Nel libro di Anselmo Picco "Cuant che las caneles a cressevin tai boçs da conserve", da poco presentato a Bordano, vi sono diverse testimonianze dirette che si rifanno alla dura esperienza della deportazione nei lager tedeschi durante la seconda guerra mondiale.
Un contributo significativo, nel giorno della "Giornata della Memoria", può venire, per esempio, dal racconto della esperienza di Mattia Picco di Bordano, classe 1920 (Matìe da Menone per i suoi compaesani).
Soldato del XXXIII Corpo di Fanteria, sul fronte jugoslavo, venne catturato dai tedeschi dopo l'8 settembre e mandato prima nel Campo IV B nei pressi di Berlino poi, nelle vicinanze, a lavorare nella fabbrica dell'Arado, dove si costruivano aerei da guerra. Durante l'estate del '44 venne trasferito in un campo vicino a Lubecca, per ritornare poi presso Berlino, sino alla Liberazione. Ecco uno stralcio del suo racconto sugli ultimi giorni passati nel Lager e sulle peripezie vissute per ritornare a casa:
A questo punto i tedeschi cominciarono a distruggere tutti i macchinari della fabbrica. Restammo tre giorni in balia degli eventi, però il cibo ci veniva distribuito regolarmente. Il terzo giorno ci radunarono in mezzo al cortile della fabbrica dove ci divisero in due gruppi: uno lo mandarono nella baracca e l'altro lo mandarono a cercare un superiore tedesco morto nel bombardamento. Io ero fra questi ultimi ma l'ufficiale tedesco non lo trovammo. (...)
Il giorno seguente il mio amico milanese venne a cercarmi perchè dovevano radunarci e poi scortarci in marcia fino all'autobahnn (autostrada). Ci fecero prendere però una strada secondaria perchè sull'autostrada si stavano ritirando le truppe tedesche in fuga dal nemico. Noi eravamo in mezzo a due fuochi: da una parte i russi, dall'altra gli americani. Ci fecero attraversammo il fiume Elba su un battello e poi ci abbandonarono al nostro destino. Camminammo per tre giorni nel bosco, allo sbando, finchè ci imbattemmo in un soldato delle SS che parlava bene l'italiano perchè aveva combattuto in Abruzzo e che ci regalò un po' di biscotti . Continuammo a camminare ancora per tutta la notte e incontrammo un gruppo di neri (americani) fatti prigionieri dai tedeschi. Proseguimmo e, giunti in un campo, vedemmo tante bandiere bianche. Pensavamo di trovarci in un ospedale, invece era un campo di soldati americani. Lì ci alloggiarono in una specie di teatro e ci diedero da mangiare. Restammo in questo luogo un paio di giorni. Poi ci fecero riattraversare il fiume Elba e ci portarono ad Allen Sud Salen in una caserma diroccata in seguito ad un bombardamento. Lì incontrai persone di ogni razza.
Ci fermammo in questo campo fino agli ultimi giorni di giugno. Ci davano da mangiare regolarmente, e il cibo era sicuramente migliore di quello che ci distribuivano i tedeschi. Ricordo ancora il sapore di una zuppa, una specie di “panade”. Nel frattempo noi avevamo preso nella cantina della caserma tedesca dei piselli, della farina, della margarina e anche un po' di cioccolata. (...) In luglio da qui, ci trasferirono nella fortezza di Ulm: lì c'erano diversi friulani fra i quali alcuni di Gemona. Il campo era comandato dai francesi che non ce l'avevano “molto buona” con noi italiani, perchè ci accusavano di averli “pugnalati alla schiena”.
Ci perquisivano tutti e se ci trovavano addosso roba di valore ce la prendevano e se la tenevano loro. Passati quindici giorni circa, ci accompagnarono in stazione e ci inviarono verso l'Austria. Mentre aspettavamo il nostro convoglio, c'era un treno americano fermo sui binari: noi italiani salimmo e raccattammo tutto ciò che poteva esserci utile, soprattutto cioccolata, biscotti e gallette. Avevamo paura ma tutti andammo ugualmente a rubare qualcosa. Giunti in Austria, in una caserma, ci fecero lavare e in seguito visitare. Poi ci mandarono al Brennero dove militari italiani ci diedero dei panini e qualcosa da bere. Ripartimmo in treno e nei pressi di Verona a Pescantinas, ci fermarono in un binario morto. Qui incontrai alcuni conoscenti di Braulins i quali mi informarono che lo Stato aveva messo a disposizione alcune corriere per raggiungere le varie regioni d'Italia. Quella diretta in Friuli era ormai al completo così restammo a piedi. Per fortuna passò un camion diretto in Friuli, per la precisione a Nimis, che trasportava scarti di sedie. Ci diede una passaggio fino a Tricesimo dove arrivammo a mezzanotte passata. Sulla strada viaggiavano tanti camion inglesi che riconobbi perchè trascinavano dietro al mezzo la solita catena di circa cinquanta centimetri ( di cui però ignoravo e ignoro tutt'ora l'utilizzo). Nessuno di loro ci caricò. Per fortuna più tardi si fermò un camioncino, con a bordo i fratelli Tono e Bono di Venzone, i quali gestivano una macelleria. Per prima cosa si assicurarono che non avessimo pidocchi e al nostro diniego ci fecero salire. Facevano anche i contrabbandieri e avevano il furgone carico di mais. Ci chiesero di dove eravamo e noi rispondemmo che uno era di Braulins, che uno era di Bordano e che il terzo, che si era unito a noi, abitava ad Osoppo. Quest'ultimo scese all'altezza del bivio che dall'attuale ristorante “Il Fungo” porta ad Osoppo, mentre io e Antonio Feragotto (suocero di Pieri Pacheti) scendemmo in Campagnola all'incrocio dove attualmente c'è il semaforo. Siccome il ponte di Braulins era stato distrutto attraversammo il Tagliamento a nuoto, perchè a causa del buio, non avevamo visto che poco più a valle avevano costruito un ponte provvisorio. Antonio mi chiese se volevo passare la notte a casa sua, ma io desideravo arrivare a Bordano, così mi incamminai verso il mio paese. La prima persona che incontrai fu Tonine, la sorella di Letizia , la quale, quando mi riconobbe, cominciò a gridare ad alta voce il mio nome. Chiamò i miei genitori che, da quando la nostra casa era stata bruciata, dormivano sul fienile. Era il 29 luglio e ricordo che era domenica.
Per l'intera testimonianza, si rimanda naturalmente alla lettura del libro.
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