Il prof. Sergio Paradisi ha pubblicato sull'ultimo numero del Notiziario dell'Ente Tutela Pesca un interessante articolo sulla presenza del coregone nel Lago e, in generale, sulla situazione presente (e futura?) del patrimonio ittico del bacino. Ne riproduciamo ampi stralci, invitando a esprimere la propria opinione i pescatori ma anche quanti, digiuni di ami e lenze, hanno a cuore la salute del Lago.
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C'è ma non si vede. Accertata la presenza del coregone
nel lago di Cavazzo
(…) La presenza del coregone nel lago trae origine da semine effettuate 25 anni fa; la prima immissione fu di un milione di avannotti provenienti da Peschiera del Garda fu effettuata infatti nel 1999 e venne ripetuta nei due anni successivi con analoghi quantitativi. (…)
Il presupposto era dato dal fatto che gli Autori che avevano condotto ricerche a Cavazzo alla fine dell'800 (...) erano tutti concordi nel segnalare nel lago la presenza dell'alosa (Alosa fallax), specie del resto ben nota alle popolazioni rivierasche (...) col nome di sardelòn. (...)
Nell'estinzione dell'alosa ebbero verosimilmente un ruolo la pesca e forse anche un crollo demografico fisiologico della popolazione; ma il colpo di grazia venne dallo sversamento nel bacino lacustre delle acque di scarico della centrale idroelettrica di Somplago, derivate dal Tagliamento e dagli affluenti del suo alto corso. (...)
Dopo la sua immissione nel lago il coregone è stato per molti anni un fantasma, tanto da far ritenere possibile la sua scomparsa dal bacino. Sennonché nel 2011 la società Edipower, che gestisce l'impianto idroelettrico di Somplago, affida un incarico per un'indagine conoscitiva sull'ittiofauna del lago a un pool di esperti cui fanno Capo ricercatori del Dipartimento di Scienze della Vita dell'Università degli Studi di Trieste e della società Aquaprogram di Vicenza, operanti sotto il controllo del Dipartimento di Ingegneria del Territorio, dell’Ambiente e delle Geotecnologie del Politecnico di Torino. Nei Corso di questo lavoro vengono pescati tra l’altro, mediante reti branchiali multimaglia, due esemplari di coregone; si tenga presente che tale tipo di rete non é certo il più consono alla cattura di questo pesce, che per le sue abitudini richiede l'uso di reti pelagiche. Ben più significativi appaiono i rilievi condotti durante questa stessa indagine mediante eco-scandaglio, rilievi che hanno consentito di localizzare in profondità la presenza di un consistente banco di pesci, verosimilmente coregoni.
Il coregone a Cavazzo dunque c'è ma non si vede: è una presenza silenziosa, confinata in acque profonde, accertabile solo con particolari mezzi di indagine. Dicevamo delle poche catture a canna: anche se chi le ha effettuate è un bravo pescatore (com'è senz'altro il caso di Giovanni Franzil di Alesso, autore della cattura qui documentata), è fuor di dubbio che si debba parlare di caso e di fortuna, se non altro perché non era certo il coregone la preda insidiata. (…)
Quale futuro per il coregone a Cavazzo? Dipenderà in gran parte dai mutamenti cui andrà incontro il lago: l'ipotesi di far scaricare le acque reflue della Centrale direttamente nel Tagliamento, restituendo cosi al bacino il regime idrologico di un tempo, é di grande fascino; ma una tale evenienza comporterà quasi certamente conseguenze non di poco conto sulle specie - non solo ittiche - tipiche di acque fredde ormai insediate nel lago.
Per ora il coregone è li, e sembra godere di buona salute, presenza discreta a bassissimo impatto grazie ad un'attenta valutazione compiuta prima della sua introduzione.
Non sempre é cosi: assieme alla certezza dell'avvenuta acclimatazione del coregone, in questi ultimi tempi è divenuta certezza anche la presenza nel lago del black bass o persico trota (Micropterus salmoides), introdotto a cuor leggero da qualche pescatore in cerca di nuove emozioni. Peccato che non si tratti proprio di una specie a impatto zero, e che la sua introduzione, trattandosi di specie alloctona, sia vietata per legge. E il futuro del lago si gioca anche su fatti come questo.
Sergio Paradisi
(Notiziario Etp n. 2-2015 pp. 10-13)
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