Alcune parti sono pregevoli, altre riportano notizie che in zona non si sono proprio mai sentite.
La lettura è comunque interessante. Ai lettori, come sempre, l'invito a commentare.
(A&D)
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La misteriosa morte di un campione
3 giugno 2018 | Ottavio Bottecchia fu il primo italiano a vincere il Tour de France nel 1924. Trovato esanime mentre si allenava sulle strade di casa, morì un paio di settimane dopo, con l’opinione pubblica divisa fra trame di omicidio e semplice incidente
di Marco Belletti
Alesso, Avasinis, Braulins, Oncedis e Peonis sono le frazioni che compongono il Comune di Trasaghis, in provincia di Udine, Friuli Venezia Giulia. Appoggiato sul Tagliamento e ai piedi del monte Brancot, Trasaghis è entrato nella storia italiana in punta di piedi - con alcuni eventi tra la Grande Guerra, il secondo conflitto mondiale e il terremoto del 1976 - che tuttavia lo hanno fortemente segnato.
Il primo con cui Trasaghis entra a far parte della storia nazionale risale al 1917- in piena Prima Guerra Mondiale - quando il generale Antonino Di Giorgio dispose, il 27 ottobre, due Divisioni dell’esercito italiano nei pressi del comune friulano con l’obiettivo di coprire l’eventuale ritirata (decisa il giorno dopo) dei soldati schierati sulla linea di difesa poco più a est del Tagliamento. All’alba del 31 ottobre, l’artiglieria austro-ungarica entrò in azione e poco dopo si mosse la fanteria che costrinse al ritiro gli italiani. Quella stessa notte la “Divisione Bologna” - che difendeva la posizione divenuta ormai indifendibile - avrebbe potuto ritirarsi ma non lo fece: fu accerchiata e distrutta dall’esercito nemico. Nel frattempo, sull’altra riva del Tagliamento, l’artiglieria italiana cannoneggiava le postazioni austro-ungariche (che avevano l’appoggio di forze tedesche), causando la morte di numerosi prigionieri italiani, tra cui alcuni superstiti della Bologna, ai quali era stato concesso l’onore delle armi.
Come conseguenza della battaglia, ricordata con il nome del paese e del monte di Ragogna, il generale Luigi Cadorna ordinò a tutto il Regio Esercito di ripiegare fino al Piave, dove nel frattempo si stava stabilendo la linea difensiva. Fu uno degli ultimi comandi dato da Cadorna in qualità di capo di Stato Maggiore generale prima di essere sostituito dal generale Armando Diaz. Cadorna fu ritenuto responsabile della disfatta, da lui invece attribuita alla scarsa combattività di alcuni reparti.
Dopo il ritiro sulla riva destra del fiume delle armate italiane e la distruzione dei ponti, dal novembre 1917 il Piave divenne la linea difensiva che le truppe austro-ungariche e tedesche non riuscirono mai a superare stabilmente. Oltre il fiume, la difesa italiana si oppose agli attacchi fino all’ottobre 1918 quando - dopo la battaglia di Vittorio Veneto - gli avversari furono sconfitti e si siglò l’armistizio.
Occhio per occhio
La frazione Avasinis di Trasaghis fu lo scenario di uno degli episodi più dolorosi della Seconda Guerra Mondiale. Il 2 maggio 1945 - quando già da qualche giorno in buona parte dell’Italia si festeggiava la Liberazione - alcuni soldati nazisti in ritirata penetrarono nel paese uccidendo 51 persone, tra cui molte donne, vecchi e bambini. La mattina del giorno prima, forse per individuare il miglior percorso per ritirarsi o forse per debellare la minaccia dei partigiani e garantirsi il ripiegamento, i soldati tedeschi si erano posizionati nei pressi di Avasinis, effettuando anche delle perlustrazioni in paese, cercando di eliminare le postazioni partigiane. Il mattino dopo, suddivisi in alcune squadre (sembra in formazioni composte oltre che da soldati tedeschi, anche da altoatesini, istriani e probabilmente friulani) i nazisti tornarono ad Avasinis e compirono la strage, per poi ritirarsi il 3 maggio.
Nei giorni successivi le squadre partigiane perlustrarono l’area circostante e fermarono una trentina di nazifascisti che - ritenuti responsabili della strage, anche se solo sulla base di deboli indizi - furono uccisi nella piazza centrale di Avasinis. Da allora, la doppia strage a guerra praticamente finita è stato oggetto di un vivace dibattito sia sul comportamento dei nazisti in ritirata, sia su quello dei partigiani, che avrebbero prima in un qualche modo provocato la carneficina e quindi messo in pratica una violenta vendetta.
La terra trema
Il 6 maggio 1976, Trasaghis - insieme con numerosi altri comuni dell’alta provincia di Udine - subì uno dei terremoti più violenti della storia italiana, per vastità della zona colpita, per numero di morti e per devastazione.
La scossa più forte raggiunse una magnitudo 6,5 della scala Richter e i danni furono particolarmente elevati sia per le condizioni del suolo (in zona sono presenti due faglie, e l’epicentro fu localizzato sotto il comune di Gemona), sia per la posizione dei paesi colpiti (quasi tutti in cima ad alture) sia per l’età delle costruzioni. Buona parte delle cittadine distrutte non avevano subito danni durante i due conflitti mondiali e quindi palazzi e case erano in gran parte antecedenti alle guerre e molto vecchi.
Complessivamente, il terremoto - sia nelle scosse di maggio che in quelle di assestamento, andate avanti fino a settembre - colpì un’area di 5.500 chilometri quadrati, con circa 600mila abitanti: i morti furono quasi mille, oltre 100mila gli sfollati, ben 18mila le case distrutte e 75mila quelle danneggiate, con 45 comuni rasi al suolo, 40 gravemente danneggiati e 52 sinistrati. Ingenti i danni, calcolati in oltre 4.500 miliardi di lire, equivalenti oggi a qualcosa come 20 miliardi di euro. La scossa fu distintamente percepita in tutto il centro-nord Italia, in Slovenia e in Austria, e si trattò del terremoto più forte del secolo per l’Italia Settentrionale.
Il mistero del ciclista
Il 3 giugno 1927 il ciclista trentatreenne Ottavio Bottecchia fu trovato agonizzante lungo una strada di Peonis, frazione di Trasaghis: ricoverato all’ospedale di Gemona del Friuli, morì dopo 12 giorni di agonia.
Famoso per essere stato il primo ciclista italiano ad avere conquistato il “Tour de France” (nel 1924) Bottecchia fu soprannominato in Italia il “muratore del Friuli” e in Francia “Botescià”: divenne ciclista professionista soltanto a 27 anni, dopo avere lavorato come carrettiere e, appunto, muratore. Bersagliere ciclista durante la Grande Guerra, fu insignito della medaglia di bronzo al valor militare e, terminato il conflitto, partecipò - vincendole - ad alcune corse per dilettanti dove fu notato da Luigi Ganna, il primo a vincere il Giro d’Italia nel 1909.
Nel 1923 Bottecchia ben figurò alla Milano-Sanremo e al Tour de France, indossando per qualche tappa la maglia gialla e terminando secondo, pur essendo un gregario. Dopo le due vittorie nel 1924 e nel 1925 - quest’ultima con quasi un’ora di vantaggio sul secondo - Bottecchia divenne un eroe in Francia conquistando la fama e la tranquillità economica. Fu il primo italiano a salire su un podio al Tour, il primo italiano a vincerlo e a bissare il successo l’anno seguente, e il primo in assoluto anche a correre con la maglia gialla dalla prima all’ultima tappa, nel 1924: meglio di Coppi e Bartali, insomma…
Nel 1927 la fama di Bottecchia era ancora tanta ma la sua voglia di correre diminuiva: mesi prima, a marzo, una caduta gli aveva impedito di correre la Milano-Sanremo, e la prematura morte della sua prima figlia lo segnò così tanto che durante la Bordeaux-Parigi (che quell’anno si corse il 14 maggio) le cronache raccontano che si sia fermato e, seduto su un paracarro, sia scoppiato a piangere. Il 25 maggio morì improvvisamente il fratello Giovanni, anch’egli ciclista professionista, investito da un’auto mentre si allenava sulle strade di casa.
Quel venerdì 3 giugno 1927, Ottavio Bottecchia era uscito per allenarsi in vista dell’ormai imminente Tour de France (che sarebbe iniziato il 19 giugno) senza trovare nessun compagno di pedalata, neppure il suo compaesano e gregario Alfonso Piccin. Di certezze da quel momento in poi non ce ne sono molte: fu ritrovato poche ore dopo privo di sensi su una strada di Peonis, con fratture alla base del cranio e a una clavicola, oltre che con escoriazioni al viso e ai gomiti. La sua bicicletta fu rubata e lo sfortunato ciclista morì il 15 giugno all’ospedale di Gemona del Friuli senza mai riprendere conoscenza. Un po’ affrettatamente, l’indagine avviata decretò come causa della morte un incidente, forse per assicurare alla vedova il ricco premio assicurativo, forse per coprire altre cause. Infatti, qualche tempo dopo - e pochi giorni prima di morire - un contadino confessò di aver colpito Bottecchia (senza averlo riconosciuto) con un bastone, perché stava rubando dell’uva dalla sua vigna. Una volta emersa la stranezza del campione di ciclismo che si ferma ai primi di giugno per mangiare uva che - se già presente sui grappoli - sarebbe stata probabilmente immangiabile, la versione fu modificata (a contadino ormai morto) trasformando l’uva in ciliegie.
Si fece quindi avanti un secondo testimone, un gangster italo-americano che si accusò degli omicidi di entrambi i fratelli Bottecchia, a suo dire commissionati dal racket delle scommesse in quanto avevano fatto in modo che Ottavio vincesse una gara che avrebbe dovuto perdere. Anche in questo caso il reo confesso morì subito dopo le ammissioni e non fu possibile indagare più a fondo.
Don Dante Nigris, parroco di Peonis, parlò poi di un raid punitivo dei fascisti ai danni del socialista Bottecchia, obbligato controvoglia a tesserarsi al partito. Esponenti socialisti cavalcarono questa teoria dell’omicidio (avallata, secondo loro dal fatto che il ciclista era emigrato in Francia, dove aveva frequentato circoli proletari) e così l’inchiesta del regime fascista confermò a gran voce e in tutta fretta che si trattava invece di un incidente.
Qualcuno affermò che in seguito ai lutti e agli infortuni il ciclista avesse perso molto peso e fosse in precarie condizioni di salute, forse anche affetto da malaria. Qualcun altro diede la colpa a una birra ghiacciata che causò il malore che lo fece cadere, altri ancora avanzarono l’ipotesi di un killer arrivato dalla Francia, prezzolato dagli organizzatori del Tour de France che non avrebbero gradito una nuova vittoria di Bottecchia. E non poteva naturalmente mancare la pista passionale, con l’amante della moglie che sceglie di liberarsi di lui…
Tutte le teorie avevano punti deboli: è poco probabile una caduta così rovinosa senza una causa esterna (e, prima che sparisse, sulla bicicletta non furono trovati graffi o ammaccature) e non sono neppure chiare le motivazioni per cui un contadino e un sicario - entrambi in punto di morte - dovessero accusarsi di un omicidio.
Quello che è certo, a proposito dell’accusa del parroco, è che ai funerali non si presentò nessun gerarca fascista e neppure nessun ciclista italiano, ufficialmente impegnati al Tour. Solo un paio di colleghi arrivati da Francia e Belgio salutarono per l’ultima volta il grande ciclista.
Il paradiso degli scapoli
Bottecchia deve il nome di Ottavio al fatto che fu l’ottavo e ultimo figlio di un mugnaio e di una contadina. Il successo e la fama acquisiti in Francia con le vittorie al Tour de France, gli permisero di costruirsi una casa a Pordenone, acquistare una lussuosa limousine “OM” che faceva guidare a un autista (lui non aveva la patente), di incrementare i guadagni partecipando a gare dal ricco montepremi e dare vita nel 1926, insieme all’amico Teodoro Carnielli, al marchio “Bottecchia” per la costruzione di biciclette da corsa. Alla morte del ciclista, l’azienda Teodoro Carnielli (nata nel 1909) proseguì a produrre le “Bottecchia” diventando famosa negli anni per aver inventato la cyclette e la “Graziella”.
Alfonso Piccin fu grande amico di Bottecchia e per qualche anno suo gregario. Vinse qualche classica minore, giunse ottavo al giro d’Italia del 1929 e morì in un incidente motociclistico nel 1932, a soli 31 anni.
Il ciclismo di quegli anni era uno sport complicato: tappe di 400 chilometri della durata superiore alle dodici ore su strade al limite della praticabilità, pedalando su biciclette di 15 kg senza cambio. Le forature erano all’ordine del giorno e per cambiare le camere d’aria erano gli stessi ciclisti a smontare i copertoni a mani nude, perché le auto ammiraglie ancora non esistevano.
Una decina di anni fa, Trasaghis fu definito il paese degli scapoli. Oltre a certificare molte più nascite di maschi che di femmine, il comune friulano negli anni successivi al terremoto registrò sempre meno matrimoni: nessuno sposalizio per i nati nel 1956 e nel 1964, solo due per quelli del 1978 e tre per i nati nel 1967. Una vera emergenza sociale che il parroco del paese propose di superare organizzando un viaggio in Abruzzo dove, a suo dire, erano numerose le giovani che speravano nel matrimonio: ma anche lui, morì prima di riuscire a organizzare un pullman.
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