"Alesso e dintorni", dal puint di Braulins al puint di Avons

"Alesso e dintorni", dal puint di Braulins al puint di Avons

venerdì 2 marzo 2018

Obiettivo su Bordano & Interneppo - 6 - Tra Bordano e Madrisio

Tra Bordano e Madrisio: odissea di una famiglia bordanese 
della prima metà del Novecento


In una terra di fortissima emigrazione sia stagionale che definitiva come la nostra, era praticamente impossibile non avere almeno un parente trasferitosi in qualche paese o città di altre zone della regione o all’estero. Se infatti Bordano e Interneppo non attiravano lavoratori, altre terre, magari più generose, sì. Senza andare oltre confine o comunque in luoghi diversi per cultura e lingua, esiste nella famiglia di una mia bisnonna, Maria Picco (conosciuta come Mie dal Briscjo), classe 1890, madre di mia nonna Vilma Colomba e quindi suocera del nostro Ugo Rossi, un caso di sentito legame verso una località del basso collinare, legame che si è rinsaldato in varie occasioni, anche drammatiche. 

Maria Picco Briscjo, qui ormai avanti con l’età. Per due stagioni della sua vita fu particolarmente legata a Madrisio, negli anni ’10 e poi negli anni ’40. In entrambi i casi lo scenario era quello della guerra mondiale. (foto dell’archivio di famiglia)

Il luogo in questione è il paese di Madrisio, al limite meridionale dell’anfiteatro morenico e tra Rive d’Arcano e Fagagna, oggi in Comune di quest’ultima. Mie aveva degli zii sia qui che nella stessa Fagagna, ma era proprio a Madrisio che si recava spesso. Partiva di buonora da Bordano e a piedi in giornata raggiungeva questo villaggio per lavorare nei terreni di famiglia. Questo accadeva soprattutto prima che si sposasse e dunque prima del 17 febbraio 1917, in una terra fiaccata e dissanguata economicamente e moralmente dalla Grande Guerra, durante la quale a Bordano letteralmente si pativa la fame. E dire che non mancavano di certo gli appezzamenti di cui prendersi cura tra la piana di Bordano, il Naruvint e il San Simeone. Insomma di lavoro ce n’era anche troppo, erano i prodotti del lavoro ad essere molto spesso insufficienti. Per questo possedere molti terreni non significava in automatico avere lo stomaco pieno, tanto più se in casa si era rimasti da soli, come dopo la morte prematura del marito di Mie, Antonio Giacomo Colomba (n. 1889), il quale, una volta tornato dal fronte, dovette soccombere nel ’21 a una fatale peritonite, lasciando Mie da sola con tre figli da crescere, tra cui mia nonna Vilma. 

Antonio Giacomo Colomba, veterano della Grande Guerra e marito di Mie. La sua scomparsa significherà ulteriori difficoltà per la famiglia di Mie, che si acuiranno improvvisamente, così come quelle di molti altri bordanesi, durante la Seconda Guerra Mondiale. (foto presa dal libro di Velia Stefanutti, vedi fonti)

A distanza di cent’anni in quel di Fagagna potremmo ritrovare una discendente di quei nostri avi, la signora Graziella Picco, figlia di un fratello di Mie, tale Lurinç, ricordato in famiglia per una simpatica esclamazione che fece a Mie una volta rientrato in patria dopo aver partecipato alla Guerra di Libia del 1911-’12. Disse “Mie, a son i arbui laù veh, cu’ las cotolates”; i “arbui” non sono gli alberi ma gli arabi. Probabilmente si riferiva ai senussi delle varie tribù libiche che fiancheggiavano gli ottomani durante la guerra. 
Il secondo capitolo di vicende in cui Madrisio rappresentò, questa volta ancora di più, una vera e propria ancora di salvezza si concretizzò nei terribili anni della Seconda Guerra Mondiale, precisamente nell’estate del ’44. In seguito all’attentato partigiano del 19 luglio a un gruppetto di tedeschi presso l’osteria di fronte la chiesa di Bordano, che causò la morte di tre soldati della Wermacht, il 21 dello stesso mese scattò la rappresaglia tedesca sul paese, che portò all’incendio e alla distruzione di parte dell’abitato (episodio così cruciale che sarà impossibile non dedicarne un articolo). Ma, mentre “la maggior parte della popolazione si era già rifugiata nei paesi vicini”, come scrisse proprio Ugo Rossi il 4 ottobre del ’45 in una lettera allo zio Antonio Piazza, Mie si trovava sola e indifesa nella sua casa di Palâr, il borgo più occidentale e isolato del paese. Infatti uno dei figli, Giacomo, era morto a Torino nel ’41, l’altro, Giovanni, non era ancora tornato dalla guerra, mentre Vilma in quel periodo lavorava in una famiglia “oltretagliamento”. La situazione era quanto mai pericolosa, in quanto un tedesco col mitra spianato le intimava di uscire dalla casa urlando “Raus! Raus!”. Lei non capiva e comunque non intendeva abbandonare i suoi averi. Avrebbe potuto finire male se un altro tedesco, per costringerla ad allontanarsi, non avesse liberato le sue vacche. Solo a quel punto si mosse e si diede a rincorrere gli animali, in quella circostanza gli unici beni che le rimanevano, visto che la casa andò di lì a poco incendiata. Senza praticamente più nulla, riemerse quella che probabilmente era l’unica opzione fattibile in quel frangente, tornare a Madrisio, ma questa volta come sfollata senza dimora. Anche Vilma trascorse del tempo presso i parenti di Madrisio riunendosi a sua madre, mentre Giovanni visse mesi ancora più travagliati. 

Qui Giovanni Colomba (a destra) con l’amico Ezio. Giovanni fu direttamente coinvolto nella ricostruzione della casa di famiglia nel dopoguerra, dopo quelli che furono sicuramente gli anni più duri della sua vita. (foto dell’archivio di famiglia)

Dopo aver passato circa un anno come prigioniero di guerra a Berlino, lavorando in fabbrica sotto i bombardamenti alleati, fu caricato su un treno diretto a Bergamo sul quale erano stati fatti salire tutti coloro che erano considerati morituri; era sempre il ‘44. Pensavano avesse la tubercolosi ed era arrivato a pesare 45 chili. Per fortuna invece non era malato, tanto che, una volta tornato autonomamente in Friuli, anche lui finì per giungere a Madrisio. Ma non era finita: mentre un giorno si trovava a Udine, dopo esservi giunto col tram, fu di nuovo rastrellato dai tedeschi (erano probabilmente i primi mesi del ’45), che lo fecero salire su un treno per riportarlo, assieme a molti altri internati, in Germania. Ma questa volta, memore delle sofferenze e delle privazioni subite nelle fabbriche tedesche, tentò il tutto per tutto e scappò quando ancora il treno si trovava in stazione, eludendo fortunosamente la vigilanza. Fu proprio lui nel dopoguerra, durante la ricostruzione relativamente veloce di Bordano, a riedificare la casa di Palâr, mettendo di persona le solette che poi, circa un quarto di secolo dopo, faranno persino fatica ad essere abbattute dagli escavatori che avevano il compito di demolire le case percolanti dopo il terremoto. Se non ci fosse stata la possibilità di appoggiarsi ai parenti di Madrisio ed entrare quindi anche nella storia personale di quest’altro paesello, non so come se la sarebbe cavata questa famiglia bordanese; avrebbe probabilmente scelto altri luoghi in cui trovare protezione e lavoro, magari anche molto lontani. Questo articolo, in vero molto legato a fatti specifici alla nostra famiglia, vuole anche ricordare come le connessioni tra le storie dei paesi e delle sue genti vengano a crearsi soprattutto in periodi di crisi, quando non è più sufficiente accontentarsi di condurre la propria vita racchiusi nel proprio piccolo mondo ma bisogna fare una scelta di sopravvivenza, spostandosi, cambiando abitudini, anche a rischio di perdere quei pochi solidi pilastri sui quali si poggiava. Che sia per lavoro, per una casa che non c’è più o per altri scherzi del destino e di una storia più grande di noi, penso che ogni famiglia di Bordano e Interneppo abbia uno o più altri paesi da ringraziare, in quella che era una sorta di rete solidale delle comunità e che oggi ha cambiato volto, diventando un qualcosa di più generalizzato ma anche scontato e superficiale.
                                                                                           Enrico Rossi

Fonti principali:

Testimonianze orali di Vilma Colomba
Testimonianze orali di Oscar Rossi
Articolo “Como vuê. 70 anni fa l'incendio di Bordano”, Pieri Stefanutti, blog “Alesso e dintorni”, 21 luglio 2014: http://cjalcor.blogspot.it/2014/07/como-vue-70-anni-fa-lincendio-di-bordano.html
Libro “Bordan e Tarnep: nons di int”, Velia Stefanutti, 1988


1 commento:

  1. Un altra saga famigliare salvata dall'oblio e destinata ai posteri

    RispondiElimina

Ogni opinione espressa attraverso il commento agli articoli è unicamente quella del suo autore, che conseguentemente si assume ogni responsabilità civile, penale e amministrativa derivante dalla pubblicazione sul Blog "Alesso e Dintorni" del testo inviato.
OGNI COMMENTO, ANCHE NELLA CATEGORIA ANONIMO;, DEVE ESSERE FIRMATO IN CALCE, ALTRIMENTI NON SARà PUBBLICATO.
Grazie.