Generalità, frammenti
e aneddoti sullo storico
albero da frutto di Bordano: il ciliegio
Dal frutto dolce e succoso, la sua fioritura è uno
spettacolo ad ogni primavera, se ne ricavano marmellate, liquori e persino
cioccolatini: sto parlando dell’albero del ciliegio e della sua drupa, uno dei
frutti nostrani più buoni. La sua presenza a Bordano non era affatto secondaria,
ed anzi ci sono diversi indizi che confermano che questa pianta è stata oggetto
in passato di molte attenzioni. In questo caso però non si è trattata di una
ricerca sovrabbondante di riferimenti e devo ammettere che un po’ ho arrancato
nel scovare qualcosa di specifico sulle ciliegie e l’albero di ciliegio in
territorio di Bordano. Ma giustamente, prima di addentrarsi in testimonianze e precisazioni,
bisogna almeno avere chiare le generalità di una pianta che, come tutte quelle
oggetto di coltivazione, non si presenta come unica e immutata ma soggetta alla
selezione e quindi alla coesistenza di diverse sue varietà agronomiche, ossia
cultivar. La specie è il Prunus Avium,
ossia il ciliegio selvatico, ceriesâr
o cjariesâr in friulano (più simile
all’inglese “cherry” che all’italiano
“ciliegia” se ci pensate), derivante direttamente dal latino cerasus. Pianta dalla notevole
adattabilità ecologica se pensiamo che sopravvive tranquillamente all’interno
di un largo range di temperature, precipitazioni e suoli, anche se predilige le
posizioni esposte, per via della sua termofilia ed eliofilia, e quelle in cui
il suolo risulta profondo e ben drenato. In ambito montano quindi lo si
incontra in particolare verso i fondovalle, anche se potrebbe passare
inosservato vista l’incapacità di formare consorzi di conspecifici. La sua
distribuzione quindi risulta frammentaria e incostante. La sua plasticità ecologica
è dovuta anche a secoli e millenni di influenza antropica, che ha persino fatto
perdere di vista la sua regione di origine, che si pensa possa essere il Ponto
(regione storica della penisola anatolica che dà sul Mar Nero), ma la sua
presenza certa già dopo le glaciazioni ne fa una specie assolutamente indigena.
Il suo legno inoltre è particolarmente apprezzato, ma non è nel legno che
bisogna cercare per capire il suo successo passato in Friuli e anche a Bordano.
Se non era il legno, cosa mai sarà stato? Beh, forse già il fatto che su oltre
500 toponimi friulani derivati da nomi di alberi da frutto ve ne siano una
cinquantina legati al ciliegio, e che sicuramente l’uomo si cibò di ciliegie
selvatiche fin da epoche preistoriche (come risulterebbe dal ritrovamento di
noccioli presso siti palafitticoli sulle sponde meridionali del Lago di Garda),
ci danno già un’idea poco soggetta a dubbi. Il caso toponomastico più famoso da
noi è forse quello di Ceresetto, borgo in Comune di Martignacco e alle porte di
Udine, ma probabilmente anche Ciseriis, paesino a nord di Tarcento lungo il
Torre (e per quest’ultimo capirete ben dopo come mai). Ma leggiamo un attimo
queste interessanti noticine di un articolo del 1942 dell’almanacco storico
friulano “Avanti cul brun!”, in cui sono presentati i principali e più
apprezzati prodotti enogastronomici del Friuli. L’autore non è certo ma
potrebbe essere stato lo scrittore tarcentino Chino Ermacora (1894 – 1957), che
ebbe il merito di diffondere la conoscenza sulla terra friulana anche grazie
alla rivista “La Panarie”, da lui fondata. All’epoca di questo articolo non
esisteva certo ancora la morbosa pubblicità dei prodotti alimentari né di una
concezione sofisticata di cucina, al contrario l’esigenza primaria era ancora
quella del poter disporre dei giusti alimenti per tirare a campare. La
descrizione dunque è priva di quella retorica manipolatrice del prodotto
tipico, che oggi invece dilaga. “Le
ciliegie e le susine del Collio hanno conquistato i mercati della media Europa”;
per Tarcento si dice invece: “Ciliegie
durissime rosso scure di larga esportazione, si conservano nello spirito e si
distillano, ritraendone un liquore squisito”. Dunque abbiamo due aree
principali in Friuli per il mercato “ceresario”, se così si può dire: il Collio
e il Tarcentino. Nel Goriziano la frutticoltura era praticata intensamente tra
le due guerre mondiali, quindi circa nel periodo di riferimento dell’articolo
del presunto Ermacora, e in particolare si citano il Collio e la Valle del
Vipacco come aree più vocate. In questa parte di Friuli Storico erano proprio
le ciliegie il principale prodotto della frutticoltura: importanti i cultivar
Primaticcia di Ranziano e Goriziana Precoce. Davvero notevole, ma non siamo
proprio vicino Bordano; spostiamoci dunque più verso le nostre parti e quindi
verso le nostre economie. Secondo De Polo, 1886, nelle colline attorno a
Tarcento ed Attimis si coltivava “con
molto profitto” il ciliegio del cultivar Duracina di Tarcento. Già in quei decenni non doveva essere un’attività di
interesse solo locale se pensiamo che all’epoca venivano esportate anche in
Austria, Baviera, Sassonia e persino Russia. Ci serviremo un attimo di questo
riferimento territoriale parallelo, Tarcento, o meglio, alcune borgate a nord
della cittadina, per gettare un ponte con la realtà delle ciliegie di Bordano.
Ma qui di noi spopolava la Duracina o c’era un’altra varietà? Ci corre in aiuto
la sapienza e la cultura di un anziano agricoltore di Sammardenchia (minuscolo
borgo delle colline a nord di Tarcento, da non confondere col paese vicino
Pozzuolo), Attilio Vidoni. Egli ci dice che oltre alla varietà primigenia,
quella selvatica, dalle piccolissime dimensioni e dal sapore amarognolo, vi
erano tre varietà: la Cassia, la Beliciza e la Duracina. Queste ultime erano le
più ricercate per il mercato in quanto, come dice il nome, duravano di più e
quindi erano anche più costose; la seconda era ad uso alimentare famigliare
perché marciva facilmente, e infine la prima era anch’essa di qualità ma
comunque sempre soggetta a marcescenza dopo le piogge. La Cassia inoltre aveva
la particolarità di maturare 10 giorni prima delle altre. Secondo mio padre
Oscar era proprio questa la varietà che era stata introdotta nella piana di
Bordano, e, forse proprio perché precoce nella maturazione, era meno soggetta
ad attacchi di insetti, visto che sempre mio padre riferisce che tendeva a non
avere il verme. La descrive come piccola, dolce, dal noccio a sua volta ridotto
e di un rosso molto scuro, quasi nero, sia nella buccia che nella polpa.
Personalmente rammenta che già quando era piccolo, quindi anni ’50-‘60, la
coltura stava andando in disuso, mentre dai racconti di famiglia ha potuto
dedurre che questo piccolo frutto rivestisse ruoli di economia famigliare non
secondari se sua nonna Maria Picco si recava casa per caso fino a Venzone e
Gemona per venderle e quindi ricavare un po’ denaro, che non era certo mai da
disdegnare nei periodi più o meno miseri della nostra storia neanche tanto
lontana. Questi aspetti sono confermati da Enos Costantini, che parla di una
secolare tradizione di coltivazione e di come la vendita delle ciliegie fosse
un tempo “una delle poche occasioni”
che si presentavano per arrotondare le magre finanze interne alla famiglia.
Circa l’abbandono della coltura, anche in questo caso le informazioni vanno
praticamente a coincidere, dato che Costantini parla, nel suo libro dell’87, di
un paio di decenni in cui il ciliegio non era più al centro di attività
agricole. Ma se la varietà pura, selvatica, già allora come oggi cresce
spontanea soprattutto nelle pendici esposte al sole, quindi nel nostro caso
quelle meridionali del San Simeone, la Cassia si coltivava in campagna e quindi
appena fuori il centro abitato, per esempio nei Plans, a sud del paese, e in Naréit,
a nord-est. Ricordiamo come il bosco a disposizione della popolazione un tempo
fosse costituito quasi essenzialmente da specie ceduate per il consumo
famigliare di legname, e che comunque non conveniva a nessuno andare a piantare
alberi da frutto sulle pendici quando vi era a disposizione tutta la piana di
Bordano. A livello di suolo inoltre non c’erano particolari criticità nella
piana, anzi per la natura ghiaiosa e quindi assai porosa del substrato il
drenaggio era assicurato e quindi anche una sufficiente crescita del ciliegio.
Prendendo ancora spunto dall’ambito famigliare, in un appezzamento dei Plans, precisamente in località Plan dai Cjasâi, dei ciliegi sono stati
piantati probabilmente da Giovanni Colomba, zio di mio padre, attorno agli anni
’40, dato che quest’ultimo da bambino se li ricorda ancora piccoli.
Un’operazione che sarebbe anche potuta avvenire a Interneppo, che però
ritrovava nel pero il suo principale albero da frutto. E qua ci allacciamo alla
toponomastica. Per quanto infatti possa sembrare strano, con un territorio
comunale che seppur ridotto ha nel suo patrimonio centinaia di toponimi,
soltanto due di questi si riferiscono a piante arboree di uso agrario: Lì da Piruçárie e Cereséit. Se la ciliegia era il frutto di Bordano, la pera lo era
per Interneppo. In questo caso Costantini si limita a dire che la località di Lì da Piruçárie fosse dietro la Chiesa
di Interneppo e che l’albero di pero fosse presente in loco per la tradizionale
coltivazione. La mela era evidentemente di scarsa importanza se non ha lasciato
riferimenti geografici, anche se, per esempio, compare come “2 melari” nell’elenco degli alberi da
frutto presenti in un prato in località Sore
il Clap, superiormente Naréit e
alle più basse pendici del San Simeone, elenco redatto il 28 febbraio 1766 dal
perito venzonese Carlo Massenio. Ironia della sorte, in quello stesso elenco
non figura neanche un solo albero di ciliegio. Per Cereséit invece la questione è più intrigante e stimola ipotesi
ragionevoli. Nel Nuovo Catasto è riportato come Crets Ceresêt ed è sopra il Prât
di Aroni, in una località abbastanza isolata del San Simeone e tra l’altro
non “ai piani bassi”, per così dire, del monte. Risalendo il Rio Costa si
incrocia a un certo punto la strada forestale che parte dalla ex Strada
Militare del San Simeone presso gli Stavoli Vieres e raggiunge, poco dopo il
rio, gli Stavoli Trions; ecco, nel quadrante nord-est dato dall’incontro rio-strada
c’è il Prât di Aroni, subito
sovrastato da un cret, quello del Cereséit. Siamo a quota circa 700 m slm.
Altitudinalmente siamo esattamente a metà strada tra la Sella di Interneppo e
la Val di Sot in San Simeone.
Come è
possibile che ci sia un riferimento in piena montagna di una pianta che, come
abbiamo detto, veniva coltivata giù in pianura o comunque alle pendici? In
realtà non c’è niente di astruso in quanto, come ci ricorda anche Costantini, i
toponimi hanno senso di esistere solo se connotanti un particolare aspetto che
è peculiare di quella zona, magari anche di altre ma non nelle immediate
vicinanze. Ecco perché scegliere di chiamare Cereséit una località nella piana di Bordano non avrebbe avuto
senso per via della presenza del ciliegio anche in molte altre località della
stessa piana. È dunque ragionevole pensare che i ciliegi di Cereséit fossero della forma selvatica e
che fossero in numero tale da indurre qualcuno secoli fa ad attribuire questo
nome a quella precisa località.
La caratteristica corteccia del Prunus avium (ciliegio); questa una delle piante censite in Fran di Cjavaç nell’aprile dello scorso anno. (foto di Enrico Rossi) |
Non mi dilungherò in considerazioni in
relazione ai progetti di recupero della coltivazione del ciliegio a Bordano,
auspicati tra l’altro da Costantini, perché preferisco concludere il disegno
storico di questo albero che più di tanto non ha lasciato indizi, ma proprio a
tal proposito mi sento di riportare un aggancio interessante col presente. Se
una sola località in tutto il Comune di Bordano è stata designata
tradizionalmente come territorio di ciliegi (selvatici), e se questa località
si colloca nell’ambito del bacino del Rio Costa (che, lo ricordiamo, poi scende
giù fino a Interneppo e dà origine alla sorgente di Pile, vedi articolo sulla Fontana di Selve), è possibile
scientificamente trovare conferma oggi della predisposizione di questa area del
San Simeone ad ospitare ciliegi, magari senza necessariamente andare a
rischiare in una zona così difficile come quella del cret? Beh, il 24 aprile 2017 il sottoscritto, mio padre Oscar ed
Ermanno Rossi abbiamo effettuato un’area di saggio di 600 m quadrati in
località Fran di Cjavaç, in realtà
non per studiare il ciliegio ma per altri scopi. Per chi non ha presente la posizione,
può andare a consultare o il libro di Costantini sulla toponomastica comunale o
il mio articolo sulla pecora a Bordano.
Fatto sta che siamo sempre nel bacino
del Rio Costa, a quote più basse (circa 400 m slm), ed è risultato che su 119
piante arboree censite 12 erano di ciliegio, quindi un buon 10%. Sicuramente ci
sono altri siti che lo ospitano ma i nostri antenati devono ancora una volta
aver visto giusto se generazioni di ciliegi si susseguono relativamente
numerose in questo minuscolo bacino del San Simeone. Questo, così come gli
altri alberi, da sostentatori dell’economia e in primis della sopravvivenza
locale possono anche essere protagonisti di gravi incidenti sul lavoro, anche
mortali. Una volta non erano rari i casi di infortuni in cui degli sfortunati
bordanesi e interneppani, spesso molto giovani, rimanevano feriti o anche
uccisi dalla caduta di tronchi e rami o per essere precipitati da un albero,
anche se avvenivano perlopiù nei boschi questi incidenti. Una di queste cadute
fatali coinvolse una mia trisnonna, la madre di Maria Picco (già citata sopra
nel testo), tale Elisabetta Colomba, che morì cadendo proprio da un ciliegio nel 1915,
quasi certamente all'interno di un qualche frutteto della piana di Bordano. Questa
pianta insomma, così come ogni elemento della vita quotidiana di Bordano, ha
accompagnato, nel bene e nel male, nelle colture di campagna e nei boschi più o
meno accessibili delle nostre montagne, lo scorrere dell’esistenza di questo
paesino che ha visto dire praticamente addio non solo al suo animale simbolo,
la pecora, ma anche al suo piccolo ma dolce frutto rosso.
Fonti principali:
Libro “Bordan e Tarnep: nons di
lûc”, Enos Costantini, 1987
Rivista “Sherwood”, maggio 2013: http://www.rivistasherwood.it/filevari/filenotizie/2015/ValorizzazioneRisorseGenetiche/4-Sherwood193-CiliegioSelvatico_Scheda.pdf
Rivista “Tiere furlane”, ottobre 2013: https://www.regione.fvg.it/rafvg/export/sites/default/RAFVG/economia-imprese/agricoltura-foreste/tiere-furlane/allegati/Tiere_18_2013.pdf
Rivista “Tiere furlane”, dicembre 2014: https://www.researchgate.net/publication/272150987_Pomis_Per_una_storia_della_frutticoltura_friulana
Sito dell’ERSA: http://www.ersa.fvg.it/divulgativa/prodotti-tradizionali/vegetali-naturali-o-trasformati/ciliegia-duracina-di-tarcento
Sito de “Il Friuli”: http://www.ilfriuli.it/articolo/Archivio/Il_ciliegio,_rifugio_delle_streghe/29/86029
Sito “Andamento Lento”: http://www.andamentolento.it/2017/02/28/le-ciliegie-duracine-di-tarcento/
Periodico “San Simeone”, dicembre 1989
Testimonianze orali di Oscar Rossi
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