Grazie alla disponibilità dell'autrice, pubblichiamo qui per esteso, traendolo dalla pubblicazione sfogliabile, il testo della intervista al pescatore Valentino Billiani di Somplago, "Tin dal Cuc" sulle condizioni di pesca nel lago prima della costruzione della centrale.
Intervista a Valentino Billiani, il pescatore. 23
maggio 1991.
Il 23 maggio 1991, mi sono recata, con i bimbi della classe della
scuola elementare di Verzegnis, di cui ero docente,
a visitare il lago di Cavazzo ed ad
incontrare un anziano pescatore: il signor Valentino Billiani.
Egli ci ha raccontato che a Somplago
ed ad Alesso vivevano, un tempo, alcune famiglie che praticavano la pesca e
si tramandavano l’arte e le informazioni principali di padre in figlio.Il signor Valentino ci ha anche parlato del modo in cui venivano
costruite le barche che servivano pure come mezzo di trasporto per alcune
merci.Molte altre sono state le cose che abbiamo potuto imparare dalle
parole dell’anziano, che gentilmente ha accettato di parlare delle sue
esperienze di lavoro e delle sue abitudini di vita quando era pescatore, della
sua antica attività, svolta anche da suo padre e da suo nonno.
Egli ci ha poi portato a vedere una vasca ove veniva conservato il
pescato per uno o due giorni in modo da mantenerlo, in assenza di frigorifero, fresco per la vendita.
Laura Matelda Puppini
"Mi ricordo
tante cose…"
Il 1921 fu l’anno del grande secco.
Neppure una foglia
fu risparmiata. Nel 1928,
invece, ghiacciò persino il lago.
Ma al di là di questi fatti eccezionali, la vita scorreva
regolarmente scandita dalle stagioni. Si pescava, si poneva il pesce morto nelle vasche di
conservazione, a valle di un ruscello di acqua fresca corrente, e poi si andava
il più presto possibile a venderlo.
In certi periodi
dell’anno la pesca
era proibita. Nel mese di giugno, per esempio,
non si poteva pescare la trota perché
va in amore e la sua carne non è buona. Se la si
pescava, la si portava all’albergo dove avevano le vasche. Lì le trote potevano
riprodursi e, una volta terminato il periodo degli amori, ci venivano
restituite per la vendita.
Noi però non mangiavamo trote…era un pesce per i ricchi!
A quel tempo,
nel lago, c’erano
trote per tutti ma non tutti potevano
cibarsene: era una questione di soldi. Noi dovevamo vendere il pesce,
non potevamo permetterci di mangiarlo.
C’ erano, nel lago, diverse qualità di pesce. C’era il
“gialit” (avola), c’erano “sardine” (n.d.r. forse pesci di piccole dimensioni)
ed anche in abbondanza, c’erano la “codula” (lampreda), la “bisata” (anguilla),
la “sgiardula” (scardola), c’erano le “tencia” (tinca) e il “carpin” (carpa).
Quel lago aveva un valore inestimabile perché lì vivevano tonnellate di pesce
di tutti i tipi.
Ma il lago forniva anche altre risorse.
In primavera, quando iniziava a piovere, sulle sue
sponde cresceva alta la “lescia”, un’erba
particolare utilizzata per impagliare le sedie. Gli anziani del paese sapevano
intrecciarla, principalmente per quell’uso. In certi casi veniva raccolta e poi
venduta proprio per “tramâ ciadrếas.” (Per fare il sedile alle sedie).
۞
Quando ero bimbo, (ai primi ‘900 n.d. r.) era miseria e
ci si doveva arrangiare come si poteva “par un franc”, per guadagnare una lira.
Allora quasi tutti gli uomini emigravano in Germania. A Somplago c’erano 6,
forse 7 od 8 famiglie che vivevano con il lago ed ad Alesso forse anche di più.
Mio nonno faceva il pescatore, mio padre faceva il pescatore, io e
mio fratello facevamo i pescatori.
Eravamo in otto
fratelli, tutti pescatori. Ci facevamo da soli anche le reti ma in genere di
pescava con i “nassins”, con le nasse. In queste il pesce entrava e rimaneva
intrappolato e si poteva così prenderlo vivo.
Le nasse non sono come i tramagli che si usano ora, dove il pesce si
impiglia e muore.
Dovete sapere che i tramagli
per la pesca sono degli
attrezzi che hanno da una parte e dall’altra le maglie rade, a
quadrati di circa 80x80 cm. e nel mezzo hanno
una rete a maglie strette.
Il pesce resta
impigliato con la testa nella
parte centrale dopo esser passato nel reticolato precedente a maglie
larghe. Ora la pesca con questo attrezzo è proibita e neppure noi, allora, la
usavamo, tra l’altro non esisteva.
Noi usavamo di preferenza le nasse che ci permettevano, come ho
detto, di prendere il pesce vivo. Lo ponevamo poi in delle casse con il fondo
forato chiamate “cassons”, ai bordi del lago, nell’acqua tiepida, per
mantenerlo vivo per un po’.
Senza acqua il pesce muore subito, solo l’anguilla resiste a lungo
prima di morire. Questi pesci, subito dopo un’abbondante pioggia, possono
muoversi anche sull’erba bagnata per lunghi tratti.
Anche nel lago, un tempo, c’erano molte anguille. Dicono che le
anguille vengono dal mare. Raccontavano che risalivano il Tagliamento ed altri
corsi d’acqua a nuvole serrate, fino a raggiungere i laghi.
۞
Il nostro lago, allora, era tranquillo, come tanti altri, tranne
quando, d’autunno, capitavano le “montane” cioè le piogge torrenziali stagionali. Un tempo pioveva d’autunno per settimane e le acque
del lago raggiungevano l’albergo.
Era il periodo “das ploas e scirocai” (delle piogge e del vento di
scirocco) e coincideva, in genere, con quello delle vendemmie e della raccolta
delle castagne.
Il nostro caffelatte erano le castagne.
Con il latte, diceva mio padre, bisogna far formaggio. Ora è tutto
diverso. Neppure le vostre maestre sanno quello che so io. Sono vecchio…ha 83 anni! Ora i castagni si sono seccati
tutti. Dicono che è giunto
il “cancro” dall’America, una malattia delle piante
che li ha distrutti.
Un tempo, qui, c’erano davvero molti castagni, specialmente dalla
parte di Interneppo, sulla sponda sinistra del lago, ed erano piante belle, sane, robuste.
Noi usavano anche innestarli. Essi davano tipi diversi di castagne: “le pironas”,
“le crostonas” ed altri ancora.
Per conservarle il più a lungo possibile riponevamo le castagne con
il riccio in cantina tra un po’ di terriccio. In tal modo, grazie anche
all’umidità, si conservavano fino a primavera.
۞
Ma ritorniamo alla pesca. Per pescare ci vogliono le
barche che servivano, un tempo, anche per trasportare merci da una sponda
all’altra del lago.
In zona c’era più di un artigiano che sapeva costruirle.
Mi ricordo che quando era vivo mio padre c’era una persona che
dirigeva il lavoro dei pescatori che le costruivano.
Per i “corbéts” (le ordinate), si usava legno di castagno. Quando ne
si trovava uno curvo al punto giusto lo si tagliava. Si lasciavano stagionare
le parti per uno o due anni ed infine si utilizzavano.
Le sponde ed il fondo della barca,
invece, venivano fatte con larice proveniente
dall’alta Carnia in quanto non è una pianta che cresce in zona.
Ciascuna sponda era composta da un unico asse ed i pezzi
della barca venivano congiunti con dei chiodi fatti fare appositamente dal
fabbro.
Erano di 7 od 8 lunghezze, erano molto lunghi, ed
avevano la “testa” grande come una “palanca”.
Il fondo della barca è molto delicato e deve sempre mantenersi
liscio. Per non rovinarlo o
consumarlo veniva ricoperto, all’interno, con tre tavole di abete.
Il fondo della barca è la parte più importante. Esso doveva,
all’esterno, essere perfettamente
levigato perché quando si andava tra le canne o tra “ches paveras” (probabilmente flora affiorante o di palude n.d.r.), la barca non doveva
incagliarsi né trascinarsi dietro alcunché:
in sintesi doveva
“andar via liscia”
per intenderci.
Se entrava acqua nella barca si usava, per gettarla
fuori, la “scessula”, una specie di piccola pala costituita da una parte
centrale circondata da un bordo.
Sembrava un po’ “la lum”,
la lampada veneziana. Questa aveva la forma di una
piccola barchetta con lo stoppino
e veniva riempita
di olio. Ed al chiarore
de “la lum”, quando la luce
naturale non era sufficiente, si lavorava, si
lavorava….
Si lavorava sempre.
Per vivere si faceva sempre tanta fatica,
davvero tanta. La barca veniva dotata di un solo remo,
lungo circa due metri, formato da una parte finale a forma di pala e dal manico.
۞
Per pescare noi usavamo in genere le nasse ma talvolta anche gli
ami. Si pescava anche con “la corda”. Questa poteva essere lunga anche 30
metri. A ogni braccio veniva posto un amo, fissato ad essa con un pezzo di
spago.
Per creare una corda da pesca si procedeva così: si
fermava il capo iniziale della corda alla “culata” della barca e quindi si fissava il primo amo. A distanza regolare, poi, si ponevano gli
altri ami fino a completamento della corda. In questo modo si sistemavano,
sulla corda, dai 25 ai 30 ami. Io facevo venire questi ultimi dalla Svezia
perché quelli che si trovavano in zona non erano di buona qualità e si piegavano.
Facevo
l’ordinazione per posta e loro me li spedivano. Erano ami affilatissimi ed io
li affilavo ancor di più con una apposita “cōt” in modo che, appena venivano
toccati dal pesce, si infilavano nella sua gola. Questo era il segreto! Per
sistemare la corda nel lago si procedeva così: ad uno dei capi della corda,
arrotolata sulla “culata” della barca, veniva legato un sasso e quindi la parte
iniziale della corda era pronta per esser gettata in acqua. Poi, man mano che
la barca si muoveva, dopo aver affondato il capo legato al sasso, la corda si
srotolava e scendeva nel lago. Al capo finale della corda veniva posto un altro
sasso che permetteva il completo affondamento dell’attrezzo.
Le immagini a colori
sono state scattate
da Laura Matelda
Puppini, il 23 maggio
1991, e ritraggono il pescatore Billiani ed il Lago di Cavazzo. Intervista a
Valentino Billiani, 23 maggio 1991,
e sua trascrizione di Laura Matelda Puppini.. Prima pubblicazione su
www.nonsolocarnia.info all’interno dello sfogliabile “Il lago di
Cavazzo tra sogno, natura e sfruttamento”, 26 agosto 2017, a cui si rimanda.
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NOTA del Blog: oltre a questa intervista, chi vuole approfondire il tema, può leggere la trascrizione di altre interviste a Valentino Billiani in:
AA.VV., La Carnia di Antonelli, C.E.F., 1980
F. BARAZZUTTI, Gente di Lago, Notiziario ETP, n. 1, febbraio 1991
P. STEFANUTTI, Int di lâc. Strategie di pesca e vita quotidiana attorno al Lago di Cavazzo, "Ce fastu?", LXIX, n. 2, dicembre 1993, pp. 241-267
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