Il Messaggero Veneto di oggi ospita una decisa presa di posizione del consigliere Etp Claudio Polano contro i lavori di pulizia della sponda del Leale, tra il canale Sade e la confluenza nel Tagliamento. Il lavoro, eseguito dalla Direzione Centrale Ambiente ed energia della Regione FVG viene definito "inutile e dannoso":
Sull'argomento è già intervenuto in rete il pescatore Fausto Marchetti, che non pare condividere pienamente le valutazioni di Polano:
Pubblico alcune foto scattate sul torrente Leale per rispondere allo "strano" articolo apparso sul M.Veneto di oggi sulla gestione della pulitura ripariale dello stesso ridotto in stato di abbandono da moltissimi anni.
Mi suona strano che l'amico Polano (consigliere ETP) abbia preso una posizione direi contraria alla cosa.
Me lo sono fatto a piedi piu' di una volta e devo ammettere che l'operazione e' stata decisamente radicale e piuttosto grossolana lasciando tantissimi spezzoni affioranti e chiaramente pericolosi.
Una bella popolazione di pini in sponda SX e' stata completamente ignorata anche se bisognosa di cure e potature.
In sponda DX si e' ripulito per far posto ad una ciclabile (se un giorno sara' ultimata) in ogni caso il sito sembra essere gia' discretamente frequentato anche grazie alla sistemazione della strada in SX.
Ovvio che l'operazione e' stata piuttosto grezza,e se lasciata al suo stare tra poco sara' di nuovo rinboschita in maniera selvaggia ed incontrollata.
Sarebbe auspicabile la rimozione di tutti gli spuntoni per motivi di sicurezza e per ritardarne (volendo evitarne) la ricrescita.
E' altresi' auspicabile la piantumazione di essenze pregiate a debita distanza dal corso stesso.
Disponendo anche delle immagini pubblicate da Marchetti, la parola ai lettori: ce pensàiso della nuova sistemazione della pista tra Leale e Tagliamento?
Un blog per informare, per ragionare, per confrontarsi su quel che capita ad Alesso e nei dintorni. Ce sucedial, ce si fàsie, ce si podarèssie fâ a Dalés e intal dulintôr? Scuvierzìnlu su chest Blog.
"Alesso e dintorni", dal puint di Braulins al puint di Avons

domenica 15 febbraio 2015
venerdì 13 febbraio 2015
Val del Lago sul Web. Verso la Forcja e il rifugio Carcadé
La montagna invisibile
by Luca Chiarcos
Quando ti chiedono qual’è la tua montagna preferita, la risposta ti porta sulle labbra risposte facili, evocative, mitiche. . Poi, nei pensieri più intimi, nei desideri più reconditi, ci sono montagne di cui appena si conosce il nome, ma che sono sempre presenti. Si affacciano alle nostre vite silenziose. Rapiscono sguardi distratti nei momenti più impensati, giusto il tempo di un pensiero fugace, mentre tornano nel loro oblio. Dimenticate. Montagne nascoste, montagne invisibili, le cui vie d’accesso partono da paesi dimenticati, da valli nascoste e poco frequentate. Il mattino è freddo e l’aria secca le narici mentre imbocchiamo la vecchia strada militare che si inerpica, con passo leggero, attraverso il bosco, verso la Forcja. La neve è farinosa, secca, si apre davanti ai nostri passi, per richiudersi su se stessa subito dopo, senza quasi lasciar traccia.
Passi invisibili verso l’alto. Vicino alla cresta la neve si dirada, il bosco è spogliato dal suo candido manto verso la Forcja. La cima appare sfuggente, sembra quasi ci volga le spalle, la cresta come una chioma al vento. Sfuggente, sembra godere della fatica che abbiamo fatto per arrivare al suo cospetto. Il respiro si perde nel vento, assieme alle parole dei compagni. Tanto vicini quanto soli nei propri pensieri. La cima è lì, davanti agli occhi, ma lontana e fredda. Insensibile alla nostra presenza. Iniziamo a seguire il filo sottile della cresta verso la cima, arrancando nella neve, eterea come la cima che sembra allontanarsi ad ogni passo che facciamo. Il tempo scorre veloce e la cresta appare sempre più sfuggente, quasi desiderosa di non farsi prendere. E così sarà. Non questa volta. La montagna si fa invisibile e ci lascia a contemplarne l’essenza misteriosa. Il pomeriggio avanza e decidiamo di ritornare sui nostri passi. Non c’è delusione. C’è il piacere di avere ancora un mistero da scoprire, un orizzonte da svelare. Lasciamo la dorsale del Faeit e scendiamo nel bosco seguendo quel che resta della traccia del mattino. Il vento soffia leggero tra gli alberi e sembra portarci il suono di una gelida risata, il Picjat ci saluta così. (1)
Il Picjat (1615 m) è l’elevazione più alta della catena del Faeit, nelle Alpi Carniche, a sud di dell’abitato Verzegnis, ultima propaggine verso est della dorsale Piombada-Bottai-Faeit. E’ una montagna poco conosciuta e selvaggia. -
Leggi tutto: http://www.aku.it/storie/la-montagna-invisibile.html#sthash.nqAHKdeC.dpuf
by Luca Chiarcos
Quando ti chiedono qual’è la tua montagna preferita, la risposta ti porta sulle labbra risposte facili, evocative, mitiche. . Poi, nei pensieri più intimi, nei desideri più reconditi, ci sono montagne di cui appena si conosce il nome, ma che sono sempre presenti. Si affacciano alle nostre vite silenziose. Rapiscono sguardi distratti nei momenti più impensati, giusto il tempo di un pensiero fugace, mentre tornano nel loro oblio. Dimenticate. Montagne nascoste, montagne invisibili, le cui vie d’accesso partono da paesi dimenticati, da valli nascoste e poco frequentate. Il mattino è freddo e l’aria secca le narici mentre imbocchiamo la vecchia strada militare che si inerpica, con passo leggero, attraverso il bosco, verso la Forcja. La neve è farinosa, secca, si apre davanti ai nostri passi, per richiudersi su se stessa subito dopo, senza quasi lasciar traccia.
Passi invisibili verso l’alto. Vicino alla cresta la neve si dirada, il bosco è spogliato dal suo candido manto verso la Forcja. La cima appare sfuggente, sembra quasi ci volga le spalle, la cresta come una chioma al vento. Sfuggente, sembra godere della fatica che abbiamo fatto per arrivare al suo cospetto. Il respiro si perde nel vento, assieme alle parole dei compagni. Tanto vicini quanto soli nei propri pensieri. La cima è lì, davanti agli occhi, ma lontana e fredda. Insensibile alla nostra presenza. Iniziamo a seguire il filo sottile della cresta verso la cima, arrancando nella neve, eterea come la cima che sembra allontanarsi ad ogni passo che facciamo. Il tempo scorre veloce e la cresta appare sempre più sfuggente, quasi desiderosa di non farsi prendere. E così sarà. Non questa volta. La montagna si fa invisibile e ci lascia a contemplarne l’essenza misteriosa. Il pomeriggio avanza e decidiamo di ritornare sui nostri passi. Non c’è delusione. C’è il piacere di avere ancora un mistero da scoprire, un orizzonte da svelare. Lasciamo la dorsale del Faeit e scendiamo nel bosco seguendo quel che resta della traccia del mattino. Il vento soffia leggero tra gli alberi e sembra portarci il suono di una gelida risata, il Picjat ci saluta così. (1)
Il Picjat (1615 m) è l’elevazione più alta della catena del Faeit, nelle Alpi Carniche, a sud di dell’abitato Verzegnis, ultima propaggine verso est della dorsale Piombada-Bottai-Faeit. E’ una montagna poco conosciuta e selvaggia. -
Leggi tutto: http://www.aku.it/storie/la-montagna-invisibile.html#sthash.nqAHKdeC.dpuf
giovedì 12 febbraio 2015
Il "Salet" di Bordano continua a essere una mina vagante
Perde una causa da 408 mila euro: Bordano rischia il collasso
La vertenza, ereditata dalla precedente amministrazione, contro la società Il Salet. In ballo c’è il risarcimento per opere sui terreni che il Comune ha voluto riprendersi
di Piero Cargnelutti
BORDANO. Nella causa tra il Comune e la società agricola Il Salet si profila un passaggio che getta un’ombra sul futuro funzionamento della macchina comunale ma la controversia legale non si chiude e finisce in Cassazione.

«Dopo la sentenza della Corte d’Appello - spiega il sindaco Gian Luigi Colomba - il Comune lo scorso novembre ha promosso un ricorso di fronte alla Corte di Cassazione. Dunque, prima di versare i soldi che ci vengono richiesti vogliamo attendere il parere della Cassazione».
Quella che la vede contrapposta a Il Salet è una controversia che l’amministrazione Colomba ha ereditato dalla precedente amministrazione comunale: al centro della causa vi è la richiesta dell’azienda agricola, per molti anni gestrice di terreni di proprietà comunale, di risarcimento rispetto agli investimenti effettuati nel corso del tempo allorché il Comune aveva scelto di interrompere quella gestione. Già una sentenza del Tribunale di Tolmezzo (sezione specializzata agraria) datata 20 marzo 2013 aveva dato ragione a Il Salet imponendo al Comune il pagamento di 30 mila euro.
Tuttavia, successivamente Il Salet aveva promosso il suo ricorso anche di fronte alla Corte d’Appello di Trieste (sezione specializzata agraria), e quest’ultima gli aveva dato di nuovo ragione con la sentenza dell’anno scorso.
È a quel punto che la cifra è lievitata fino a 408 mila euro e certamente per un Comune come Bordano, con un bilancio di circa 1 milione di euro, non è una cifra insignificante da sborsare: «Crediamo che quanto deciso con la sentenza della Corte d’Appello - spiega il sindaco Colomba - sia esagerato, visto che lo stesso terreno non ha quel valore. Ad ogni modo, dopo la sentenza dell’anno scorso abbiamo provveduto a deliberare il riconoscimento del debito fuori bilancio accantonando i soldi per pagare quanto dovuto. I soldi ci sono dunque, ma come sindaco sono responsabile di fronte ai cittadini rispetto all’erogazione dei servizi pubblici.
Erogare 408 mila euro in questo momento significherebbe mettere a rischio il funzionamento della macchina pubblica nel corso dei prossimi mesi. Anche per questo motivo abbiamo dato mandato al nostro legale di avviare l’opposizione a questo atto di precetto».
mercoledì 11 febbraio 2015
"Di dove sei?" - "di Alto Friuli orientale" (II)
Nuovamente .... "starìn a viodi". Ma un pizzico di discussione condivisa non ci starebbe male.
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«Più siamo, più "pesiamo" con la Regione»
GEMONA Ne fanno una questione di peso i Comuni del Gemonese. Di maggiore capacità contrattuale nei confronti di "mamma" Regione. Questo il motivo che ha spinto i sei Comuni della pedemontana, vale a dire Bordano, Venzone, Trasaghis, Montenars, Artegna e Gemona a proporre all'assessore alle autonomie locali, Paolo Panontin, la costituzione di un'Unione territoriale intercomunale da 100 mila abitanti, frutto dell'Unione di tre territori: Gemonese, Collinare e Tarcentino. All'indomani della proposta di perimetrazione, approvata durante l'ultima seduta dell'esecutivo regionale, il sindaco di Gemona torna alla carica, chiedendo a Panontin – cui il sindaco di Artegna, Aldo Daici, ha nel frattempo domandato formalmente un incontro – di prendere in considerazione la proposta. «L'idea – spiega Urbani – è quella di un'Uti composta da una trentina di Comuni, che a nostro giudizio bene starebbero sotto lo stesso "cappello" amministrativo, sia per ragioni di morfologia territoriale, sia perché il numero dei Comuni e della popolazione appartenenti all'Unione consentirebbero di gestire in modo ottimale servizi e sviluppo dei territori». Alla luce della richiesta si aprono due scenari. «L'assessore dovrebbe intervenire dall'alto, verificando nell'incontro che gli abbiamo chiesto la disponibilità degli altri territori, oppure l'azione potrebbe partire dal basso, come in una specie di effetto domino, con i Comuni del Gemonese che chiedono, a catena, l'adesione all'Uti contermine», afferma ancora Urbani che dice di caldeggiare la prima delle due soluzioni. (...)
("Messaggero Veneto", 10 febbraio 2015, articolo di Maura Delle Case)
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martedì 10 febbraio 2015
Da Amula a Rocco e a Belen: anche i nomi dei cavalli sono "segno dei tempi"
Si è già raccontata, sul Blog la "triste saga" dei cavalli di Amula: quello che doveva essere un esperimento scientifico di primo livello e una occasione per il rilancio economico e turistico della montagna si è invece trasformato in un clamoroso flop, con strascichi "velenosi" e giudiziari (vedi http://cjalcor.blogspot.it/2014/05/la-triste-saga-dei-cavalli-konik-da.html).
I cavalli superstiti, dopo essere stati ospitati sul monte Cuar, sono stati trasferiti a Fagagna, all'Oasi dei "Quadris" e qui godono di ottima salute, tanto che si è appena registrata una nuova nascita.
Tanti auguri ai Konik, dunque, anche se fa un po' di tristezza ricordare i nomi attribuiti alle prime nascite in libertà (ricordate la cavallina Amula nata nella neve?) e vedere che le nuove generazioni hanno preso il nome di Rocco e di Belen....
Anche questo è un segno dei tempi.
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FAGAGNA. È nato alle 8 di domenica il piccolo Marco, terzogenito di Belen, cavalla di razza Konik che vive all’interno dell’Oasi dei Quadris a Fagagna dall'ottobre 2013.
Tanti auguri ai Konik, dunque, anche se fa un po' di tristezza ricordare i nomi attribuiti alle prime nascite in libertà (ricordate la cavallina Amula nata nella neve?) e vedere che le nuove generazioni hanno preso il nome di Rocco e di Belen....
Anche questo è un segno dei tempi.
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All’Oasi è nato Marco, nuovo arrivato in casa konik
È nato alle 8 di domenica il terzogenito di Belen, cavalla di razza che vive all’interno dell’Oasi dei Quadri

Il piccolo è venuto alla luce con parto naturale, cui hanno assistito alcuni volontari che stavano lavorando per preparare l’apertura del parco per la stagione 2015. E proprio in onore di Marco Mattiussi, uno degli addetti che si è reso conto per primo dell’arrivo imminente del puledrino, è stato scelto il nome del nuovo nato. L’evento ha tenuto tutti col fiato sospeso, sia per l'anticipo con cui è avvenuto (circa 20 giorni), sia per le possibili complicazioni. Mamma Belen e il suo piccolo stanno bene, sono sotto controllo stretto da parte del veterinario competente e coccolati da tutti, nonostante il carattere selvaggio della loro razza.
La famiglia di konik, quindi, ora si è allargata a cinque componenti: ci sono anche papà Rocco, la figlia Ludmilla e Marius, che è nato a sua volta nell'Oasi il 27 marzo dello scorso anno. I cavalli sono gli unici mammiferi all’interno della struttura, che vanta 23 specie di uccelli per un totale di circa 500 esemplari.
E proprio la presenza della famiglia konik è un valore aggiunto per l’Oasi, che riaprirà al pubblico il 29 marzo.
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lunedì 9 febbraio 2015
Montanità, non c'è pace per Cavazzo
Ricordate le discussioni sull'Imu per i terreni agricoli? Cavazzo aveva minacciato di trasportare la sede del municipio in alta montagna, per rientrare a pieno titolo tra i Comuni esenti (vedi http://cjalcor.blogspot.it/2015/01/scampato-pericolo-il-municipio-di.html).
Poi il Governo ci aveva ripensato e Cavazzo, Bordano e Trasaghis erano rientrati nella fascia di esenzione.
Ma le dispute non sono certo finite: "Il fatto quotidiano" riporta per esempio che un deputato pugliese si è espresso pubblicamente contestando le disparità di attribuzione (Comune montano, parzialmente montano, non montano) a Comuni situati alla stessa altitudine, tra cui - appunto - Cavazzo:
Poi il Governo ci aveva ripensato e Cavazzo, Bordano e Trasaghis erano rientrati nella fascia di esenzione.
Ma le dispute non sono certo finite: "Il fatto quotidiano" riporta per esempio che un deputato pugliese si è espresso pubblicamente contestando le disparità di attribuzione (Comune montano, parzialmente montano, non montano) a Comuni situati alla stessa altitudine, tra cui - appunto - Cavazzo:
Il deputato pugliese del Pd Dario Ginefra non si capacita: “Sanmichele di Bari sta a 280 metri e l’Istat lo classifica NM, però molti altri comuni pugliesi e dell’area barese, con altezze inferiori, sono invece P, cioè quasi montani”.
E ancora: “Alberobello e Locorotondo sono alti rispettivamente 428 e 410 metri s.l.m. però sono NM, non montani, mentre altri situati a 280 metri come Sanmichele sono classificati T, cioè totalmente montani”. E via di elenco: “Cavazzo Carnico (UD),Cerreto Castello (BI), Cessole (AT), Claino con Osteno (CO),Paulilatino (OR), Pigna (IM), Porto Ceresio (VA)”. Alla stessa altezza però, insiste Ginefra, “c’è pure Mondavio, nelle Marche, che è parzialmente montano”.
Materia da giuristi, da geografi ... o da sudditi esasperati per la fiscalità?
domenica 8 febbraio 2015
Contributi della Comunità Montana per le attività produttive del territorio
"Pioggia di soldi in arrivo per la montagna" hanno titolato i giornali citando i progetti illustrati dalla Regione specificatamente indirizzati alle "Terre Alte".
In attesa che quel quadro venga definito, ci sono però iniziative concrete già avviate....
Dalla Comunità montana di Gemonese, Canal del Ferro e Valcanale arrivano contributi a sostegno degli investimenti delle Pmi appartenenti ai settori del turismo, commercio e artigianato volti ad ammodernare la base produttiva o a sviluppare nuove attività di impresa. Si tratta di agevolazioni che saranno concesse nella forma di sovvenzione diretta (contributo in conto capitale), pari al 50% sulla spesa ritenuta ammissibile, mentre il limite massimo del contributo per ciascuna domanda sarà 20 mila euro. La finalità del bando emesso è quella di innalzare il livello competitività del sistema produttivo nel suo complesso e di favorire il consolidamento del tessuto imprenditoriale locale attraverso il sostegno di progetti di investimento. Sono ammessi, quindi, a finanziamento gli investimenti per progetti d’ammodernamento dell’impresa e sviluppo di una nuova attività di impresa. Per i primi s’intende il programma d’investimento volto ad apportare innovazioni nell’impresa con l’obiettivo di conseguire un aumento della produttività, ovvero a introdurre riorganizzazione, rinnovo e aggiornamento tecnologico dell’impresa stessa.
In attesa che quel quadro venga definito, ci sono però iniziative concrete già avviate....
Soldi da investire in turismo artigianato e commercio
Potranno essere ammessi a finanziamento solo interventi localizzati nei comuni di Artegna, Bordano, Chiusaforte, Dogna, Forgaria, Gemona, Malborghetto-Valbruna, Moggio Udinese, Montenars, Pontebba, Resia, Resiutta, Tarvisio, Trasaghis e Venzone. Le domande dovranno essere presentate a mano alla sede di Pontebba della Comunità montana, in via Pramollo 16, oppure inoltrate con raccomandata postale e anche inviata a mezzo di posta elettronica certificata a: comunitamontanacanaldelferrovalcanale@certgov.fvg.it entro le 12 del 16 febbraio 2015.(g.m.)
(Messaggero Veneto, 7 febbraio 2015)
sabato 7 febbraio 2015
Prè Michele nella Cesclàns del '500, tra suggestioni celtiche e gastronomia (III)
Nuova recensione del romanzo di Paolo Morganti "Il bosco del cervo bianco", ambientato tra Cesclans, il Lago e la valle di Folcjâr: è opera di Gabriella Bucco e pubblicata sull'ultimo numero de "La Vita Cattolica"
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Con Prè Michele nel Friuli misterioso del ‘500
La Vita Cattolica, Giovedì 05 Febbraio 2015
Due libri diversi eppure connessi, possono essere letti separatamente o essere considerati l'uno la continuazione dell'altro, un protagonista Prè Michele, che abbiamo già visto all'opera con lo speziale Martino negli altri romanzi gialli di Paolo Morganti.
La Carnia magica, le leggende sui Celti e mostruose creature nascoste, la pieve di Cesclans, i paesaggi splendidi che con monti, laghi, fiumi e boschi «fanno sentire l'uomo più vicino a Dio», i crocus fioriti nella Valle perduta, la grotta dai pagans e das strias, le misteriose metamorfosi che la neve e il ghiaccio operano su faggi e castagni sono al centro de «Il bosco del cervo bianco» (Morganti editori, pp.510 euro 18), che prende il nome dalla apparizione, sotto forma animale, del dio celtico Cernunno. L'invenzione del nuovo romanzo nasce, invece, dal ritrovamento di teschi umani nella cui bocca era stata incastrata una pietra, un rito magico per impedire che i morti potessero ritornare.
Il libro è diviso in 4 capitoli con storie diverse, che si intrecciano tra loro. La prima parte racconta il matrimonio tra lo speziale Martino e Meliga e l'esilio forzato di Pre' Michele in Carnia, la seconda descrive il suo impatto con la Carnia e il superamento degli stereotipi, intrecciandosi con la persecuzione dei benandanti. La terza sezione è dedicata alla storia, mitica e misteriosa, dei Celti e al demone Crom Cruach, imprigionato sotto la rupe di Cesclans. Nel finale un terremoto libera il mostro, che sarà sconfitto da una inedita alleanza tra gli eredi dei Celti con Martino e Pre' Michele. Rispetto ai romanzi precedenti, aleggia una sottile inquietudine, una premonizione del male nascosto che persino il solare Pre' Michele coglie nel venir meno delle certezze quotidiane e nella consapevolezza che «quando meno te lo aspetti la vita può riservare delle sorprese». La vendetta di Elena Della Torre si scatenerà infatti nei confronti di Meliga, a dimostrare che il male, più che nei demoni, è insito nell'uomo.
Tutti i libri di Paolo Morganti sono ambientati storicamente nel primo Cinquecento e in diversi luoghi del Friuli per farli conoscere agli stessi friulani: dopo la bassa, la collina e Spilimbergo è ora la volta di Cesclans, piccolo paese in cui il centro della vita sociale è l'Osteria degli angeli, dove tutti si ritrovano per raccontare e il cibo non si fa, ma si crea. Qui pré Michele capisce che non sempre ciò che è familiare è positivo, anzi talora mutamenti radicali fanno scoprire luoghi e genti nuove, forse anche migliori di quelli vecchi.
Nelle lunghe serate invernali Pre' Michele inizia a scrivere un diario, che si concretizza nel libro «Le ricette di Pre' Michele. Memorie e facezie di un prete goloso, recuperate e corrette da Paolo Morganti» (pp. 145, euro 13). Convinto che nulla ci sia di più concreto del cibo per trasmettere un messaggio spirituale, scrive la sua biografia per parlare in modo ironico della vita, «poiché le cose si dimenticano se non abbiamo qualcuno a cui raccontarle». Alla chiusura di ogni capitolo segnala le ricette raccolte da chiunque gli avesse preparato qualche piatto meritevole di ricordo. Così il cibo segna le fasi della sua vita: il pesce di laguna la giovinezza passata a Marano, il maiale l'educazione come giovane chierico, il pollo la parrocchia di Varmo, nocino e torta di mele evocano gli amici Martino e Meliga. Un libro in cui le ricette ricordano luoghi, persone, avvenimenti, da leggere, ma anche da utilizzare in concreto per trovare, come Pre' Michele, nel cibo conforto.
G. B.
La Carnia magica, le leggende sui Celti e mostruose creature nascoste, la pieve di Cesclans, i paesaggi splendidi che con monti, laghi, fiumi e boschi «fanno sentire l'uomo più vicino a Dio», i crocus fioriti nella Valle perduta, la grotta dai pagans e das strias, le misteriose metamorfosi che la neve e il ghiaccio operano su faggi e castagni sono al centro de «Il bosco del cervo bianco» (Morganti editori, pp.510 euro 18), che prende il nome dalla apparizione, sotto forma animale, del dio celtico Cernunno. L'invenzione del nuovo romanzo nasce, invece, dal ritrovamento di teschi umani nella cui bocca era stata incastrata una pietra, un rito magico per impedire che i morti potessero ritornare.
Il libro è diviso in 4 capitoli con storie diverse, che si intrecciano tra loro. La prima parte racconta il matrimonio tra lo speziale Martino e Meliga e l'esilio forzato di Pre' Michele in Carnia, la seconda descrive il suo impatto con la Carnia e il superamento degli stereotipi, intrecciandosi con la persecuzione dei benandanti. La terza sezione è dedicata alla storia, mitica e misteriosa, dei Celti e al demone Crom Cruach, imprigionato sotto la rupe di Cesclans. Nel finale un terremoto libera il mostro, che sarà sconfitto da una inedita alleanza tra gli eredi dei Celti con Martino e Pre' Michele. Rispetto ai romanzi precedenti, aleggia una sottile inquietudine, una premonizione del male nascosto che persino il solare Pre' Michele coglie nel venir meno delle certezze quotidiane e nella consapevolezza che «quando meno te lo aspetti la vita può riservare delle sorprese». La vendetta di Elena Della Torre si scatenerà infatti nei confronti di Meliga, a dimostrare che il male, più che nei demoni, è insito nell'uomo.
Tutti i libri di Paolo Morganti sono ambientati storicamente nel primo Cinquecento e in diversi luoghi del Friuli per farli conoscere agli stessi friulani: dopo la bassa, la collina e Spilimbergo è ora la volta di Cesclans, piccolo paese in cui il centro della vita sociale è l'Osteria degli angeli, dove tutti si ritrovano per raccontare e il cibo non si fa, ma si crea. Qui pré Michele capisce che non sempre ciò che è familiare è positivo, anzi talora mutamenti radicali fanno scoprire luoghi e genti nuove, forse anche migliori di quelli vecchi.
Nelle lunghe serate invernali Pre' Michele inizia a scrivere un diario, che si concretizza nel libro «Le ricette di Pre' Michele. Memorie e facezie di un prete goloso, recuperate e corrette da Paolo Morganti» (pp. 145, euro 13). Convinto che nulla ci sia di più concreto del cibo per trasmettere un messaggio spirituale, scrive la sua biografia per parlare in modo ironico della vita, «poiché le cose si dimenticano se non abbiamo qualcuno a cui raccontarle». Alla chiusura di ogni capitolo segnala le ricette raccolte da chiunque gli avesse preparato qualche piatto meritevole di ricordo. Così il cibo segna le fasi della sua vita: il pesce di laguna la giovinezza passata a Marano, il maiale l'educazione come giovane chierico, il pollo la parrocchia di Varmo, nocino e torta di mele evocano gli amici Martino e Meliga. Un libro in cui le ricette ricordano luoghi, persone, avvenimenti, da leggere, ma anche da utilizzare in concreto per trovare, come Pre' Michele, nel cibo conforto.
G. B.
venerdì 6 febbraio 2015
Ultima ipotesi per la riapertura della Casa delle Farfalle: fine marzo
"Prima di Pasqua", ha scritto il MV. "Ma no, sarà l'estate", ha scritto La Vita Cattolica. In queste ore gira la previsione di un'altra data, il 29 marzo. Si parla, è ovvio, della riapertura della Casa delle Farfalle di Bordano. Nei fatti, pare che prima di arrivare alla decisione concreta, si attenda il pronunciamento ufficiale e definitivo del Tar, previsto per la fine di febbraio.
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Farfalle nella testa, la cooperativa formata da alcune delle persone che hanno gestito la casa negli ultimi 6 anni e che ha vinto la gara per gestione nei prossimi 7, non vede l'ora di riaprire i battenti e di accogliere i visitatori. "Siamo noi, insomma, e siamo tutti in fila ad aspettarvi (in realtà siamo giorno e notte attaccati a un trapano e una ramazza, per rimettere in piedi una struttura disastrata) - scrivono -. Le polemiche non sono mancate, sui giornali e sui social, negli ultimi 18 mesi, ma la sola cosa che ci interessa è di farvene vedere di tutti i colori. Noi ci siamo, le farfalle sono in viaggio, aspettiamo tutti voi".
"Prima di mettervi in macchina - avvertono i nuovi gestori - , controllate sui social e su internet, perché la sicurezza assoluta che si apra il 29 marzo non l’abbiamo ancora".
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Riapre la 'Casa delle farfalle' a Bordano
Il 29 marzo prossimo potrebbe essere il gran giorno per la struttura chiusa da tempo, ma non è ancora detta la parola fine

La "Casa delle farfalle" riapre. La notizia, tanto attesa da organizzatori e visitatori, arriva via social. C'è già una data, il 29 marzo 2015, ma la cooperativa Farfalle nella testa che ha in gestione la struttura preferisce essere prudente e non canta ancora vittoria dopo la lunga chiusura dovuta a una serie di intoppi burocratici.
La cooperativa spiega nell'annuncio che "dopo che la scorsa stagione è saltata, siamo adesso motivati a non perdere nemmeno un giorno della prossima che sta per iniziare".
Farfalle nella testa, la cooperativa formata da alcune delle persone che hanno gestito la casa negli ultimi 6 anni e che ha vinto la gara per gestione nei prossimi 7, non vede l'ora di riaprire i battenti e di accogliere i visitatori. "Siamo noi, insomma, e siamo tutti in fila ad aspettarvi (in realtà siamo giorno e notte attaccati a un trapano e una ramazza, per rimettere in piedi una struttura disastrata) - scrivono -. Le polemiche non sono mancate, sui giornali e sui social, negli ultimi 18 mesi, ma la sola cosa che ci interessa è di farvene vedere di tutti i colori. Noi ci siamo, le farfalle sono in viaggio, aspettiamo tutti voi".
"Prima di mettervi in macchina - avvertono i nuovi gestori - , controllate sui social e su internet, perché la sicurezza assoluta che si apra il 29 marzo non l’abbiamo ancora".
Ancora qualche giorno di pazienza, quindi, come scandisce il countdown avviato sul sito ufficiale della struttura.

mercoledì 4 febbraio 2015
"Di dove sei?" - "di Alto Friuli orientale"
Non tutto è deciso, poichè si avvertono riserve e divergenze; è pressoché certo, comunque, che quei pochi che hanno ipotizzato una unione dei Comuni della Val del Lago dovranno mettersi il cuore in pace.
Ce pensaiso?
...........
E’ caos sui confini delle Unioni: molti sindaci sul piede di guerra
(...) Una sola delle nove Unioni ipotizzate è “scontata”. Si tratta di quella carnica, che ricalcherà i confini della Comunità montana. Idem la prospettiva per Gemonese, Val Canale e Canal del Ferro, la cui mutazione però è tutt’altro che benvenuta. Tarvisiano e “valli” rivendicano infatti la propria identità e autonomia rispetto al Gemonese e si dicono pronti ad impugnare la legge che tacciano d’incostituzionalità. Gemona, a sua volta, mira a un progetto ben diverso da quello dell’Alto Friuli Orientale. Assieme ad Artegna, Montenars, Venzone, Bordano, Trasaghis e Osoppo ha indirizzato una richiesta “choc” all’assessore Panontin: dar vita a un’Uti di 100 mila abitanti, contraltare rispetto alla “grande Udine”, che metta insieme Gemonese, Collinare e Tarcentino.
Ma la proposta pare incompatibile con le ambizioni della Comunità collinare di trasformarsi così com’è in Uti. Il passaggio non è del tutto scontato, vista la posizione d’indecisione che interessa Flaibano (fortemente orientato verso il codroipese), ma è fondamentale per gestire il personale e mantenere il patrimonio dell’ente evitando i pesantissimi costi – si stimano oltre 2 milioni di euro – che viceversa deriverebbero dalla sua messa in liquidazione. L’Unione del Torre rischia dal canto suo diverse defezioni: da Magnano in Riviera, che oggi è in associazione intercomunale con Artegna, a Tricesimo, che storicamente è orientato più verso Udine che verso Tarcento. (...)
(Messaggero Veneto, 4 febbraio 2014)
La porposta di rirganizzazione territoriale è stata approvata oggi dalla Giunta regionale. "Si tratta - ha dichiarato l'assessore Panontin - di una proposta assolutamente 'aperta', indirizzata agli enti locali ed ai suoi amministratori, che saranno i veri protagonisti di questa importante e impegnativa riforma".
Starìn a viodi.
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martedì 3 febbraio 2015
Il teatro di Eduardo sabato a Trasaghis
Appuntamento con il teatro, sabato sera, nella sala consiliare di TRASAGHIS, in uno spettacolo de "Il teatro di Eligio" proposto dall'Amministrazione comunale.
Eduardo voleva intendere per giorni pari quelli fortunati differenziandoli da quelli negativi, dove va tutto storto, “I giorni dispari” appunto come dicono i napoletani.
Le prime recite non vanno bene, anzi malissimo, tanto che il capocomico, Antonio, decide di cambiare copione affidandosi a un dramma collaudato per le prossime serate. A questo punto è opportuno fare una prova per mettere a punto lo spettacolo, e questa prova si svolge proprio nell’albergo in cui sono alloggiati. Un malaugurato incidente al capocomico innesca e porta alla luce una relazione a dir poco intrigante fra il magnanimo Alberto e un conte, Carlo, della cui giovane a avvenente moglie si era invaghito.
Solo una finta pazzia può salvare Alberto che comunque si trova a dover scegliere il suo futuro fra il manicomio e la prigione.
In scena Marco Andreoni, Sandro Vigna, Daniela Casarsa, Eleonora D’Agostini, Francesca Lombardi, Alberto Della Mora, Gabriele Blasutig, Carlo Tirelli, Guido Covazzi, Claudio Biferali e Ornella Vidoni.
UOMO e GALANTUOMO
Commedia in tre atti di Eduardo De Filippo
Uomo e galantuomo. Una commedia in tre atti scritta nel 1922 e inserita dall’autore nel gruppo
di opere da lui chiamato “Cantata dei giorni pari”.
La trama di Uomo e galantuomo racconta di una scalcagnata compagnia teatrale in tournè, in una località di villeggiatura, ospite del ricco e giovane Alberto che li fa ospitare, a sue spese, in un albergo di una sua amica.
Una commedia che offre una serie di episodi di una comicità irresistibile assieme a momenti in cui la drammaturgia diventa chiaramente Pirandelliana, a sottolineare il periodo in cui Eduardo visse a stretto contatto con Luigi Pirandello.
Adattamento e regia di Eligio Zanier.
(informazioni tratte da http://www.ilteatrodieligio.it/produzioni-teatrali - le foto dello spettacolo sono di Massimo Pavan)
lunedì 2 febbraio 2015
L'ing. Franzil e i Comitati sullo sfangamento: "si poteva fare meglio"
I Comitati hanno diffuso una relazione dell' Ing. Dino Franzil riguardante lo
SFANGAMENTO DEL BACINO DELL’AMBIESTA, in particolare contenente
CONSIDERAZIONI RIGUARDANTI LE RICADUTE SUL LAGO DI CAVAZZO
Si tratta di un documento molto complesso, denso di analisi tecniche, con dati matematici e statistici a confronto. Per le sue caratteristiche, risulta impossibile pubblicarlo integralmente: ne viene quindi presentata qui una ampia sintesi. Chi fosse interessato a prendere visione integrale del documento, può richiederlo a comitatisalvalago@gmail.com o anche a questo Blog.
------------------
In Premessa, viene affermato che
Le considerazioni contenute nella presente relazione vanno intese come un contributo portato con quello spirito propositivo e collaborativo che ha sempre distinto il Comitato per la difesa e valorizzazione del lago, per il quale la critica rimane sterile se non è accompagnata da suggerimenti costruttivi. In questo senso vanno intesi anche alcuni passaggi più o meno critici che scaturiscono dal desiderio che le cose vengano fatte, non solo come si deve, ma anche sempre meglio, per il bene di tutti.
Per le società elettriche la pulizia degli invasi è stata prevista da tempo, ma da sempre non si è fatto molto caso alle conseguenze. Quindi, per scarsa cultura ambientalista sono stati favoriti sempre gli interessati. I concessionari, poi, hanno interpretato i fanghi a modo loro soltanto come inerti da fluitare negli alvei a vantaggio proprio ed a danno dell’ambiente.
Nessuno si è sognato, neanche lontanamente, di considerare i fanghi idraulici per quello che realmente sono, ossia come «scarti industriali,» perché derivati da un sistema artificiale che produce energia e reddito. Perciò, a tutti gli effetti, dovrebbero essere a totale carico di chi incassa gli utili e per nulla della comunità che paga attraverso il danno ambientale. Non è certo logico e corretto anteporre l’interesse privato a quello pubblico, che comunque dovrebbe avere la priorità. Purtroppo oggi si assiste all’esatto contrario.
Un’amministrazione civile e degna di rispetto dovrebbe risolvere l’iniqua situazione distruttiva creata dalla Sade con il consenso deplorevole dei politici di allora. Si tratterebbe di conservare e difendere il bene pubblico Lago di Cavazzo, dimenticato e lasciato alla mercé del fortunato «forestiero» che pensa soltanto al profitto.
Perciò è urgente e strategico rimediare alle vergogne del passato che danneggiano il presente.
Occorre adottare quanto prima una legge di tutela ambientale specifica per recuperare e risanare il lago, per isolare la centrale dal lago mediante una condotta che consegni lo scarico della centrale direttamente all’emissario del lago.
Tanto più che quella del Lago di Cavazzo è una situazione unica di lago naturale destinato a scomparire in meno di 100 anni per interrimento a causa di una centrale inquinante.
Si passa poi all'
ANALISI DELLE OPERAZIONI DI SFANGAMENTO
Dopo il disastro del Lumiei, le proteste ed i pretesi rimedi, si può affermare che non è sempre vera la frase: «cosa fatta capo ha», perché le conseguenze rimangono comunque.
Proposto lo sfangamento dell’invaso Ambiesta, il Comitato per la difesa e sviluppo del Lago disse:«Fermate le turbine!... I fanghi sono scarti industriali vanno asportati ed utilizzati… Non devono in alcun modo danneggiare l’Ambiente, il Lago di Cavazzo in particolare!»
La Regione FVG ,dando un colpo alla botte ed uno al cerchio, ritenne di limitare la concentrazione del fango diluito ad 1,5 gr/litro e di mantenere in moto le turbine.
Così, dei 35.000 mc previsti dal piano di sfangamento, dal 2/10 al 3/11-2014, sono stati aspirati da una idrovora pompante 80 liti/sec, e travasati 24.000 mc di fanghiglia nel Rio Ambiesta e poi diluita per farla arrivare nel Tagliamento.
Sulla TORBIDITA’ DA SFANGAMENTO
E’ assai discutibile sostenere che l’idrovora di sfangamento dell’invaso di Verzegnis non provochi perturbazione e solido in sospensione anche se schermata per la stessa logica funzionale della sua struttura idro meccanica. (E’ dimostrabile il torbido anche in periodo di bel tempo).
Quindi è del tutto fuorviante affermare che il trasporto di fango nel lago è causato esclusivamente dalle perturbazioni atmosferiche.
La Conclusione dell'ing. Franzil:
Dopo aver fatto le precedenti considerazioni ed analisi si può affermare che:
1) La sonda del lago dice soltanto che è stato rispettato il limite massimo di 1,5 gr/litro di fango, ritenuto garanzia per la salvezza dei pesci, ma non segnala la vera quantità in transito in parte già sedimentata.
2) Per logica deduttiva risulta che i dati forniti dalla sonda sul lago sono discordanti con quelli delle altre sonde, perciò essa non è attendibile e nemmeno è accettabile il suo errore del 50,5%.
3) La sonda del lago si è comportata da «starata» per scarti di misura eccessivi forse dovuti ad una inadeguata collocazione oppure ad altri motivi.
4) Il tutto è confermato dall’eccessiva torbidità, dal fiume di fango che ha attraversato tutto il bacino, dagli inspiegabili deflussi scuri ed olenti a cui si è assistito ed anche dall’evidente conoide di fango bianco depositato sul fondale a monte della sonda.
5) La sonda avrebbe dovuto tutelare meglio il lago.
Viene poi analizzata la QUANTITÀ DI FANGO IN ARRIVO NEL LAGO DI CAVAZZO
SUL DEPOSITO IN AMBIESTA
Dopo una analisi circostanziata, l'ing. Franzil arriva alle seguenti conclusioni:
1) La valutazione del volume di 535.000 mc di fango depositato in Ambiesta, secondo Edipower, non convince affatto perché si discosta troppo dalle valutazioni ricavabili dalla letteratura ufficiale ed anche dalle notizie verbali e fotografiche raccolte in sito nel 2002 durante lo svuotamento dell’invaso.
2) Sulla base di quanto analizzato, con i dati di Edipower, si rileva che la differenza dei valori della concentrazione dei solidi in sospensione va aumentando da 1,49 a 1,57 volte in rapporto alla concentrazione rilevata dalla sonda sul lago. Questo fatto accresce ancora di più l’incompatibilità fra i valori registrati e peggiora la correlazione fra le tre sonde. Purtroppo, tutto questo fa insorgere anche un naturale dubbio sulla corretta esecuzione tecnica dello sfangamento.
PROBLEMATICHE DALLA SONDA SUL LAGO
A ragion veduta, si può affermare che la soluzione scelta per lo sfangamento con centrale attiva, ed il posizionamento della sonda, non sono state né logiche né funzionali per una desiderata protezione del lago, in specifico anche perché:
1) La sonda collocata nel lago ad oltre 230 m dalla bocca della galleria di scarico delle turbine non è adeguata per controllare la quantità di fango.
2) A monte di quella postazione vi sono almeno 300.000 mc d’acqua che diluiscono il fango in arrivo e circa 40.000 mq di fondale su cui si deposita l’inerte di prima sedimentazione.
3) Per quanto è stato illustrato sembra che la sonda sia stata collocata piuttosto in superficie e non ad una profondità adatta valida per rilevare concentrazioni coerenti, utili per fare deduzioni significative. Ciò rende impossibile valutare la vera quantità di fango in transito. Infatti, in quella zona di lago l’acqua rallenta notevolmente e favorisce la sedimentazione del fango anche più fine di quello precedente, aumentando così la diluizione.
4) La collocazione di questa sonda, per le varie incongruenze rilevate, si può affermare sia tecnicamente errata. (…)
Conclusione.
Le risultanze precedenti e quest’ultimo dato inducono a ritenere che, in pratica, la soluzione adottata sia stata più di facciata per la gente che a tutelare veramente il lago. Quindi, secondo noi, si poteva fare meglio.
Le CONSIDERAZIONI FINALI riguardano tutte le tematiche trattate e in particolare le spiegazioni date dalla Regione in merito alla torbidità del Lago:
Relative alle ricadute sul lago di Cavazzo delle operazioni di sfangamento:
1) Serietà richiedeva che la sonda fosse collocata nell’immediato scarico della centrale nel lago. Averla collocata a notevole distanza da esso è servito a far diluire il fango in uscita in una maggiore massa di acqua e quindi a rilevare valori di concentrazione di gran lunga inferiori. Potremmo provocatoriamente affermare che se la sonda fosse stata collocata nella superficie lacustre meridionale avrebbe rilevato risultati ancora più «soddisfacenti».
Se si ha la pretesa di attuare lo sfangamento con trasparenza, allora questa va garantita fino in fondo.
2) stando ai dati ufficiali forniti, sottolineiamo «forniti», il valore massimo di concentrazione di 1,5 gr/lt presentato come una severa tutela del lago si è rivelato invece un’ampia concessione ad Edipower, che avrebbe potuto riversare nel lago quantità di fango triple della concentrazione media fornita di 0,047 gr/lt e doppia di quella massima di 0,80-0,90 gr/lt verificatasi il 29 novembre .quando la superficie del lago è diventata cioccolatata.
Ciò significa che per raggiungere il limite di 1,5 gr/lt nel lago si sarebbe potuto riversare brodaglia. Un vero disastro autorizzato! Un dato da tenere presente per il futuro.
3) la spiegazione fornita del fenomeno della superficie lattiginosa del lago verificatosi il 13 novembre con la presenza di particelle sospese particolarmente fini è semplicistica e non convincente.
Perché si è verificato solo quel giorno e non negli altri in cui il colore era diverso? Qual era la composizione di quelle particelle e la loro origine?
4) Non è credibile l’attribuzione del picco di concentrazione del 29 novembre, che ha cioccolatato il lago, alla frana sul torrente Miozza, per il semplice fatto che l’apporto di tale torrente al bacino dell’Ambiesta - che in quel tempo si presentava non torbido - è irrilevante rispetto alla complessiva massa d’acqua che lo alimenta. Pertanto, la causa di tale picco è ben altra, probabilmente interna al bacino Ambiesta nel punto di sfangamento, che la conclamata trasparenza richiederebbe fosse resa nota.
5) Comunque, al di là delle cifre dettagliate, con questa operazione di sfangamento nel lago è finita una grande quantità di fango che contribuisce al suo interrimento.
Altro che solo «effetto estetico»! Altro che «concentrazione prossima allo zero»!
6) Si pone quindi, ancora con maggiore forza, il dovere di salvare il Lago di Cavazzo dalla scomparsa soffocato dal fango, convogliando lo scarico della centrale fuori dal lago, e di valorizzarlo e proteggerlo con una legge speciale.
E’ una questione di civiltà! E’ una questione davanti alla quale nessuno può permettersi di voltarsi dall’altra parte!
7) Alla Regione e ad Edipower che, rispetto al disastro dello sfangamento del bacino del Lumiei, sullo sfangamento di quello dell’Ambiesta affermano che «tutto va ben, madama la marchesa!» ricordiamo che in questo ultimo caso l’operazione è andata meglio di quella precedente anche grazie alle critiche ed alla vigilanza dei comitati e della popolazione e che, comunque, bisogna fare ancora meglio. Inoltre, a coloro che preferiscono non vedere, ricordiamo che nel bacino dell’Ambiesta è rimasta un’enorme quantità di fango che continuerà ad accumularsi sino a che tra 140 anni l’intero bacino sarà interrato, come risulta anche dallo studio dell’ing. Franco Garzon (pag.32).
Come si pensa di risolvere questo problema, parziale rispetto a quello più ampio costituito dall’arcaico e rozzo sistema derivatorio attuato dalla SADE, che con indiscriminate derivazioni ha rapinato le acque della Carnia per trarne il massimo profitto? In modo responsabile o lasciandolo a carico delle future generazioni?
Il Comitato ritiene necessaria una revisione generale di questo «sistema-dinosauro» al fine di garantire un uso delle acque plurimo, diversificato, rispettoso dell’ambiente, a vantaggio delle popolazioni residenti
8) Infine, riproponiamo la domanda avanzata più volte, ma rimasta senza risposta: nel pomeriggio del giorno 12 novembre, guarda caso proprio precedente il giorno di «sbiancamento» del lago, tra le persone che con un camioncino di Edipower sulla riva ed una barca a motore agivano sulla sonda, c’era qualche rappresentante degli enti regionali (controllori) o solo dipendenti di Edipower (controllato)?
Trasparenza richiede una risposta, diversamente qualcuno potrebbe anche pensare male.
9) Dalle vicende dello sfangamento degli invasi Lumiei ed Ambiesta, risulta chiaro che la normativa vigente è inadeguata. La strategia fluviale non può essere adottata per i laghi, altrimenti sfangare significa inquinare. Neppure il «Testo unico sulle acque» (D.L.11/05/1999, n. 52 – art. 40 – Dighe) che delega le regioni ad adottare apposita disciplina per lo sfangamento, tiene conto delle due situazioni e del danno che può subire l’ambiente. Questa è una grave lacuna!
Riversare fango in un lago, da sempre isolato, che si ritrova ad ingoiare il fango di un immissario artificiale, provoca un danno innaturale, irreversibile, continuo ed irrimediabile, perché causa il suo interrimento e la sua scomparsa! Quindi i fanghi a monte dovrebbero essere prelevati come scarti industriali e portati altrove sopportando le spese come manutenzione dell’impianto, senza lasciare defluire nemmeno un grammo. Diversamente parliamo di inquinamento e di ambiente inutilmente, soltanto per fare salotto.
Quindi, occorre adeguare la normativa nel senso citato. Far rispettare il diritto di tutti e non favorire soltanto i gestori. In altre parole dare ad ognuno il suo e proteggere l’ambiente che è di tutti.
SFANGAMENTO DEL BACINO DELL’AMBIESTA, in particolare contenente
CONSIDERAZIONI RIGUARDANTI LE RICADUTE SUL LAGO DI CAVAZZO
Si tratta di un documento molto complesso, denso di analisi tecniche, con dati matematici e statistici a confronto. Per le sue caratteristiche, risulta impossibile pubblicarlo integralmente: ne viene quindi presentata qui una ampia sintesi. Chi fosse interessato a prendere visione integrale del documento, può richiederlo a comitatisalvalago@gmail.com o anche a questo Blog.
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In Premessa, viene affermato che
Le considerazioni contenute nella presente relazione vanno intese come un contributo portato con quello spirito propositivo e collaborativo che ha sempre distinto il Comitato per la difesa e valorizzazione del lago, per il quale la critica rimane sterile se non è accompagnata da suggerimenti costruttivi. In questo senso vanno intesi anche alcuni passaggi più o meno critici che scaturiscono dal desiderio che le cose vengano fatte, non solo come si deve, ma anche sempre meglio, per il bene di tutti.
Per le società elettriche la pulizia degli invasi è stata prevista da tempo, ma da sempre non si è fatto molto caso alle conseguenze. Quindi, per scarsa cultura ambientalista sono stati favoriti sempre gli interessati. I concessionari, poi, hanno interpretato i fanghi a modo loro soltanto come inerti da fluitare negli alvei a vantaggio proprio ed a danno dell’ambiente.
Nessuno si è sognato, neanche lontanamente, di considerare i fanghi idraulici per quello che realmente sono, ossia come «scarti industriali,» perché derivati da un sistema artificiale che produce energia e reddito. Perciò, a tutti gli effetti, dovrebbero essere a totale carico di chi incassa gli utili e per nulla della comunità che paga attraverso il danno ambientale. Non è certo logico e corretto anteporre l’interesse privato a quello pubblico, che comunque dovrebbe avere la priorità. Purtroppo oggi si assiste all’esatto contrario.
Un’amministrazione civile e degna di rispetto dovrebbe risolvere l’iniqua situazione distruttiva creata dalla Sade con il consenso deplorevole dei politici di allora. Si tratterebbe di conservare e difendere il bene pubblico Lago di Cavazzo, dimenticato e lasciato alla mercé del fortunato «forestiero» che pensa soltanto al profitto.
Perciò è urgente e strategico rimediare alle vergogne del passato che danneggiano il presente.
Occorre adottare quanto prima una legge di tutela ambientale specifica per recuperare e risanare il lago, per isolare la centrale dal lago mediante una condotta che consegni lo scarico della centrale direttamente all’emissario del lago.
Tanto più che quella del Lago di Cavazzo è una situazione unica di lago naturale destinato a scomparire in meno di 100 anni per interrimento a causa di una centrale inquinante.
Si passa poi all'
ANALISI DELLE OPERAZIONI DI SFANGAMENTO
Dopo il disastro del Lumiei, le proteste ed i pretesi rimedi, si può affermare che non è sempre vera la frase: «cosa fatta capo ha», perché le conseguenze rimangono comunque.
Proposto lo sfangamento dell’invaso Ambiesta, il Comitato per la difesa e sviluppo del Lago disse:«Fermate le turbine!... I fanghi sono scarti industriali vanno asportati ed utilizzati… Non devono in alcun modo danneggiare l’Ambiente, il Lago di Cavazzo in particolare!»
La Regione FVG ,dando un colpo alla botte ed uno al cerchio, ritenne di limitare la concentrazione del fango diluito ad 1,5 gr/litro e di mantenere in moto le turbine.
Così, dei 35.000 mc previsti dal piano di sfangamento, dal 2/10 al 3/11-2014, sono stati aspirati da una idrovora pompante 80 liti/sec, e travasati 24.000 mc di fanghiglia nel Rio Ambiesta e poi diluita per farla arrivare nel Tagliamento.
Sulla TORBIDITA’ DA SFANGAMENTO
E’ assai discutibile sostenere che l’idrovora di sfangamento dell’invaso di Verzegnis non provochi perturbazione e solido in sospensione anche se schermata per la stessa logica funzionale della sua struttura idro meccanica. (E’ dimostrabile il torbido anche in periodo di bel tempo).
Quindi è del tutto fuorviante affermare che il trasporto di fango nel lago è causato esclusivamente dalle perturbazioni atmosferiche.
La Conclusione dell'ing. Franzil:
Dopo aver fatto le precedenti considerazioni ed analisi si può affermare che:
1) La sonda del lago dice soltanto che è stato rispettato il limite massimo di 1,5 gr/litro di fango, ritenuto garanzia per la salvezza dei pesci, ma non segnala la vera quantità in transito in parte già sedimentata.
2) Per logica deduttiva risulta che i dati forniti dalla sonda sul lago sono discordanti con quelli delle altre sonde, perciò essa non è attendibile e nemmeno è accettabile il suo errore del 50,5%.
3) La sonda del lago si è comportata da «starata» per scarti di misura eccessivi forse dovuti ad una inadeguata collocazione oppure ad altri motivi.
4) Il tutto è confermato dall’eccessiva torbidità, dal fiume di fango che ha attraversato tutto il bacino, dagli inspiegabili deflussi scuri ed olenti a cui si è assistito ed anche dall’evidente conoide di fango bianco depositato sul fondale a monte della sonda.
5) La sonda avrebbe dovuto tutelare meglio il lago.
Viene poi analizzata la QUANTITÀ DI FANGO IN ARRIVO NEL LAGO DI CAVAZZO
SUL DEPOSITO IN AMBIESTA
Dopo una analisi circostanziata, l'ing. Franzil arriva alle seguenti conclusioni:
1) La valutazione del volume di 535.000 mc di fango depositato in Ambiesta, secondo Edipower, non convince affatto perché si discosta troppo dalle valutazioni ricavabili dalla letteratura ufficiale ed anche dalle notizie verbali e fotografiche raccolte in sito nel 2002 durante lo svuotamento dell’invaso.
2) Sulla base di quanto analizzato, con i dati di Edipower, si rileva che la differenza dei valori della concentrazione dei solidi in sospensione va aumentando da 1,49 a 1,57 volte in rapporto alla concentrazione rilevata dalla sonda sul lago. Questo fatto accresce ancora di più l’incompatibilità fra i valori registrati e peggiora la correlazione fra le tre sonde. Purtroppo, tutto questo fa insorgere anche un naturale dubbio sulla corretta esecuzione tecnica dello sfangamento.
PROBLEMATICHE DALLA SONDA SUL LAGO
A ragion veduta, si può affermare che la soluzione scelta per lo sfangamento con centrale attiva, ed il posizionamento della sonda, non sono state né logiche né funzionali per una desiderata protezione del lago, in specifico anche perché:
1) La sonda collocata nel lago ad oltre 230 m dalla bocca della galleria di scarico delle turbine non è adeguata per controllare la quantità di fango.
2) A monte di quella postazione vi sono almeno 300.000 mc d’acqua che diluiscono il fango in arrivo e circa 40.000 mq di fondale su cui si deposita l’inerte di prima sedimentazione.
3) Per quanto è stato illustrato sembra che la sonda sia stata collocata piuttosto in superficie e non ad una profondità adatta valida per rilevare concentrazioni coerenti, utili per fare deduzioni significative. Ciò rende impossibile valutare la vera quantità di fango in transito. Infatti, in quella zona di lago l’acqua rallenta notevolmente e favorisce la sedimentazione del fango anche più fine di quello precedente, aumentando così la diluizione.
4) La collocazione di questa sonda, per le varie incongruenze rilevate, si può affermare sia tecnicamente errata. (…)
Conclusione.
Le risultanze precedenti e quest’ultimo dato inducono a ritenere che, in pratica, la soluzione adottata sia stata più di facciata per la gente che a tutelare veramente il lago. Quindi, secondo noi, si poteva fare meglio.
Le CONSIDERAZIONI FINALI riguardano tutte le tematiche trattate e in particolare le spiegazioni date dalla Regione in merito alla torbidità del Lago:
Relative alle ricadute sul lago di Cavazzo delle operazioni di sfangamento:
1) Serietà richiedeva che la sonda fosse collocata nell’immediato scarico della centrale nel lago. Averla collocata a notevole distanza da esso è servito a far diluire il fango in uscita in una maggiore massa di acqua e quindi a rilevare valori di concentrazione di gran lunga inferiori. Potremmo provocatoriamente affermare che se la sonda fosse stata collocata nella superficie lacustre meridionale avrebbe rilevato risultati ancora più «soddisfacenti».
Se si ha la pretesa di attuare lo sfangamento con trasparenza, allora questa va garantita fino in fondo.
2) stando ai dati ufficiali forniti, sottolineiamo «forniti», il valore massimo di concentrazione di 1,5 gr/lt presentato come una severa tutela del lago si è rivelato invece un’ampia concessione ad Edipower, che avrebbe potuto riversare nel lago quantità di fango triple della concentrazione media fornita di 0,047 gr/lt e doppia di quella massima di 0,80-0,90 gr/lt verificatasi il 29 novembre .quando la superficie del lago è diventata cioccolatata.
Ciò significa che per raggiungere il limite di 1,5 gr/lt nel lago si sarebbe potuto riversare brodaglia. Un vero disastro autorizzato! Un dato da tenere presente per il futuro.
3) la spiegazione fornita del fenomeno della superficie lattiginosa del lago verificatosi il 13 novembre con la presenza di particelle sospese particolarmente fini è semplicistica e non convincente.
Perché si è verificato solo quel giorno e non negli altri in cui il colore era diverso? Qual era la composizione di quelle particelle e la loro origine?
4) Non è credibile l’attribuzione del picco di concentrazione del 29 novembre, che ha cioccolatato il lago, alla frana sul torrente Miozza, per il semplice fatto che l’apporto di tale torrente al bacino dell’Ambiesta - che in quel tempo si presentava non torbido - è irrilevante rispetto alla complessiva massa d’acqua che lo alimenta. Pertanto, la causa di tale picco è ben altra, probabilmente interna al bacino Ambiesta nel punto di sfangamento, che la conclamata trasparenza richiederebbe fosse resa nota.
5) Comunque, al di là delle cifre dettagliate, con questa operazione di sfangamento nel lago è finita una grande quantità di fango che contribuisce al suo interrimento.
Altro che solo «effetto estetico»! Altro che «concentrazione prossima allo zero»!
6) Si pone quindi, ancora con maggiore forza, il dovere di salvare il Lago di Cavazzo dalla scomparsa soffocato dal fango, convogliando lo scarico della centrale fuori dal lago, e di valorizzarlo e proteggerlo con una legge speciale.
E’ una questione di civiltà! E’ una questione davanti alla quale nessuno può permettersi di voltarsi dall’altra parte!
7) Alla Regione e ad Edipower che, rispetto al disastro dello sfangamento del bacino del Lumiei, sullo sfangamento di quello dell’Ambiesta affermano che «tutto va ben, madama la marchesa!» ricordiamo che in questo ultimo caso l’operazione è andata meglio di quella precedente anche grazie alle critiche ed alla vigilanza dei comitati e della popolazione e che, comunque, bisogna fare ancora meglio. Inoltre, a coloro che preferiscono non vedere, ricordiamo che nel bacino dell’Ambiesta è rimasta un’enorme quantità di fango che continuerà ad accumularsi sino a che tra 140 anni l’intero bacino sarà interrato, come risulta anche dallo studio dell’ing. Franco Garzon (pag.32).
Come si pensa di risolvere questo problema, parziale rispetto a quello più ampio costituito dall’arcaico e rozzo sistema derivatorio attuato dalla SADE, che con indiscriminate derivazioni ha rapinato le acque della Carnia per trarne il massimo profitto? In modo responsabile o lasciandolo a carico delle future generazioni?
Il Comitato ritiene necessaria una revisione generale di questo «sistema-dinosauro» al fine di garantire un uso delle acque plurimo, diversificato, rispettoso dell’ambiente, a vantaggio delle popolazioni residenti
8) Infine, riproponiamo la domanda avanzata più volte, ma rimasta senza risposta: nel pomeriggio del giorno 12 novembre, guarda caso proprio precedente il giorno di «sbiancamento» del lago, tra le persone che con un camioncino di Edipower sulla riva ed una barca a motore agivano sulla sonda, c’era qualche rappresentante degli enti regionali (controllori) o solo dipendenti di Edipower (controllato)?
Trasparenza richiede una risposta, diversamente qualcuno potrebbe anche pensare male.
9) Dalle vicende dello sfangamento degli invasi Lumiei ed Ambiesta, risulta chiaro che la normativa vigente è inadeguata. La strategia fluviale non può essere adottata per i laghi, altrimenti sfangare significa inquinare. Neppure il «Testo unico sulle acque» (D.L.11/05/1999, n. 52 – art. 40 – Dighe) che delega le regioni ad adottare apposita disciplina per lo sfangamento, tiene conto delle due situazioni e del danno che può subire l’ambiente. Questa è una grave lacuna!
Riversare fango in un lago, da sempre isolato, che si ritrova ad ingoiare il fango di un immissario artificiale, provoca un danno innaturale, irreversibile, continuo ed irrimediabile, perché causa il suo interrimento e la sua scomparsa! Quindi i fanghi a monte dovrebbero essere prelevati come scarti industriali e portati altrove sopportando le spese come manutenzione dell’impianto, senza lasciare defluire nemmeno un grammo. Diversamente parliamo di inquinamento e di ambiente inutilmente, soltanto per fare salotto.
Quindi, occorre adeguare la normativa nel senso citato. Far rispettare il diritto di tutti e non favorire soltanto i gestori. In altre parole dare ad ognuno il suo e proteggere l’ambiente che è di tutti.
domenica 1 febbraio 2015
Cassette di plastica, rifiuti negati. Problema di informazione o di sensibilità?
Sul sito del Comune di Trasaghis e degli altri Comuni aderenti è stato pubblicata una nota di A&T 2000 (la Società che da gennaio gestisce il servizio di raccolta differenziata). Con un linguaggio di non semplice lettura , segnala che le cassette in plastica usate per la frutta e la verdura non vanno più raccolte negli imballaggi destinati alle plastiche e lattine ma conferite con le "plastiche dure" (?) "nei comuni dove tale servizio risulta istituito" (?).
Quanto ciò sia comprensibile, lo si verifica solo dalle cassette di plastica non raccolte lasciate ora abbandonate dal servizio. Par di capire che il tutto non derivi da valutazioni ecologiche ma (come era successo all'inizio per i bicchieri di plastica) solo da mancate convenzioni sullo smaltimento.
E' troppo chiedere una migliore informazione e un maggior rispetto degli "utenti"? Ai lettori la parola.
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