"Alesso e dintorni", dal puint di Braulins al puint di Avons

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giovedì 27 giugno 2013

Una Ricostruzione da completare nel recupero di valori antichi

Riceviamo  e pubblichiamo un contributo di Dino Rabassi  ispirato dalla discussione in corso su quelli che abbiamo chiamato "i revisionisti della Ricostruzione". Rabassi non interviene solo come ex-amministratore degli anni della Ricostruzione ma anche, e soprattutto, per rileggere la propria esperienza personale alla luce dei mutamenti e dei cambiamenti imposti dal terremoto. L'analisi ricorda la presenza, nel '76, di "rappresentanti capaci di raccogliere le richieste che provenivano dal popolo" e invita, una volta completata la ricostruzione materiale, a impegnarsi per "l’altra ricostruzione ancora da completare, forse dimenticata nell’eccessiva priorità data alle cose materiali, dimenticando quelle vere e profonde che sono  il vero motore nel fare il proprio dovere per poi sentirsi non “diversi”, ma solo e semplicemente “Friulani”".
E' un ragionamento che può essere condiviso in toto. (A&D)
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Revisionisti e non sul terremoto -
    
   
    Avevo 22 anni appena compiuti quell’ormai lontano 6 maggio 1976.
    Da 6 anni avevo perso mio padre e quel giorno persi pure la casa, costruita con sudore e sacrificio dai miei genitori che allevarono anche 6 figli.
     Mai potrò dimenticare la mattina del 7 maggio, il cui sorgere del sole permise a mia madre di vedere com’era ridotta la sua casa.
     Dall’alto dei suoi 65 anni subito ci incoraggiò: “L’impuartant a l’è che i stin ben. Io i ai provât la prima guera, il taramot dal 28, la seconda guera e cumò ancja chesta. Las ciasas a si comedin o si rifasin como che i vin cognut fâ io e vuesti pari. L’impuartant a è la salut, volesi ben e tacâ a lavorâ”.
     Poi girandosi e credendo di non essere udita sussurrò quasi fra sè: “Ah Lino, vuei però i volares iesi cun tei!”
     Povera mamma, come poveri furono tutti quei suoi coetanei e coetanee in giro per il mondo o a casa: i primi in una vita spesa nel duro lavoro soprattutto all’estero, le seconde a crescere nugoli di pargoli, badare ai vecchi, alla campagna e alla stalla, reggendo da sole tre piedi di quel tavolo chiamato famiglia.
    Volti di tanti che io e tanti di noi ricordiamo con affetto, ammirazione, gratitudine e dove, tra le rughe dei loro volti, potevamo scorgere dignità, saggezza, onestà e voglia di ricominciare che trascinò anche noi ancora ragazzi alla ricostruzione: l’unica ben riuscita e in pochi anni in Italia.
     Dovetti abbandonare la scuola ed il lavoro, che contemporaneamente svolgevo fuori casa, per dedicarmi a rifare ciò che il sisma aveva portato via.
     L’emergenza durò tutta l’estate ma, quando si pensava che lo stillicidio delle scosse stesse per finire, settembre ci fece sobbalzare di nuovo portandoci tutti in riva al mare, da cui rientrammo in primavera per occupare i prefabbricati appena ultimati
     Nella vita comunque, ogni negatività porta con se anche dei risvolti positivi e così, sia io che la stragrande maggioranza dei ragazzi della mia età, la tragedia del terremoto e la conseguente ricostruzione concesse anche dei vantaggi.
     Ogni Comune infatti, i cui uffici fino ad allora si limitavano alla sola amministrazione, dovettero dotarsi di Uffici Tecnici, così come la Regione, la Comunità Montana, la Provincia ecc. di strutture atte ad affrontare l’emergenza, oltre alle numerose Ditte edili che confluirono in Friuli creando un indotto notevole in ogni settore economico.
     Ai giovani, sia a chi aveva un diploma o a chi aveva scelto di lavorare fin da ragazzo, ciò permise di  trovare immediata occupazione per rimanere in zona ed iniziare a ricostruire.
     Certo anche la solidarietà ed i contributi arrivarono, ma i prezzi lievitati enormemente, soprattutto agli inizi, consentivano di coprire si e no il 45% del costo finale della casa: vale a dire la sola struttura in caso di ricostruzione privata, per il rimanente ci si doveva arrangiare.
    L’’intervento pubblico richiedeva spese minori, ma comportava una ricostruzione economica pari a quella dell’allora edilizia popolare per cui, tanti, preferirono “fa di bessoi”.
    Comunque tutto fu riedificato e questo, in estrema sintesi, è il quadro della ricostruzione in Friuli.
    Come fu possibile allora ottenere il cosiddetto “miracolo friulano”? Come mai in altre passate e recenti calamità non si è riusciti a ricrearlo su scala nazionale?
     A queste domande in me riemerge il ricordo di immagini televisive RAI in bianco e nero girate nella primavera del 1977: periodo in cui la popolazione era impegnata a rientrare da Lignano e Grado ove era sfollata per l’inverno.
     La scena, che tutt’ora mi inorgoglisce, è quella di un vecchietto, di Gemona mi pare, che fiero e grato per il dono di un prefabbricato appena ricevuto, alla domanda di una giornalista su quando sperava di avere una nuova casa rispose: ”Guardi che questa è terra e gente friulana, torni fra dieci anni e la risposta l’avrà allora!”.
     La risposta ai giornalisti e a tutta Italia la ebbero proprio nel tempo da lui stimato e testimoniato da varie trasmissioni dedicate a commemorare il decennio del sisma e la ricostruzione.
     Tornando indietro nel tempo, alle soglie dei 60 anni e ripensando alle scelte fatte, non vi è dubbio che alcune cose potevano essere realizzate meglio ma, parafrasando un antico detto che solo chi non fa niente non può sbagliare, ritengo la ricostruzione del Friuli terremotato una realtà di cui andar fieri.
     Discutere quindi a chi vanno i maggiori meriti di questa ricostruzione non porterebbe a niente!
    Io come cittadino, poi quale tecnico comunale in varie sedi, ma anche come Amministratore che ha attraversato tutta la ricostruzione vivendo e lavorando con orgoglio nel motore stesso di questa straordinaria macchina, posso solo riaffermare quanto detto recentemente ad Alesso a chiusura dei lavori sulla questione lago/edipower ai candidati alla Presidenza della Giunta Regionale:


-   “Signori candidati, così come l’ho aperta, così tocca a me chiudere questa assemblea.
 Vi ringraziamo quindi del dono della Vostra presenza, ma avendo l’aggettivo “ospite” bivalenza, tutti noi, a nostra volta, vorremmo farvi un dono sotto forma di augurio.
Osservate questa gente venuta qui per udirvi, forse li sentite distanti, ma non chiedetevi continuamente cosa dovrebbe fare un politico per riavvicinarli alla politica stessa.
Ai tempi del terremoto noi abbiamo avuto la fortuna di avere dei rappresentanti capaci di raccogliere le richieste che provenivano dal popolo, hanno saputo recepire il loro lamento, le loro difficoltà, scendendo tra loro e legiferando di conseguenza, al di la e al di sopra dei partiti, dei loro interessi politici e personali, con acume ed intelligenza i cui frutti sono tuttora evidenti.
Lo fecero nel nome di quella stessa gente di cui anch'essi facevano parte ed è per questo motivo, non per altro, che il Presidente della Repubblica, con altrettanto acume, decise di conferire la medaglia d’oro al merito civile all'intero popolo friulano.
Fate quindi semplicemente questo: lavorate con abnegazione per loro, nel loro interesse e sappiate sentire il loro lamento!
Vedrete che la gente vi saprà capire, comprenderà anche qualche vostro errore, tornando ad onorare e seguire quell’arte nobile un tempo chiamata politica e che tale dovrà tornare”.
    
     Tocca ora a noi, ormai “giovani vecchi”, riprendere il lascito di princìpi che furono dei nostri genitori e che oggi sembra smarrito.
     Un’eredità fatta non solo di beni materiali che si possono ricostruire in 10 anni, ma anche e soprattutto di valori antichi ed eterni che ci permise tante, troppe volte nella storia di questa martoriata terra, di risorgere più forti di prima.
     E’ questa, secondo me, l’altra ricostruzione ancora da completare, forse dimenticata nell’eccessiva priorità data alle cose materiali, dimenticando quelle vere e profonde che sono il vero motore nel fare il proprio dovere per poi sentirsi non “diversi”, ma solo e semplicemente “Friulani”..
     Come già detto, tutte le disgrazie portano anche qualcosa di positivo come lo fu per il terremoto.
    Mi auguro quindi che la prova a cui vanno incontro i nostri figli a causa questa tremenda crisi economica, faccia riemergere in noi il lascito dei nostri padri, affinché senza paura riusciamo a guidarli e sorreggerli infondendo coraggio come un tempo loro fecero per noi.
    
   


Dino  RABASSI 

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