La Fontane di Selve e la sua acqua
Sappiamo che un salto nella vecchia Interneppo sarebbe
possibile soltanto ascoltando i racconti dei nostri avi e sfogliando con cura
una bella rassegna di foto d’epoca, rigorosamente scattate prima del maggio del
1976. Il tessuto urbano, infatti, così come quello di Bordano, risultò così
alterato che una ricostruzione filologica non solo non sarebbe convenuta ma non
avrebbe avuto neanche più senso di fronte alle nuove conquiste della modernità
che premevano per entrare anche nelle piccole realtà tradizionali come la
nostra. Insomma la vecchia Interneppo è stata salutata bruscamente in quel mese
primaverile di oltre quarantenni fa, ma, quasi come fossero regali concessi in
via del tutto eccezionale dalla stessa storia, qualcosa di fisicamente presente
ancora proietta i ricordi dei più anziani in quel passato neanche tanto lontano
e l’immaginazione dei nuovi attraverso le storie e i racconti al paese che fu e
che non conobbero. Sono i relitti che ci ricordano, appena li osserviamo, che
anche noi semplici abitanti della pedemontana abbiamo un passato con delle
peculiarità e delle esperienze rimaste particolarmente impresse. Uno di questi
elementi è la fontana della vecchia Plaçe
di Interneppo, oggi, più che piazza, semplice punto di incontro tra Borc da Ros, Borc di Rive e Borc da
Gleisie. Popolarmente è nota come Fontane
di Selve. Quel “Selve” cosa
sarebbe? Beh, una fontana è tale grazie all'acqua che vi sgorga, no? Ecco
dunque la risposta; è l’acqua che dà il nome alla fontana e quindi guai a non dedicarle
una parte della storia! D’altra parte, l’acqua ha senso di esistere anche senza
le fontane ma una fontana è nulla senza la sua acqua.
Il rapporto con le
sorgenti d’acqua è sempre stato problematico per gli interneppani, che solo dal
Secondo Dopoguerra poterono godere di una soluzione definitiva. Nonostante la
vicinanza a quell’enorme fonte d’acqua dolce che è il Lago di Cavazzo, era
l’acqua corrente il vero oro blu e andava captata e raccolta con intelligenza e
cura. Le fonti esistevano ma erano quasi tutte decisamente incostanti per il
regime torrentizio e per l’esigua portata della rete idrografica locale: si
trattava delle fonti dette Fous, Nonins (perenne ma dalla portata
insufficiente) e Selve appunto, più
l’unica perenne e allo stesso tempo capace da sola di soddisfare il fabbisogno,
ossia quella di Pile. Per quanto
riguarda quest’ultima, se ne dovrebbe parlare in un articolo (che già so
esistere) sulla storia dell’approvvigionamento idrico di Interneppo, ma,
rimanendo in ambito di sole fontane, possiamo dire che quella di Selve è stata dalla sua costruzione la
più importante e utilizzata, se non altro per la sua centralissima posizione. Mentre
una vecchia fontana, ora scomparsa e che si trovava presso Borc da Freide (il primo di quelli che si incontravano sulla destra
venendo da Bordano, oggi sarebbe all’altezza della quarta-quinta casa sempre
sulla destra), alimentata dalle prime due fonti citate, era più periferica, a
lato della strada principale. In vero esiste una località chiamata Fontane, alle pendici orientali del Cuel di Cjasteons (tra Via dei Castagni
e Via Lago), ma non si ha alcuna memoria di sorgenti o fontane passate. Il
Catasto Napoleonico parla di prati, aratori, viti, terreni sterili e pascoli
fortemente cespugliati; oggi anche qui il bosco sta avanzando. La Fontane di Selve è nata nel 1843 per
portare al paese un’acqua di notevole qualità che non doveva andare sprecata,
in quanto, lo ricordiamo, un tempo non era solo elemento indispensabile per
l’uomo ma lo era anche per le sue innumerevoli attività, tra le quali quella ormai
scomparsa dell’allevamento. Si trattò del primo acquedotto a Interneppo,
costituito da tubi lignei provenienti dalla Carnia; prima di allora l’unica
soluzione per reperire dell’acqua era recarsi direttamente presso le fonti. La
preziosa opera fu propugnata da Don Natale Valzacchi, di Montenars, curato di
Interneppo dal 1840 al 1843, e portata a termine in breve tempo grazie al
concorso dell’intera popolazione, ansiosa di poter finalmente disporre di una
fontana. Questa era a getto continuo e ai suoi piedi era stata installata una
vasca di legno con coperchio e dalla capienza di 25 ettolitri che sarebbe
servita per le bestie. Nel 1889, però, la precarietà delle tubature emergenti e
della vasca spinse il Consiglio Comunale, da poco più di vent’anni spostatosi
da Interneppo a Bordano, a decretare la sostituzione delle parti in legno con
cemento romano. Sotto la direzione dell’ingegner Pantati, gemonese, e con la
realizzazione dei lavori da parte del cottimista locale Giovanni Rossi fu
Pietro Zuanine, nel 1890 era già
tutto pronto nuovo di zecca, con una vasca con 10 ettolitri di maggiore
capienza. I flussi però cominciarono un po’ alla volta a farsi meno abbondanti,
fino ad arrivare a un periodo di vera e propria crisi idrica negli anni ’20,
quando, a causa dei sommovimenti provocati dalle scosse del 5 maggio 1920 e del
26-27 marzo 1928 e dell’estate particolarmente siccitosa del 1921, l’aghe di Selve non era più sufficiente. In
particolare nel ’21 la situazione era così critica che spesso per rifornirsi
gli interneppani dovevano recarsi sino a Somplago mentre il bestiame veniva
dissetato con l’acqua del Lago. La fontana è sopravvissuta alle due guerre
mondiali ma non alla furia del terremoto, subendo una ricostruzione e una nuova
collocazione, quella attuale in Plaçute
(proprio all’imbocco dei borghi a est della strada principale), anche se, forse
per seguire la semplificazione urbanistica adottata con la ricostruzione, Plaçute è ormai considerata parte di Place. Ma non serve necessariamente
servirsi di testi per rileggere i principali capitoli di storia di questa
piccola, ma per noi famigliare, fontana; sono infatti presenti sulla stessa le
date chiave. In bassorilievo “1843” nella vaschetta di sinistra, “6 MAJ 1976”
(più lo stemma del Comune di Bordano) in quella centrale, più capiente, infine
“1983” in quella di destra, anno di ripristino della sua fragile struttura,
anche se tornò in funzione nel ‘97. Vero e proprio omaggio alla sua instancabile
attività di rifornimento è invece la strofa incisa sul lastrone su cui sono
stati impiantati i tre rubinetti. Si tratta di una strofa proveniente da un’ode
che Ugo Rossi ha dedicato alla vecchia fontana; era il luglio del 1964,
Interneppo. Così recita:
“Salve oh vecie
fontane ciare
Buine mari di ogni
tarneban.
Sei di chel restât a
ciase
Come di chel lât
lontan.”
Non potrebbe meglio descrivere il legame che si era creato
tra questa piccola opera di uso civico e la cittadinanza.
Sembra quasi assumere
un significato più ideale che pratico: era la principale fonte d’acqua del
paese, e senza acqua potabile raggiungibile una comunità semplicemente non può
esistere, si estingue. Se la Chiesa di San Martino era ed è il santuario dello
spirito, la fontana lo era della sopravvivenza in un certo senso. Abbiamo
accennato che l’acqua fa la fontana, ebbene quella di Selve contribuì certamente alla popolarità di questa fontana, in
quanto particolarmente apprezzata. Merito del Riu di Selve, che dall'omonima località delle basse pendici del San
Simeone permette l’incanalamento delle sue acque, che altrimenti andrebbero
completamente a finire nel sottostante Lago. Il rio è particolare tanto quanto
la sua acqua, in quanto prima nasce da una sorgente in località Ruvîs per poi perdersi poco dopo nella
medesima località, quindi riemerge in Selve
attraverso una piccola fessura orizzontale, ove troviamo la presa e la vasca
dell’acquedotto. Ma le peculiarità dei protagonisti in gioco si susseguono se
aggiungiamo anche che la stessa località di Selve
in realtà, ai tempi della sua regolare frequentazione, non era affatto una
selva, a differenza di oggi con l’avanzamento quasi incontrollato del nuovo
bosco. Già il Catasto Napoleonico non parla affatto di boschi bensì di prati,
pascoli, viti, alberi da frutto e persino di una casa con annesso mulino ad uso
privato, quasi certamente alimentato dal Riu
di Selve. Il Leskovic rincara dicendo che ben una volta doveva estendersi
un bosco (d’altra parte il nome se no non avrebbe senso) ma che all’epoca sua,
nel 1949 in questo caso, dunque prima dell’avvio dello spopolamento della
montagna e dell’abbandono delle tradizionali attività connesse, era “ridotto a radi arbusti ed alberelli” e
che del mulino esistevano ancora delle fondamenta e i resti della vasca di
raccolta. Ugo Rossi, oltre a confermare la presenza dei resti di queste
strutture, aggiunge dettagli dicendo che c’era a valle della sorgente una vasca
di pietre e zolle di terra per l’abbeveraggio degli animali domestici e che il
mulino deve essere rimasto operativo per un cinquantennio dopo che attorno
all’anno 1800 ne fu avviata l’attività, che comunque era soggetta
all'incostanza della sorgente, dalla storica famiglia locale dei Candolini. Una
cisterna serviva invece a raccogliere man mano l’acqua che fuoriusciva dal
terreno. C’è anche da sapere che ci troviamo comunque a ridosso dell’abitato e
a quote molto basse, assolutamente non in zone interne o impervie del San
Simeone; le Ruvîs (che già ospitano
il letto di un altro torrentello, il Riu
da Ruvîs, e che sono caratterizzate da una zona di pietraie) infatti si
incontrano appena 130 metri dopo che il sentiero per il Monte Festa ha abbandonato
Borc di Rive. Selve è subito sotto, tra le Ruvîs
e l’imbocco della galleria, a 250 m slm. Il Leskovic ci conferma anche che
prima della nascita dell’acquedotto, e quindi della fontana, il Riu di Selve era fonte di acqua potabile
per gli abitanti e il bestiame, nonostante nella stagione secca risultasse
asciutto. Inoltre ci spiega come, oltre al flusso indirizzato in paese, si
venissero a creare anche due mini-sorgenti presso Selve: l’una lì della curva della stradina/sentiero (Via Monte
Festa) e l’altra in località Perarie,
sempre nelle immediate vicinanze, causata questa dallo spandimento dalla vasca dell’acquedotto.
Insomma già il flusso non era di rilevante entità, e tra l’altro presente non
per tutto l’anno, e poi almeno in parte andava così perso in altri rigagnoli.
Ma l’acqua che finalmente arrivava di lì a poco in Place doveva ben valere i lavori e gli sforzi fatti per
convogliarla e portarla a disposizione di tutti nel cuore del paese.
Mio padre
Oscar infatti riferisce che l’acqua di Selve,
fin da quando frequenta Interneppo, quindi dai primi anni ’50, è estremamente
fresca e sicuramente molto ossigenata se si ricorda che negli stessi anni la
magnesia che versava in quest’acqua faceva subito reazione, mentre in quella di
Bordano tutt’altro o comunque stentava parecchio. Con “acqua di Bordano” in
questo caso ci si riferisce a quella del Rio Cartine, che lambisce o attraversa
i borghi a sud della Provinciale e che riceve l’acqua di diversi affluenti
provenienti da varie cime e pendici del Naruvint. E la qualità delle altre
sorgenti nei pressi di Interneppo? Meno nota oggi ma ugualmente apprezzata pare
sia stata anche l’acqua della sorgente di Fous,
località sita alle pendici del Naruvint 200 metri a ovest di quella di Nonins, in quanto mio nonno Ugo nel suo
articolo sugli acquedotti di Interneppo descrive l’acqua di quest’altra
sorgente come prodigiosa, tanto da venir un tempo somministrata agli ammalati e
ai convalescenti. Quella di Nonins
invece, l’altra fonte perenne, è descritta da Ugo come “freschissima, ma meno gradevole di quella di Selve”. La variabilità
del regime della sorgente di Selve
portò nel 1913 all’idea di erigere una seconda fontana, presto realizzata: era
quella già citata del Borc da Freide,
andata in disuso nel giro di un trentennio per problemi tecnici e nei materiali
usati. In quell'occasione furono favorite proprio queste altre due sorgenti e
servita la parte sud del paese, che si stava ingrandendo proprio da quella
parte. Ma la storia della sorgente di Selve
si interseca anche con quella della Pile,
la più costante e unica vera garanzia di rifornimento d’acqua per Interneppo,
ampiamente utilizzata nel ’21 e resa più copiosa proprio in quell’estate grazie
allo scalpellino Pietro Rossi fu Pietro Tonie (mio bisnonno e padre di
Ugo Rossi), che coi suoi strumenti casualmente fece nascere un nuovo e più potente zampillo.
Grazie all’intuizione di Toni di Pontêli
circa la costruzione di una pompa elettrica che potesse portare fino al centro
del paese l’acqua di Pile (la cui
sorgente è da sempre situata in un punto molto scomodo, ossia ai piedi del
costone a strapiombo sul conoide detto Plaçote,
esattamente tra il paese e il Lago), si sarebbe potuto assistere a una svolta
epocale, che avrebbe traslato improvvisamente il nostro piccolo villaggio in
una condizione di progresso. Il progetto era già pronto e si prevedeva di far
funzionare il nuovo acquedotto solo nei periodi in cui non fosse stata
sufficiente l’acqua di Selve,
conducendo l’acqua di Pile nel primo
acquedotto dopo averla raccolta in una cisterna in località Pontêli, infondo al paese, grazie appunto
alle pompe. Era il 1930 quando il podestà Antonio Piazza fu Giobatta decise di
caldeggiare la proposta e di mettere letteralmente i ferri in acqua. L’ingegner
gemonese Renato Raffaelli avrebbe redatto il progetto. La trafila burocratica
stava procedendo bene quando le dimissioni del podestà , provocate da
un’accesissima protesta da parte di una minoranza rumorosa che osteggiava i
lavori, sostenendo tra le altre cose l’assurda affermazione che l’acqua di Pile fosse infetta, fecero precipitare
tutto quanto. Il commissario prefettizio Antonio Picco fu Valentino Tinon, bordanese, chiamato a sostituire
il podestà, diede retta ai disfattisti rinunciando al finanziamento nel 1932, e
a nulla valse il tentativo da parte del successivo commissario prefettizio
Luigi Orsi, di Venzone, di rimettere in marcia la faccenda. Ormai era tardi e
il finanziamento destinato all’acquedotto era già stato assegnato a un altro
Comune; era il 1933. Fu così che l’acqua di Pile
non fu mai condotta in paese e quella di Selve
continuò a sopravvivere con lo status di acqua più apprezzata e più alla mano
per la comunità, pur tra un periodo di secca e l’altro in cui gli interneppani
era costretti ad attingere soprattutto alla sorgente di Pile. Prova di tale incostanza della sorgente di Selve è una poesiola proprio degli anni
’30, di tale Pieri da Cjargnele, dal
titolo “Dopo il sec a è tornade l’aghe di
Selve”:
“Simpri desiderade
Dal intir paîs,finalmenti tornade dai tiei amîs, prime che il riul al còri tu ti seis fate viòdi. Un pouc pultrone tal passât prime il riùl e tu seconde, il to percors èriel cambiât? Neste cjare Ave monde.
Cemût, dimi cjare nône nine,
àstu fat a rivâ prime?A dis jèi: “Cjars Tarnebàns, j seis simpri chei di un timp, zòvins e vecjos paisàns un pouc curiòus ma buine int. Bevèimi cuant ch’j sei, ancje tal prât, e no sarèis mai nissun malât”” |
Soltanto nel Secondo Dopoguerra, tra il ’47 e il ’49, col
sindaco Floreano Picco fu Giovanni, di Bordano, gli interneppani poterono
assistere alla comparsa dell’acquedotto moderno, con acqua corrente nelle case.
La presa però era ben lontana da quelle tradizionali di Selve, di Fous, di Nonins o di Pile, in quanto era alla sorgente del Rio Vât, presso Cesclans,
dall’altra parte del Lago e in Comune di Cavazzo. L’installazione di tale nuovo
sistema, impensabile prima della guerra, fu possibile grazie ai finanziamenti
interamente statali. La Fontane di Selve
da quel momento divenne quindi improvvisamente poco più di un accessorio, e fu
così che scene che si ripetevano da oltre un secolo, come quelle
dell’andirivieni di persone da e per la fontana per caricare e portare indietro
i secchi, cominciarono sempre meno a vedersi e sempre più a rimanere impresse
nella memoria, come dei flash di un mondo arcaico che ormai aveva fatto il suo
tempo e che doveva necessariamente lasciare il passo. La Fontane di Selve oggi al massimo può sentirsi avvicinata da qualche
turista di passaggio per qualche sorso, come me e un paio di miei amici la
passata estate, o per essere osservata nei dettagli semplici e nelle scritte,
ma infondo è anche giusto così, che rimanga come un piccolo monumento in
memoria di tempi storici in cui bere quando si voleva e quanto si voleva non
era affatto scontato. Basta ricordare l’articolo di inizio giugno 1947, uscito
sul Messaggero Veneto e firmato Anselmo Rossi, assessore a Bordano, che aveva
come titolo “Acquedotto per la frazione di Interneppo – è preferibile soffrire
la fame ma non la sete”.
Fonti:
- Libro
“Bordan e Tarnep: nons di lûc”, Enos Costantini, 1987
- Sito
“Interneppo”, pagina “La Storia”: https://interneppo.wordpress.com/cultura/la-storia/
- Sito
“Ecomuseo Val del Lago”, pagina “La Fontana di Selve”: http://www.ecomuseovaldellago.it/fontana-di-selve/
- Testimonianze
orali di Oscar Rossi
- Periodico
“Monte San Simeone”, febbraio 1987
Enrico Rossi
Aggiungo solo una cosa all'interessante articolo. Credo che l'acquedotto con la presa nel rio Vaat sia stato preceduto dall'acquedotto con le prese sotto la rupe di Cesclans, ancora presenti nei pressi della chiesa di S. Candido. Anche le carte IGM, infatti, lo riportano. Immagino che per questioni legate al fatto che proprio sopra le suddette prese ci sia il cimitero si sia optato di spostare le prese sul rio Vaat. Probabilmente a causa della quota altimetrica troppo bassa della presa, essa non permetteva di portare l'acqua nella parte alta del paese. Sarebbe interessante sapere se l'ipotesi trova riscontro nei fatti. Mandi
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