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Poiché sono stato cortesemente citato, intervengo con alcune riflessioni, frutto di una ricerca pluridecennale sulla vicenda dell'eccidio di Avasinis. Nel discorso del 2 maggio 1994 l'allora sindaco di Trasaghis lesse ampi brani di un documento intitolato "Dal diario di Don Francesco Zossi". Io conoscevo quel documento in quanto era stato pubblicato sul Bollettino Parrocchiale di Avasinis nel maggio del 1966: al Sindaco chiesi pertanto non dove fosse reperibile tale fonte, bensì se egli avesse avuto degli elementi per accertarne la veridicità. Allora non si conosceva infatti il reale contenuto del diario di don Zossi e ciò dava appunto spazio a "fantasiose testimonianze su presunti segreti e reconditi fini". In realtà, avrei scoperto più tardi, nemmeno quello era il vero diario di don Zossi bensì il sunto che ne aveva fatto un altro sacerdote, don Cargnelutti, nel libro "Preti patrioti". Non una fonte originale, dunque, ma di "secondo livello", se non di secondo piano.
Si può quindi dar atto all'ex sindaco di Trasaghis di aver contribuito a diradare "quella cappa pesante ed astiosa" così come, onestamente, per le stesse finalità, credo si debba dare esplicito riconoscimento all'importanza - storica, culturale ed umana - della pubblicazione integrale del diario di don Zossi e poi della realizzazione del video "Avasinis luogo della memoria" di Dino Ariis (distribuito dal Comune a tutte le famiglie) con lo spazio dato alle testimonianze dirette di quei dolorosi momenti.
Il problema, però, credo sia un altro e cioè che, in fondo, di fronte ai fatti di Avasinis, si sia assistito e si assista ancora al permanere di posizioni preconcette, nel confronto - spesso caratterizzato dall'incomunicabilità - tra chi ritiene si debba dare solo e sempre addosso ai "todescs sassìns" o ai "partigjans laris".
A quasi settant'anni di distanza, in realtà, se conosciamo abbastanza bene le dinamiche dell'eccidio, non sappiamo ancora con precisione quali siano state le forze in campo né soprattutto quali siano state le motivazioni scatenanti. E' forse semplicistico parlare di "attacco alle truppe nazi - fasciste in ritirata e da cui originò la rappresaglia" poiché non si sa ancora se tale atto ci sia stato, né quando, né dove; non si sa se l'azione su Avasinis sia stata una rappresaglia, una reazione istintiva o preventivamente deliberata: vi sono indizi ed elementi che sembrano ora spingere in una direzione ora in un'altra. La stessa "fonte primaria" non è univoca: tanto per fare un esempio, don Zossi nel Libro storico dice "al mattino del giorno 2 maggio i nostri partigiani cominciano a tirare dal ciglione sopra il cimitero", mentre nel Diario dice che "i tedeschi raggiungono il paese dopo una piccola resistenza opposta dai partigiani" mentre nella versione di Cargnelutti si dice che "i tedeschi puntano decisamente sul paese", azione cui fa seguito "una sparatoria precisa".
Tanti elementi discordanti, dunque: per cercare di arrivare a un quadro maggiormente definito io ho cercato di mettere assieme e confrontare fonti orali (34 solo quelle citate nella documentazione presentata a integrazione del Diario), fonti bibliografiche (una cinquantina i libri e gli articoli che si occupano di Avasinis), fonti archivistiche (oltre a quelle locali, anche all'estero).
Il lavoro è dunque complesso: è attivo da anni anche un Blog sull'argomento (http://blog.libero.it/2diMaj/) che presenta testimonianze, indicazioni bibliografiche, materiali di approfondimento (obiettivamente diradati, negli ultimi periodi, proprio per lo "stallo" in cui sta versando la ricerca).
La finalità ultima è comunque quella di evitare che possa essere considerata veritiera, col passare del tempo e la perdita dei testimoni diretti, la frase di Longanesi: "Quando potremo conoscere la verità, essa non interesserà più a nessuno".
Pieri Stefanutti
Nel rispondere a Pieri, premetto che il mio intervento sull’eccidio di Avasinis, non aveva alcun intendimento di appropriazione di meriti altrui, di primogenitura, e men che meno di giudizi e di condanne.
RispondiEliminaLa mia riflessione, evidentemente da lui forse non colta, era ben più profonda della sola cronaca dei fatti e relativa alle testimonianze di chi ha vissuto quella esperienza, poi strumentalizzata e di cui fù, in parte, vittima anche il Diario di don Zossi.
Nel titolo infatti uso l’aggettivo “ignoranza” nella sua stretta essenza: vale a dire “essere all’oscuro di fatti e vicissitudini”, che porta a ricostruzioni spesso non veritiere e a diverse interpretazioni,
Comunque so bene che il diario di Don Zossi fù pubblicato nel 1966 dal Bollettino Parrocchiale ma allora mi chiedo: perché aspettare fino al 1994 affinché un rappresentante delle Istituzioni, seppur cautamente, mettesse il dito in questa piaga per cercare di sanarla?
Sapevo e so che quel libretto da me casualmente trovato non è l’originale e, infatti, così lo definisco:: “…capitò tra le mie mani, un opuscoletto stampato di poche pagine che mi colpì subito. Apertolo e lette poche righe, mi accorsi che non era altro che un riassunto del diario di Don Zossi, contenente oltre ad un risicato resoconto dei fatti accaduti nei due giorni dell’eccidio di Avasinis, anche un elenco dettagliato delle vittime …”
Furono questi i motivi che mi spinsero allora a leggerlo in parte sulla piazza ad Avasinis, non pronunciando però la frase:” A nemico che si ritira, fare ponti d’oro”, non essendo essa supportata da elementi certi sulla dinamica degli eventi che, al la di chi e se sparò per primo, può essere anche inserita in un contesto di difesa o di attacco, od anche alla stregua dei tanti proverbi e detti che derivano dall’esperienza umana, quale invito spontaneo a meditare maggiormente su medesime situazioni.
Rimane il fatto dell’uccisione atroce e a sangue freddo di inermi esseri umani, il cui riposo meriterebbe di essere circondato non dall’odio e dall’astio, (ne hanno già subito abbastanza in vita), bensì dal nostro affetto e dal ricordo di un sacrificio non vano che ci portò a viveri liberi.
I nostri defunti non meritano di essere strattonati, soprattutto quelli strappati dalla violenza alle loro case e ai loro cari, essi appartengono a tutti noi in quanto uniti per sempre nei ricordi comuni di un passato chiamato storia e che,, purtroppo e troppo spesso, nulla riesce ad insegnarci.
Questo, e solo questo era il mio intendimento.
Mandi!
Dino RABASSI