"Alesso e dintorni", dal puint di Braulins al puint di Avons

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giovedì 21 settembre 2017

1991, il racconto di "Tin dal Cuc" sulla pesca nel lago

E' già stata data segnalazione sul blog della pubblicazione, sul sito "Non solo Carnia" di Laura Matelda Puppini, di un "quaderno sfogliabile" dedicato al Lago, con importanti notizie sulla evoluzione delle sue condizioni, sul problema dell'idroelettrico, sulle mutate condizioni della pesca (vedi http://cjalcor.blogspot.it/2017/09/alla-scoperta-del-lago-tra-sogno-natura.html ).

Grazie alla disponibilità dell'autrice, pubblichiamo qui per esteso, traendolo dalla pubblicazione sfogliabile, il testo della intervista al pescatore Valentino Billiani di Somplago, "Tin dal Cuc" sulle condizioni di pesca nel lago  prima della costruzione della centrale.


Intervista a Valentino Billiani, il pescatore. 23 maggio 1991.

Il 23 maggio 1991, mi sono recata, con i bimbi della classe della scuola elementare di Verzegnis, di cui ero docente, a visitare il lago di Cavazzo ed ad incontrare un anziano pescatore: il signor Valentino Billiani.

Egli ci ha raccontato che a Somplago ed ad Alesso vivevano, un tempo, alcune famiglie che praticavano la pesca e si tramandavano l’arte e le informazioni principali di padre in figlio.Il signor Valentino ci ha anche parlato del modo in cui venivano costruite le barche che servivano pure come mezzo di trasporto per alcune merci.Molte altre sono state le cose che abbiamo potuto imparare dalle parole dell’anziano, che gentilmente ha accettato di parlare delle sue esperienze di lavoro e delle sue abitudini di vita quando era pescatore, della sua antica attività, svolta anche da suo padre e da suo nonno.

Egli ci ha poi portato a vedere una vasca ove veniva conservato il pescato per uno o due giorni in modo da mantenerlo, in assenza di frigorifero, fresco per la vendita.
Laura Matelda Puppini




"Mi ricordo tante cose…"
Il 1921 fu l’anno del grande secco. Neppure una foglia fu risparmiata. Nel 1928, invece, ghiacciò persino il lago.
Ma al di là di questi fatti eccezionali, la vita scorreva regolarmente scandita dalle stagioni. Si pescava, si poneva il pesce morto nelle vasche di conservazione, a valle di un ruscello di acqua fresca corrente, e poi si andava il più presto possibile a venderlo.
In certi periodi dell’anno la pesca era proibita. Nel mese di giugno, per esempio, non si poteva pescare la trota perché va in amore e la sua carne non è buona. Se la si pescava, la si portava all’albergo dove avevano le vasche. Lì le trote potevano riprodursi e, una volta terminato il periodo degli amori, ci venivano restituite per la vendita.
Noi però non mangiavamo trote…era un pesce per i ricchi!
A quel tempo, nel lago, c’erano trote per tutti ma non tutti potevano cibarsene: era una questione di soldi. Noi dovevamo vendere il pesce, non potevamo permetterci di mangiarlo.
C’ erano, nel lago, diverse qualità di pesce. C’era il “gialit” (avola), c’erano “sardine” (n.d.r. forse pesci di piccole dimensioni) ed anche in abbondanza, c’erano la “codula” (lampreda), la “bisata” (anguilla), la “sgiardula” (scardola), c’erano le “tencia” (tinca) e il “carpin” (carpa). Quel lago aveva un valore inestimabile perché lì vivevano tonnellate di pesce di tutti i tipi.
Ma il lago forniva anche altre risorse.
In primavera, quando iniziava a piovere, sulle sue sponde cresceva alta la “lescia”, un’erba particolare utilizzata per impagliare le sedie. Gli anziani del paese sapevano intrecciarla, principalmente per quell’uso. In certi casi veniva raccolta e poi venduta proprio per “tramâ ciadrếas.” (Per fare il sedile alle sedie).
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Quando ero bimbo, (ai primi ‘900 n.d. r.) era miseria e ci si doveva arrangiare come si poteva “par un franc”, per guadagnare una lira. Allora quasi tutti gli uomini emigravano in Germania. A Somplago c’erano 6, forse 7 od 8 famiglie che vivevano con il lago ed ad Alesso forse anche di più.
Mio nonno faceva il pescatore, mio padre faceva il pescatore, io e mio fratello facevamo i pescatori.
Eravamo in otto fratelli, tutti pescatori. Ci facevamo da soli anche le reti ma in genere di pescava con i “nassins”, con le nasse. In queste il pesce entrava e rimaneva intrappolato e si poteva così prenderlo vivo.
Le nasse non sono come i tramagli che si usano ora, dove il pesce si impiglia e muore.

Dovete sapere che i tramagli per la pesca sono degli attrezzi che hanno da una parte e dall’altra le maglie rade, a quadrati di circa 80x80 cm. e nel mezzo hanno una rete a maglie strette. Il pesce resta impigliato con la testa nella parte centrale dopo esser passato nel reticolato precedente a maglie larghe. Ora la pesca con questo attrezzo è proibita e neppure noi, allora, la usavamo, tra l’altro non esisteva.
Noi usavamo di preferenza le nasse che ci permettevano, come ho detto, di prendere il pesce vivo. Lo ponevamo poi in delle casse con il fondo forato chiamate “cassons”, ai bordi del lago, nell’acqua tiepida, per mantenerlo vivo per un po’.

Senza acqua il pesce muore subito, solo l’anguilla resiste a lungo prima di morire. Questi pesci, subito dopo un’abbondante pioggia, possono muoversi anche sull’erba bagnata per lunghi tratti.
Anche nel lago, un tempo, c’erano molte anguille. Dicono che le anguille vengono dal mare. Raccontavano che risalivano il Tagliamento ed altri corsi d’acqua a nuvole serrate, fino a raggiungere i laghi.


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Il nostro lago, allora, era tranquillo, come tanti altri, tranne quando, d’autunno, capitavano le “montane” cioè le piogge torrenziali stagionali. Un tempo pioveva d’autunno per settimane e le acque del lago raggiungevano l’albergo.
Era il periodo “das ploas e scirocai” (delle piogge e del vento di scirocco) e coincideva, in genere, con quello delle vendemmie e della raccolta delle castagne.

Il nostro caffelatte erano le castagne.
Con il latte, diceva mio padre, bisogna far formaggio. Ora è tutto diverso. Neppure le vostre maestre sanno quello che so io. Sono vecchio…ha 83 anni! Ora i castagni si sono seccati tutti. Dicono che è giunto il “cancro” dall’America, una malattia delle piante che li ha distrutti.

Un tempo, qui, c’erano davvero molti castagni, specialmente dalla parte di Interneppo, sulla sponda sinistra del lago, ed erano piante belle, sane, robuste. Noi usavano anche innestarli. Essi davano tipi diversi di castagne: “le pironas”, “le crostonas” ed altri ancora.

Per conservarle il più a lungo possibile riponevamo le castagne con il riccio in cantina tra un po’ di terriccio. In tal modo, grazie anche all’umidità, si conservavano fino a primavera.

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Ma ritorniamo alla pesca. Per pescare ci vogliono le barche che servivano, un tempo, anche per trasportare merci da una sponda all’altra del lago.
In zona c’era più di un artigiano che sapeva costruirle.
Mi ricordo che quando era vivo mio padre c’era una persona che dirigeva il lavoro dei pescatori che le costruivano.
Per i “corbéts” (le ordinate), si usava legno di castagno. Quando ne si trovava uno curvo al punto giusto lo si tagliava. Si lasciavano stagionare le parti per uno o due anni ed infine si utilizzavano.
Le sponde ed il fondo della barca, invece, venivano fatte con larice proveniente dall’alta Carnia in quanto non è una pianta che cresce in zona.
Ciascuna sponda era composta da un unico asse ed i pezzi della barca venivano congiunti con dei chiodi fatti fare appositamente dal fabbro.
Erano di 7 od 8 lunghezze, erano molto lunghi, ed avevano la “testa” grande come una “palanca”.

Il fondo della barca è molto delicato e deve sempre mantenersi liscio. Per non rovinarlo o consumarlo veniva ricoperto, all’interno, con tre tavole di abete.

Il fondo della barca è la parte più importante. Esso doveva, all’esterno, essere perfettamente levigato perché quando si andava tra le canne o tra “ches paveras” (probabilmente flora affiorante o di palude n.d.r.), la barca non doveva incagliarsi trascinarsi dietro alcunché: in sintesi doveva “andar via liscia” per intenderci.

Se entrava acqua nella barca si usava, per gettarla fuori, la “scessula”, una specie di piccola pala costituita da una parte centrale circondata da un bordo.
Sembrava un po’ “la lum”, la lampada veneziana. Questa aveva la forma di una piccola barchetta con lo stoppino e veniva riempita di olio. Ed al chiarore de “la lum”, quando la luce naturale non era sufficiente, si lavorava, si lavorava….
Si lavorava sempre. Per vivere si faceva sempre tanta fatica, davvero tanta. La barca veniva dotata di un solo remo, lungo circa due metri, formato da una parte finale a forma di pala e dal manico.

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Per pescare noi usavamo in genere le nasse ma talvolta anche gli ami. Si pescava anche con “la corda”. Questa poteva essere lunga anche 30 metri. A ogni braccio veniva posto un amo, fissato ad essa con un pezzo di spago.

Per creare una corda da pesca si procedeva così: si fermava il capo iniziale della corda alla “culata” della barca e quindi si fissava il primo amo. A distanza regolare, poi, si ponevano gli altri ami fino a completamento della corda. In questo modo si sistemavano, sulla corda, dai 25 ai 30 ami. Io facevo venire questi ultimi dalla Svezia perché quelli che si trovavano in zona non erano di buona qualità e si piegavano.
Facevo l’ordinazione per posta e loro me li spedivano. Erano ami affilatissimi ed io li affilavo ancor di più con una apposita “cōt” in modo che, appena venivano toccati dal pesce, si infilavano nella sua gola. Questo era il segreto! Per sistemare la corda nel lago si procedeva così: ad uno dei capi della corda, arrotolata sulla “culata” della barca, veniva legato un sasso e quindi la parte iniziale della corda era pronta per esser gettata in acqua. Poi, man mano che la barca si muoveva, dopo aver affondato il capo legato al sasso, la corda si srotolava e scendeva nel lago. Al capo finale della corda veniva posto un altro sasso che permetteva il completo affondamento dell’attrezzo.





Le immagini a colori sono state scattate da Laura Matelda Puppini, il 23 maggio 1991, e ritraggono il pescatore Billiani ed il Lago di Cavazzo. Intervista a Valentino Billiani, 23 maggio 1991, e sua trascrizione di Laura Matelda Puppini.. Prima pubblicazione su www.nonsolocarnia.info all’interno dello sfogliabile “Il lago di Cavazzo tra sogno, natura e sfruttamento”, 26 agosto 2017, a cui si rimanda.
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NOTA del Blog: oltre a questa intervista, chi vuole approfondire il tema, può leggere la trascrizione di altre interviste a Valentino Billiani in: 
AA.VV., La Carnia di Antonelli, C.E.F., 1980
F. BARAZZUTTI, Gente di Lago,  Notiziario ETP, n. 1, febbraio 1991
P. STEFANUTTI, Int di lâc. Strategie di pesca e vita quotidiana attorno al Lago di Cavazzo, "Ce fastu?", LXIX, n. 2,  dicembre 1993, pp. 241-267

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