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Il lago di Cavazzo...
tra 110 anni sarà interrato:
salviamolo
Franceschino Barazzutti
da: Tiere furlane n. 19, pp. 73-82
[PRIMA PARTE]
Paradise Lost
Sono nato in tempo utile
(1936) per vedere e vivere il lago di
Cavazzo prima che sulla sua riva nord la SADE (Società adriatica di elettricità)
costruisse la centrale idroelettrica di Somplago. Il lago e l’ambiente
circostante erano un paradiso che mi è rimasto ben impresso nella memoria,
anche perché, soprattutto il ramo settentrionale, era il luogo preferito da
noi, ragazzi dei paesi rivieraschi, per le scorrerie durante le vacanze estive.
Tanto più viva è la memoria di “quel” lago, tanto meno riesco ad accettare
l’attuale stato di degrado di “questo” lago.
Era un paradiso: la temperatura
delle acque era mite e consentiva di iniziare la balneazione a maggio
protraendola fino a metà ottobre; la pescosità era elevata, tanto che le
numerose specie ittiche hanno consentito di sfamare gli abitanti della valle
fino ad un passato non lontano; il microclima, influenzato dall’omeostasi
lacustre, favoriva un’abbondante produzione di
ciliege e fichi che le donne di
Interneppo si recavano a vendere (a belançâ) a Tolmezzo e a Gemona;
la musica era offerta dal
gracidante concerto delle rane (crots) in amore che si levava dai canneti della
riva nord (da cui il nomignolo di Crots appioppato agli abitanti di Somplago);
un particolare fascino aveva il mutare del moto ondoso al soffiare della
mattutina brezza di monte, sostituito
verso mezzodì dalla calma assoluta in cui i monti circostanti si rispecchiavano
sulla liscia superficie, poi infranta nelle ore pomeridiane dal moto ondoso
opposto provocato dalla brezza di mare, per ritornare specchio silente nelle
ore serali.
Ed era un paradiso anche per
l’umanità che sul lago viveva: i pescatori di Somplago con le loro reti,
nasse e barche di particolare
foggia e stabilità, costruite da loro stessi, barche che per noi ragazzi erano
una tentazione, in particolare quella tutta in legno e leggerissima di Vigji
Legnada; i pescatori di Alesso con le loro barche di foggia più snella, veloci,
più adatte alla pescal persico reale con la tirlindana.
Un paradiso... perduto!
La centrale idroelettrica
di Somplago
La causa della perdita di quel
paradiso ha un nome preciso: centrale idroelettrica di Somplago. Questa, scaricando
le acque turbinate direttamente nel lago lo ha sconvolto. Si tratta di una
centrale, costruita nei primi anni Cinquanta, alimentata dal sistema di
derivazioni, sbarramenti e dighe a monte, concepiti ed attuati – con la
complicità del potere romano – dalla sopra nominata Società adriatica di
elettricità (SADE) con la stessa logica di rapina senza scrupoli della montagna
friulana che provocò la tragedia del Vajont.
La centrale fu costruita in caverna
portando scelleratamente a discarica l’enorme quantità di materiale di scavo
nel vicino ramo nord-occidentale del lago con lo scopo di risparmiare sul
trasporto; il risultato fu la scomparsa della parte più pescosa del lago.
All’esterno furono costruiti l’edificio sala-quadri, l’officina e l’ampia
sottocentrale di smistamento da cui partono le linee su alti piloni di forte
impatto per il paesaggio della la valle. Questi portano altrove quella corrente
elettrica che nelle promesse doveva
dare l’agognato sviluppo alla montagna, i cui abitanti, una volta
terminati i lavori di costruzione,
si trovarono invece privati delle acque e costretti a fare la valigia ed
emigrare.
Dagli anni Cinquanta nella centrale
sono in attività tre turbine Francis, ciascuna delle quali turbina 22 mc/sec
per totali 66 mc/sec. Un volume enorme di acqua, gelida per il lungo percorso
in galleria, e carica di fango in quanto proveniente dai corsi d’acqua montani
a carattere torrentizio con notevole trasporto di materiale in sospensione. Un
volume enorme che viene scaricato
direttamente nel lago, abbassandone
notevolmente la temperatura e riempiendolo via via di fango.
La centrale venne costruita in modo
da accogliere, oltre alle attuali tre turbine, ulteriori due, che avrebbero
dovuto essere alimentate dalla derivazione del torrente But alla stretta di
Noiaris,
convogliandola in galleria al bacino artificiale sulla Vinadia e,
quindi, a quello di Verzegnis che carica la centrale di Somplago. Ma il
disastro del Vajont pose la parola fine a questo ulteriore progetto. [continua]
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