilmente nemmeno si sfiorarono, in vita. Se ne andarono, però, a un anno di distanza l’uno dall’altro. Il ciclista nel giugno del ’27, lo scrittore nel settembre del ’28. Ora. Stando ai fatti vien difficile dimostrare che i giovanotti fine Ottocento abbiano trovato un tempo e un luogo per captare onde reciproche. Nulla da escludere se, invece, ci si trasferisce nel fantastico e allora è pure intrigante scoprire un aspetto ignorato del signor Ettore Schmitz, così nasce Svevo, ovvero un abile ficcanaso in una certa questione talmente enigmatica da stimolarlo a una accurata riflessione.
L’indagine sulla morte del Bottecchia intrapresa da un signore triestino non ancora ricoperto di fama, ma sul punto di, è scoccata dalla penna di Alessandro Mezzena Lona, giornalista e scrittore, responsabile delle pagine cultura de Il Piccolo.
Risultato? Un romanzo breve, La morte danza in salita, Simone Volpato Editore, edito in trecento copie di una certa eleganza estetica (carattere Brembo, carta Fedrigoni Nettuno pompelmo 120 gr.) in omaggio al Giro d’Italia che oggi si spegne proprio a Trieste. Numero speciale della collana “I quaderni dei poeti illustrati”, diretta da Pietro Spirito.
Conosciamo dove zoppicava lo Svevo. Il fumo. Morì in un incidente stradale, per la verità, ma l’enfisema polmonare fu determinante. Ecco. Magari Ettore o Italo come preferite, sarà stato consigliato da qualche medico di salire in montagna, per ossigenarsi un po’. Può darsi a Peonis. Paese noto per aver visto misteriosamente morire il povero Bottecchia, trovato agonizzante sulla strada. Tac. E così Svevo tra una partita a bocce e un tiro di tabacco si getta sul caso e... (...)

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Uno sconosciuto Svevo  indaga sulla strana morte del campione Bottecchia
Il Piccolo, 1° giugno 2014 

di FEDERICA MANZON 
Il Giro d’Italia Ottavio Bottecchia non lo vinse mai. Una volta si classificò al quinto posto, è vero, ma correva da solo, senza squadra. Ai suoi tempi il Giro iniziava e finiva a Milano. E di vedere la grande competizione ciclistica terminare a Trieste, in una città che solo da qualche anno poteva considerarsi Italia, Bottecchia non se lo sarebbe immaginato. O forse sì, lui avrebbe potuto figurarselo un finale in volata verso Piazza Unità, in fondo nulla poteva stupire chi nella vita da semplice muratore era diventato il re delle Alpi francesi, primo italiano a vincere il Tour de France. Una leggenda, l’eroe di guerra, l’idolo del fascismo “italianissimo figlio di una razza di campioni”, il nemico del fascismo, un uomo di poche parole, schivo e misterioso. E di misteri attorno alla figura di Bottecchia ce ne sono molti, soprattutto a voler partire dalla fine: quella morte avvenuta pochi giorni dopo un alquanto sospetto incidente sulle strade di montagna di Peonis. Un mistero che ha risvegliato la curiosità di Alessandro Mezzena Lona, scrittore e ciclista esperto, che ha voluto vederci più chiaro tra le pieghe di quell’antica storia. Così è nato “La morte danza in salita”, un libro acuto e intrigante che esce martedì per Simone Volpato Studio Bibliografico (pagg 58, euro 10), con il patrocinio de “Il Piccolo” e la collaborazione del Museo Sveviano di Trieste, proprio in occasione dell’ultima tappa del Giro d’Italia, e a settembre sarà nel Giallo Mondadori. Tra le pagine di Mezzena Lona a indagare su quella morte sospetta è un investigatore d’eccezione, un tipo inetto e poco incline agli sforzi dello sport: il signor Ettore, appena arrivato da Trieste per liberarsi dei chili di troppo e della sua tirannica abitudine alla sigaretta. Quello che per lui doveva essere un tranquillo soggiorno in montagna, viene turbato subito da un annuncio: all’ospedale di Gemona è morto il campione del ciclismo, trovato a bordo strada coperto di sangue e polvere come uno “sbilf”, un folletto, o forse un incubo. L’hanno ammazzato, dicono. L’hanno ucciso i fascisti perché in un’intervista da trionfatore del secondo Tour aveva dichiarato: «Io non corro per lo sport, né per gli evviva di folle paesane, né per i fiori di belle ragazze e nemmeno per la Patria. Mi interessano solo i schei». L’hanno ucciso i comunisti perché ha preso la tessera del Partito. L’ha ucciso la piccola malavita che prospera ai bordi delle corse ciclistiche. La sua bicicletta non si trova più. E poi il Duce non ha mandato nemmeno un telegramma alla vedova. E suo fratello Giovanni è stato trovato morto solo poco tempo prima. Ce n’è abbastanza per scuotere dal torpore estivo un intero paesino di montagna. E ce n’è per incuriosire il signor Ettore, ritiratosi lassù con il difficile proposito di scrivere un libro. Mezzena Lona lo sa, una tradizione antica lega sport e letteratura. (...)  Per mesi aveva sognato di viaggiare in sella a una leggerissima Swift, ma poi si era dato alla letteratura. Ma ora là, tra i monti di Peonis, la sua vecchia passione si risveglia per venire a capo di un mistero che sembra coinvolgere un po’ tutti in paese: il capitano Casseri che sta in un difficile equilibrio con le Camicie Nere, la vecchia Menica che faceva la levatrice e ora alza un po’ troppo il gomito, Maria la bella e infelice sposa di un eroe dell’aviazione, perfino il parroco. E quando Tano Bordin, uno dei gregari di Bottecchia, viene trovato morto, i fili dell’indagine si ingarbugliano ancora di più. Verrebbe quasi da suggerire al signor Ettore di non mettere troppo il naso in quella storia, qualcuno lo sta osservando da vicino ed è determinato a non fare emergere nessuna verità... Il racconto di Alessandro Mezzena Lona procede con due velocità. Da un lato trascina il lettore fino a quel paesino di montagna che subito sentiamo familiare, nel pieno di un’epoca storica di cui, dosando magistralmente dialoghi e descrizioni, ci fa sentire il sinistro scricchiolino che sempre annuncia il disastro. Dall’altro si infila con grazia e precisione tra i fili di un antico mistero irrisolto, tra le ombre della vita e della morte di quello che è stato molto di più di uno straordinario campione sportivo. E noi lettori, pagina dopo pagina, non ci stacchiamo dal signor Ettore, come lui vogliamo andare fino in fondo per scoprire la verità e “far tacere le rane”, quei pensieri sospettosi e molesti che “restano a galleggiare tra lo stomaco e l’anima”.
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