Sul lago di Cavazzo (o dei Tre Comuni) si discute animatamente, da almeno un anno, a proposito del progetto presentato da Edipower per il raddoppio della funzionalità della centrale di Somplago. È in atto una discussione che vede spesso contrapposte le amministrazioni comunali con i comitati sorti spontaneamente a difesa del lago, con le forze politiche spesso divise tra loro e la popolazione in buona parte disorientata. Certo che, a proposito del lago, solo da settembre 2008 a marzo 2010 è uscita sulla stampa almeno una settantina di articoli sull’argomento; di più sono nati siti di documentazione (come http://lagofriuli2.altervista.org ), blog che registrano le discussioni in atto (come http://cjalcor.blogspot.com/ ), addirittura gruppi su Facebook (per esempio “Giro giro lago” o “Quelli che ad Alesso”). C’è dunque un “bisogno” reale e concreto di informazione, cui si attinge attraverso i canali tradizionali e non solo e da cui consegue, come abbiamo anche cercato di sottolineare sul Messaggero lo scorso 19 settembre, che «sarebbe un peccato disperdere la domanda di partecipazione popolare». La discussione ha comunque visto fasi di contrapposizione dura, anche sul piano personale, soprattutto tra amministratori ed ex amministratori, con alcuni contributi per una riflessione etica attorno al problema avanzati soprattutto da Remo Brunetti e Luigi Stefanutti. La situazione sembra attualmente in stallo, in attesa dei pareri della Regione, con la popolazione incerta sulla percezione degli sviluppi. Nel dubbio, anziché dare spazio all’ipotesi di referendum (un problema mal posto, che rischia di richiamare le scontate antitesi del “Volete burro o cannoni”), c’è piuttosto da salutare positivamente la proposta emersa dai comitati e da un’interrogazione in consiglio regionale presentata dai consiglieri regionali della Sinistra Arcobaleno Kocijancic, Antonaz e Pustetto per chiedere l’affidamento a uno studio “terzo” del progetto di potenziamento della centrale idroelettrica di Somplago. Bisognerebbe però fare un ulteriore salto di qualità. Un nuovo progetto non dovrebbe limitarsi soltanto a stabilire se la proposta di Edipower è compatibile con l’ambiente ma anche effettuare un’analisi precisa di quelle che sono le condizioni del lago dopo cinquant’anni di funzionamento della centrale ed elaborare conseguentemente una proposta generale per il futuro. Questo perché va tenuto conto che il lago, se certamente non è quella strana entità a proposito della quale fu chiesto a fine Ottocento all’ingegner Marioni di Forni di preparare un progetto per prosciugarlo, non è nemmeno più quell’angolo romantico immortalato dalle cartoline di Bujatti e così bene descritto dalla penna di Arturo Manzano negli anni 50 (il lago, con i suoi cieli lieti e tristi, con la sua acqua ocra, verde, blu, argento o d’oro, con i suoi pioppi, lecci, querce, castagni, roveri, arbusti, fichi, con i suoi tappeti d’erba medica, con la sua luce fastosa e soffice dell’estate, cristallina e arida dell’inverno, con le sue ombre piene di sorrisi arcani, con i suoi orizzonti pieni di silenzi. Tutto il lago con quel suo che di virginale, con le sue antiche leggende che sembrano quasi affiorare da questo continuo gioco del chiaro e dello scuro, da questo continuo affacciarsi del vero e del sognato)! Cinquant’anni di funzionamento della centrale hanno portato una serie di gravi conseguenze elencate, per esempio, ancora nel 1977, dal gruppo “Val Manaria”: 1) notevole abbassamento della temperatura delle acque (inquinamento termico); 2) forte depauperamento del patrimonio ittico e fenomeni involutivi per la flora acquatica; 3) scomparsa del “gradiente termico” con conseguente uniformizzazione della temperatura a quote diverse; 4) eliminazione della “termostasi lacustre”, cioè dell’effetto equilibratore e moderatore attuato dal lago in precedenza sul clima; 5) consistente apporto di materiale solido in sospensione e deposito dello stesso sul fondo; 6) otturamento delle polle sotterranee di alimentazione del lago; 7) impaludamento progressivo delle rive nord e sud; 8) forte riduzione della superficie lacustre; 9) notevoli oscillazioni del livello dell’acqua; 10) erosioni delle rive; 11) formazioni di correnti e vortici; 12) ripercussioni negative sull’agricoltura, la pesca e il turismo. Si tratta dunque di un lago (qualcuno l’ha definito ormai un fiume, dal momento che l’apporto degli immissari naturali risulta minimo e l’acqua in transito è soprattutto quella proveniente dalla centrale) profondamente ferito, che negli ultimi anni ha faticosamente cercato di risollevarsi (grazie agli investimenti sostenuti in primo luogo dal Comune di Trasaghis) attraverso interventi di miglioramento ambientale e di promozione turistica. Un nuovo progetto dovrebbe quindi dire come poter intervenire su un lago ferito, trovando un giusto equilibrio tra le esigenze della produzione energetica, quelle della salvaguardia naturalistica, quelle della promozione turistico-culturale. In questo senso è forse opportuno rifarsi alle proposte di rinaturalizzazione avanzate dall’ingegner Pillinini (anche sul Messaggero del 10 ottobre) e allo spirito della proposta avanzata su questo giornale dal signor Dino Franzil lo scorso 7 gennaio. Va da sé che attorno a un tavolo per la definizione di un progetto per il futuro del lago dovrebbero sedere, con spirito costruttivo, amministratori e rappresentanti dei comitati.
Pieri Stefanutti - Elena Vidoni, Alesso
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